#ValorePubblico

Buone (amare) vacanze, tra INVALSI e vaccinazioni incompiute

Anche quest’anno, l’ultimo post di #ValorePubblico prima della pausa estiva è dedicato alla Scuola, i cui ritmi scandiscono un po’ anche quelli di questo Blog. Sono giorni duri questi ultimi, tra gli esiti degli INVALSI e i dati sugli insegnanti non vaccinati. Due i numeri che raccontano di una scuola in difficoltà: il primo è 25% l’altro è 54%.

 

25% è la quota di insegnanti che non ha copertura vaccinale, secondo il Report ministeriale che sta agitando la politica, incerta sulla via da seguire su come incentivare (o obbligare?) le somministrazioni almeno per il personale scolastico. Alcuni dati (Fonte: Open) mostrano anche un certo divario nei comportamenti dei docenti tra le regioni: se la media di copertura è del 75%, la Calabria si ferma a poco sopra il 67% e la Sicilia non arriva al 60% (56, 42%). Se la reazione di molti è di preoccupazione rispetto alla capacità di tenuta del sistema scolastico all’urto delle varianti in agguato, quando 1 insegnante su 4 non ha protezioni contro il virus, colpisce anche che venga proprio dal mondo della Scuola questa risposta di diffidenza nei confronti delle istituzioni e della comunità scientifica. Gli stessi insegnanti che (giustamente) lamentano di essere stati nel tempo defraudati dell’autorevolezza che il ruolo sociale consegnava loro agli occhi di studenti e famiglie, sono gli stessi – o almeno un quarto di loro – che hanno scambiato la portata rivoluzionaria del pensiero critico della post-modernità con forme di nichilismo scientifico dove il relativismo si confonde con la superstizione.

 

54% è il numero di studenti delle scuole superiori che non raggiunge un livello sufficiente di competenze matematiche commisurate al livello scolastico relativo, secondo i dati delle prove INVALSI appena pubblicati. In altre parole, la matematica – il linguaggio della logica e del pensiero astratto, lo strumento per accedere alle informazioni della divulgazione scientifica di base – è competenza acquisita in maniera sufficiente solo per una minoranza. Non va molto meglio alle scuole medie, dove il tasso di chi non arriva all’asticella minima è del 45%. Il dibattito attorno a questi numeri si è molto incentrato sul learning loss, ovvero sulla perdita di competenze causate da una prolungata assenza da scuola (come si è detto anche qui), come è accaduto negli ultimi due anni scolastici. I dati, infatti, registrano un tracollo dell’apprendimento e puntano il dito sulla scarsa efficacia della DAD prolungata: dal 2019 sono aumentati di 9 punti gli studenti incompetenti in matematica (e anche in italiano) delle superiori; alle medie di 6 punti dal 2019 e di 5 dal 2018 (a indicare che era in corso un lieve miglioramento, bruscamente interrotto). A rimanere indietro sono soprattutto gli studenti che provengono da contesti culturalmente più fragili, suggerisce il report, denunciando però anche la difficoltà di misurare questi aspetti. Non sorprende fatto, come si è profeticamente e tristemente detto anche su questo blog, che senza Scuola in presenza le diseguaglianze tendono fatalmente ad aumentare. Ma balza agli occhi un altro dato, verosimilmente meno collegato alla congiuntura pandemica: il 54% di incompetenza matematica sfonda il 70% in alcune regioni del Sud, come Campania, Sicilia e Calabria. Ancora una volta, il divario latitudinale è nel nostro Paese resta drammatico e non accenna a ridursi.

Abbiamo stipulato un patto implicito e scellerato tra Paese e Scuola, per cui poco si investe e poco si pretende? Abbiamo smesso di fidarci (e quindi di investire nella Scuola), che risponde con altrettanta sfiducia?

Per interpretare questi dati, forse occorre aggiungerne un altro, che non è sui giornali, perché ormai non è più una notizia: secondo dati OCSE (2020) l’Italia continua ad essere tra i Paesi che spendono meno in istruzione, sia in valori assoluti, come spesa pro-capite ($10.473 contro $11231 media OCSE), sia relativi, rispetto al PIL (3,9% vs. 5% media OCSE), ed alla spesa pubblica (7% vs. 11% media OCSE). Posto che tre quarti della spesa in istruzione è costituita un po’ ovunque in stipendi per gli insegnanti, a essere sottopagati – rispetto alla media – sono proprio i docenti: un professore di liceo in Italia prende quello che prende un maestro elementare all’estero (media OCSE). In media, un insegnante – grosso modo in ogni ordine di scuola – guadagna oltre il 10% in meno rispetto ai colleghi internazionali e ha possibilità dimezzate di vedere crescere nel tempo, per meriti ed anzianità, il proprio stipendio.

 

Il quadro è troppo complesso per trarre frettolose conclusioni o costruire teoremi attorno ad alcuni dati. Ma alcune domande sono incomprimibili: abbiamo stipulato un patto implicito e scellerato tra Paese e Scuola, per cui poco si investe e poco si pretende? Abbiamo smesso di fidarci (e quindi di investire nella Scuola), che risponde con altrettanta sfiducia? Se la Scuola di oggi è la profezia del mondo di domani, quale futuro ci aspetta?

 

Domande rimandate a settembre, con #ValorePubblico. Buone Vacanze!

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