#ValorePubblico

Liberare le Performance della PA. Dai premi.

Qualche giorno fa, i colleghi Giorgio Giacomelli, Silvia Rota e Giovanni Valotti hanno pubblicato sempre nelle pagine di SDA Bocconi Insight un articolo molto interessante sullo stato di salute dei sistemi di misurazione della performance. Tra i dati che mostrano, uno colpisce più di tutti: non è chiaro a cosa servono, se non a determinare la retribuzione di risultato. Deprimente? Sì, ma non dobbiamo stupirci. Né arrenderci.

Breve storia (triste) delle misure di performance nella PA

Era il 1983. A Sanremo un giovane Vasco presentava Vita Spericolata. E per la prima volta venivano introdotti gli incentivi di produttività per il personale degli enti locali (DPR. 347/1983). Tre anni dopo, Adesso tu di Eros Ramazzotti vince Sanremo e gli incentivi di produttività vengono istituiti per anche per il personale della PA centrale, insieme ad un fondo ad hoc (DPR 13/1986). Per la PA locale il fondo viene istituito l’anno dopo, finanziato dal 50% da attese ‘economie di gestione’.

Anni ’90, stagione di grandi riforme, per lo più in salsa New Public Management. Nel 1993 La Solitudine lancia l’esordiente Laura Pausini. Intanto, col DLgs 23/93 e le riforme che introduce in materia di dirigenza e pubblico impiego, si afferma un nuovo principio, sulla scorta della dubbia esperienza del decennio appena trascorso: la retribuzione della produttività deve essere ancorata a ‘misure oggettive della prestazione’.

Quando il DLgs 77/1995 introduce il controllo di gestione negli enti locali, l’auspicio è che di lì vengano fuori misure cui ancorare la produttività. Il requiem definitivo agli strumenti di programmazione e controllo arriva col DLgs 286/1999, che stabilisce che la retribuzione di risultato dei dirigenti sia ancorata ai dati del controllo di gestione. Pertanto, nel 2009, quando Vasco riempie ormai gli stadi di tutta Italia con spettacoli colossali, Ramazzotti ha venduto decine di milioni di dischi nel mondo e Pausini ha già vinto un Grammy, la PA è ferma allo stesso palo di 25 anni prima: l’insoluto problema di trovare uno straccio di misura che permetta di giustificare la retribuzione accessoria (da tempo, ormai, unica componente del salario che ha conosciuto incrementi, a fronte del blocco degli stipendi pubblici) trova nel DLgs 150 un nuovo feticcio. La performance. Come continua la musica è noto ai più.

Eppure misurare la performance ci serve, eccome

Non stupiscono, pertanto, i dati dei colleghi che mostrano che per quasi l’80% del campione di dirigenti pubblici intervistati lo scopo dei sistemi di misurazione delle performance è la determinazione della premialità. Nei fatti, sono nati prima i premi e gli incentivi. Ormai quasi quarant’anni fa. E, con loro, il problema di trovare qualcosa a cui ancorarli. La misura è sempre stata vassalla. E a questo si è piegata. Perdendo di senso, di mordente, di ogni possibilità generativa. Quindi? A mare gli strumenti di misurazione della performance? No!

Dovendo scegliere cosa buttare dalla torre, rinuncerei volentieri a tutto l’inutile apparato di incentivi e premi (ad uno dei prossimi post l’argomentazione sul perché – tra l’altro – non migliorano le performance). Ma non agli strumenti che ci permettono di rendere più tangibile e meno astratto il valore prodotto dall’azione pubblica. Più è immateriale il “prodotto” generato – assicurare la giustizia, aumentare la sicurezza, tutelare la salute, garantire l’istruzione – più occorre intendersi su quali fatti scegliamo come riferimento per poter dire che la missione è assolta. A livello di singole strutture, se non ho chiaro quale servizio sto offrendo, a chi è destinato e con quali risultati, non solo non ho alcuno orientamento per la gestione (allocare meglio le risorse, migliorare il servizio), ma condanno i dipendenti a svolgere azioni routinarie, prive di significato tangibile al di fuori dell’azione stessa. Pensiamo, ad esempio, all’avvocatura di un ente: un conto è pensare che il lavoro sia scrivere pareri; un altro è pensare che lo scopo sia ridurre il numero di contenziosi e aumentare il tasso di cause vinte. La prima è una routine. La seconda è una sfida, certo più interessante per chi ci lavora, che richiede di essere monitorata con un paio di misure.

Più è immateriale il “prodotto” generato – assicurare la giustizia, aumentare la sicurezza, tutelare la salute, garantire l’istruzione – più occorre intendersi su quali fatti scegliamo come riferimento per poter dire che la missione è assolta.

Da dove ripartire, per cambiare musica?

Quale performance vogliamo per il futuro della PA nel nostro Paese, si chiedono i colleghi Giacomelli, Rota e Valotti. Penso che questa sia la domanda chiave, cui siamo chiamati a rispondere, per smettere di "cantarsela e suonarsela", con la compiacenza degli OIV. Ci sono tre cose, per cominciare, da cui si potrebbe ripartire.

  • Scopo: Superare la cultura della colpa, per favorire quella della responsabilità. Misurare aiuta conoscere meglio, a capire cosa funziona e cosa no, a cambiare, a innovare. In una parola, a gestire con responsabilità. Se le informazioni sono usate come una clava, per sorvegliare, punire o premiare, non se ne esce.
  • Metodo: Rinunciare al simulacro della misura perfetta e assoluta del Tutto e accettare la fisiologia della parzialità. Le misure sono uno sguardo sempre incompleto. Sono una prospettiva, da cui descrivere un fenomeno. Non coincidono col fenomeno. Prendiamone atto e impariamo a sceglierle – anche con processi negoziali – e a leggerle.
  • Utilizzo: Rendere le informazioni intellegibili e disponibili ai suoi destinatari target. Se i piani della performance sono pubblicati sui siti per rendere conto del valore generato da un’amministrazione, non è certo un pdf di 150 pagine che assolve il compito. Se i destinatari sono i decisori, i dati rilevanti devono essere disponibili e aggiornati in tempo reale, non certo una volta all’anno. Se sono i dipendenti, devono essere comunicati con frequenza ed affidabilità. Difficile che lo stesso strumento serva contemporaneamente troppi padroni e troppe esigenze informative, interne ed esterne.

 

PS: Chi ha piacere di partecipare al dibattito, può farlo commentando qui sotto. I commenti appariranno dopo le 8 di sera.

PPS: Per restare aggiornati, canale Telegram #ValorePubblico: https://t.me/valorepubblico 

SHARE SU