
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 21 mag 2025
- 17 giorni
- Blended
- Italiano
Fornisce le conoscenze e gli strumenti fondamentali per un effettivo esercizio della funzione di direzione della PA.
Ci eravamo lasciati, nell’ultimo post, con la notizia di un’iniziativa europea per promuovere, tra le altre cose, la leadership della dirigenza pubblica degli stati membri. Di qui, la necessità di definire un modello convergente di competenze per tutto il senior civil service europeo. Ma un modello c’è già! Per quanto emergente dall’analisi comparata dei framework adottati dai singoli sistemi amministrativi europei. In un articolo che sarà pubblicato nel prossimo numero della rivista Azienda Pubblica, con le colleghe Lorenza e Marta Micacchi, Lavinia Lenzi e Marta Barbieri, abbiamo analizzato i modelli di competenze per la dirigenza pubblica di 15 paesi, di cui 11 europei, e li abbiamo confrontati con quanto emerge dalla letteratura accademica (il cui racconto, in chiave divulgativa, è il contenuto del libro “Public Leadership” uscito lo scorso maggio). Di seguito, una premessa e alcuni dei risultati emersi.
La premessa riguarda perché questi modelli considerano prevalentemente le competenze trasversali.
Con riferimento alla dirigenza pubblica è poco interessante indagare le competenze tecniche.
Non perché nella direzione di un apparato ad alto tasso di specializzazione (dalla disciplina della previdenza al regime degli aiuti di stato) la conoscenza di settore sia irrilevante, ma perché nel nostro modello di dirigenza pubblica – anche di promozione interna – tale conoscenza è largamente sopravvalutata, almeno tanto quanto è sottovalutata la capacità della dirigenza di dirigere. Un sistema che consegna il ruolo di capo al più preparato tecnicamente non è “meritocratico”, ma autolesionista. Perché più è ampia la sfida manageriale, più a fare la differenza è l’insieme di capacità che consentono di attivare, organizzare e gestire le risorse necessarie – materiali, umane e simboliche – funzionali al raggiungimento degli obiettivi assegnati. Pertanto, dotarsi di un modello di riferimento che renda esplicito questo set di competenze è alla base di qualunque processo di gestione della dirigenza pubblica: dalla selezione alla valutazione, dalla formazione alla gestione (verticale ed orizzontale) delle carriere. Con riferimento alle competenze della dirigenza, si parla in genere di modelli di leadership, perché il focus è su un ruolo che - per sua natura - esprime la sua efficacia nell’esercizio di un potere di influenza verso i membri del proprio team, oltre che nelle relazioni tra pari e con la parte politica. Ecco perché si parla, in genere, di leadership model.
Venendo ai risultati, il primo risultato sembra ovvio, ma forse non lo è: l’Italia ha aspettato il 2022 per dotarsi di un modello di leadership per la dirigenza pubblica. L’ha fatto per disciplinare una specifica sottospecie di accesso al ruolo, ma – quasi incidentalmente – ha offerto un framework valido anche per altre finalità. Altrove tali modelli sono in uso da tempo: in Svezia dal 2008, in Austria dal 2010.
Il secondo riguarda gli elementi di convergenza:
la capacità di guidare le persone unita a quella di gestire il cambiamento e favorire l’innovazione si affermano come le competenze più frequenti e, quindi, riconosciute.
Questo dato me ne richiama un altro: una ricerca condotta qualche anno fa da SDA Bocconi dava voce ad un campione di circa 400 tra dirigenti e funzionari con ruoli di coordinamento della PA centrale. Per gli intervistati, la gestione delle persone era in assoluto la competenza più rilevante nel loro mestiere, ma – allo stesso tempo – anche quella in cui tutti dichiaravano di sentirsi più incerti. D’altro canto, la poca formazione erogata da anni si limita all’aggiornamento su come fronteggiare le novità normative (nuovo codice degli appalti, normativa privacy, PIAO, sicurezza sul lavoro, il nuovo contratto collettivo, la nuova disciplina sui concorsi, etc…) e non resta granché per lavorare allo sviluppo delle competenze di leadership nella PA.
Terzo, è interessante guardare anche agli elementi di divergenza. I paesi del Nord Europa pongono molta attenzione sulla competenza di gestire il team in modo inclusivo e attento agli elementi di diversità, che sempre di più non è solo un fatto di genere, ma generazionale e culturale. Come si è già detto, le differenze di genere, età e di origine culturale nella PA sono una sfida troppo poco considerata, cui molti dirigenti sono impreparati. E l’Italia? Nemmeno nel codice di comportamento appena rivisto (DPR 81 13 giugno 2023) si fa gran cenno al tema della diversità, se non con riferimento al ripudio del mobbing e di altre forme di molestie o discriminazioni: siamo ancora lontani dal considerare la diversità un valore e l’inclusione come una pratica attiva che non coincide solo con l’eliminazione della patologia.
Un punto di attenzione riguarda il confronto tra quanto emerge dalla ricerca scientifica e la pratica:
nella letteratura si sta affermando una nozione di public leadership centrata sulla collaborazione, che nei modelli analizzati tende ad essere poco menzionata, per quanto non assente.
Sono gli accademici che si sono innamorati di un modello poco riconosciuto nelle amministrazioni, o nelle amministrazioni si tende a sottovalutare il ruolo cruciale che la dirigenza pubblica può avere nel favorire pratiche collaborative inter-dipartimentali, ma anche inter-istituzionali e inter-settoriali? Eppure sembra proprio il tassello che manca per realizzare le opere del PNRR, visto che vivono di interdipendenze costanti. Con i colleghi Veronica Vecchi, Niccolò Cusumano e Lorenzo Motta l’abbiamo chiamata Leadership per gli investimenti. Dovessi fare oggi una scommessa, è su questo ambito di competenze che punterei per favorire una nuova generazione di dirigenti pubblici.
Torneremo a parlarne… a settembre! Buona estate!
PS: un grande in bocca al lupo a quanti la passeranno a prepararsi per le prove scritte del 9 corso concorso!