#ValorePubblico

Quale leadership per la gestione delle emergenze?

Questa è la domanda che ci ha rivolto qualche mese fa l’Ing. Fabrizio Curcio, esperto di gestione di grandi emergenze, Capo del Dipartimento Casa Italia, già Capo della Protezione Civile, curatore dell’ultimo numero della rivista L’Ingegnere Italiano, interamente dedicato al tema dell’Emergenza e da poco pubblicato. Con le colleghe Silvia Rota ed Elisabetta Trinchero, con cui da qualche anno ci dedichiamo al tema, abbiamo provato a rispondere con una sintetica ricognizione degli studi internazionali più significativi e affidabili. Di seguito alcuni estratti del nostro contributo.

 

 

La gestione delle emergenze come campo di ricerca negli studi di PA

(…) Cos’hanno in comune un’epidemia con un terremoto o l’acqua che all’improvviso non basta per servire la Capitale, ma anche l’arrivo in pochi giorni di migliaia di profughi Siriani nella Stazione Centrale di Milano, uno scandalo per corruzione politica o il collasso finanziario di una grande città? Poco, si potrebbe dire a prima vista. (…) Eppure, ciascuna di queste situazioni può essere definita “crisi”, in quanto determina “una seria minaccia alle strutture di base o ai valori e alle norme fondamentali di un sistema e dove le decisioni critiche devono essere prese rapidamente e in condizioni di estrema incertezza” (Rosenthal et al. 1989).(…) Negli ultimi 10 anni la ricerca sulla gestione delle emergenze nel campo degli studi di pubblica amministrazione ha conosciuto una svolta critica sul piano del metodo. Infatti, i precedenti dieci anni sono stati dominati da “studi di caso” delle grandi catastrofi del tempo, come la gestione della città di New York conseguente all’attacco delle Torri Gemelle e la gestione dell’emergenza Katrina (…). Più recentemente, invece, è apparsa evidente la necessità di superare l’approccio narrativo allo studio di caso singolo e di affinare metodologie di ricerca capaci di enucleare apprendimenti generalizzabili, attraverso – ad esempio – approcci comparati. (…)

Il lavoro preparatorio e di addestramento che precede la gestione delle crisi permette ai membri non solo di acquisire fiducia reciproca, ma anche di fidarsi di modelli organizzativi meno gerarchici e di imparare a collaborare in setting complessi.

Tre ricerche, stessi esiti: non solo gerarchia, ma fiducia e collaborazione

Uno dei contributi più interessanti a riguardo è lo studio condotto da Moynihan (2009) volto ad analizzare l’applicazione del metodo ICS (Incident Command Systems) in cinque crisi di diversa natura (ambientali, sociali, criminali, etc…) negli Stati Uniti. (...) Lo studio dimostra che l’efficacia di tale metodo si basa essenzialmente sull’implementazione di logiche di collaborazione informali, dove l’autorità è nelle pratiche condivisa, anche laddove l’ICS prevede che sia accentrata, e la fiducia reciproca, più che la procedura codificata, assicurano l’integrazione tra le parti.

Coerente con gli esiti di questo studio è quello condotto da Hu Qjan (2014) sulla gestione della città di Boston a seguito degli attentati in occasione della maratona del 2013. L’efficacia della collaborazione tra le istituzioni cittadine, le forze di sicurezza, le strutture sanitarie e tutti i soggetti coinvolti nella gestione della crisi è da attribuirsi – secondo l’autore – non tanto alla qualità in sé dei piani di gestione di emergenze di natura terroristica, esito dell’esperienza di New York del 2011, quanto ai processi collaborativi che la scrittura di tali piani ha reso necessari e la reciproca conoscenza resa possibile dall’intensificarsi delle occasioni di incontro, quali ad esempio i momenti di addestramento alla gestione delle emergenze. (…)

A conclusioni convergenti perviene un recente studio condotto sulla gestione di emergenze locali in Germania (Berthod et al 2017): la ricerca mostra che una gestione efficace delle emergenze dipende dalla capacità degli attori coinvolti in un’emergenza di passare in tempi molto rapidi da modelli quasi gerarchici di organizzazione delle interdipendenze tra le agenzie o soggetti coinvolti, a modelli collaborativi di tipo reticolare, dove autorità, decisioni e informazioni sono condivise, a seconda del contesto e delle necessità sopraggiunte nel corso della crisi. Anche in questo caso, ciò che permette di passare continuamente da una modalità all’altra è il lavoro preparatorio e di addestramento che precede la gestione delle crisi, che permette ai membri non solo di acquisire fiducia reciproca, ma anche di fidarsi di modelli organizzativi meno gerarchici e di imparare a collaborare in setting complessi.

Il Leader nelle emergenze guida una rete, non solo un’organizzazione

In sintesi, la dimensione informale, la fiducia tra gli attori e le competenze collaborative sono essenziali per la gestione efficace delle emergenze. (…) Nei contesti emergenziali è in gioco una leadership di rete, ovvero l’efficacia del leader non si misura solo sulla base della sua capacità di guidare i membri della propria squadra, ma di riuscire a orientare i comportamenti dei partner di istituzioni collaboranti e degli operatori appartenenti ad agenzie differenti. In tali contesti, difficilmente sono disponibili incentivi o sanzioni, pertanto la partita della leadership si gioca tutta sulla comunicazione. (…) Tra i comportamenti che la ricerca ha identificato come coerenti con questo stile di leadership vi sono ad esempio: la capacità di attrarre ed attivare risorse materiali e umane tra gli stakeholder; la capacità di offrire agli attori della rete un’identità comune che favorisca la collaborazione, attorno ad una visione condivisa; la capacità di riconoscere e legittimare i bisogni e gli interessi dei singoli membri della rete e, all’occorrenza, di negoziare e gestire i conflitti; la consuetudine a condividere le informazioni a livello di rete, anche al fine di promuovere la condivisione della responsabilità e incoraggiando l’autonomia decisionale dei membri della rete. (…)

Tre consigli per i leader nelle emergenze

Cosa si può imparare dai risultati della ricerca per contribuire a gestire tale complessità? In sintesi tre cose. Primo: riconoscere, invece di negare, le interdipendenze tra soggetti istituzionali di livelli diverso, o con missioni differenti, o tra pubblico e privato e favorire il prima possibile la partecipazione più ampia possibile alla definizione dei problemi e, quindi, alla costruzione delle soluzioni. Secondo: allenare le istituzioni pubbliche a collaborare, a conoscere i propri partner, a sperimentare con loro modelli di coordinamento basati sulla collaborazione, invece che sulla subordinazione. Terzo: affidare le istituzioni pubbliche – soprattutto quelle più esposte alla gestione di emergenze – a leader capaci di favorire pratiche collaborative tra attori diversi e con interessi divergenti perché non perde il senso della meta, di guidare la costruzione di decisioni complesse attraverso la condivisione delle informazioni e la partecipazione al processo di tutti gli attori rilevanti, senza rinunciare ad assumersi la responsabilità finale della decisione.

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