Cantieri di ricerca

Misurare il valore sociale delle case pubbliche

In passato, in anni di forte crescita economica e fabbisogno di manodopera nelle città, i flussi migratori (in larga parte interni) e le trasformazioni sociali sono stati accompagnati dalla costruzione di un ampio stock immobiliare (le c.d. ‘case popolari’), grazie ad un fondo ad hoc finanziato da un contributo obbligatorio a carico dei lavoratori e delle imprese integrato da risorse pubbliche. Chi aveva un lavoro aveva anche una casa ad affitti calmierati e nonostante i limiti dei quartieri popolari, spesso legati a scelte urbanistiche poco avvedute nel creare nuove periferie poco servite, questo modello ha assicurato un buon livello di coesione sociale nelle città. Da quasi trent’anni questa realtà non esiste più: il patrimonio immobiliare è passato alla proprietà pubblica (in genere di enti controllati dal livello regionale), il fondo è stato chiuso e si è smesso di costruire nuove case.

 

Oggi il patrimonio di edilizia residenziale pubblica resta sostanzialmente quello di allora, ma con un profilo di abitanti che nel tempo è cambiato: alcuni quartieri pubblici vedono la concentrazione di forme di fragilità che rischiano di acuire la distanza tra gli inquilini e il resto della popolazione, riducendo la capacità del servizio di essere vettore di promozione sociale. Ma non è un destino già scritto. Riconoscere la trasformazione strategica vissuta dalle aziende casa (le aziende pubbliche incaricate di gestire il patrimonio edilizio abitativo, ex IACP) e iniziare a rappresentare la componente di valore sociale ed extra-economico da loro prodotto è un passo fondamentale per riportare la questione abitativa al centro del dibattito e rispondere in maniera più incisiva ai bisogni degli inquilini.

Le domande

In un contesto di forte tensione abitativa, oggi nei grandi centri urbani emerge sovente la critica alle aziende casa, accusate di scarsa efficienza nell’assegnare e manutenere gli alloggi del proprio patrimonio. Questa rappresentazione, tuttavia, non tiene conto del cambiamento che le ha investite: un brusco stop alla costruzione di nuovi alloggi a fronte di una pressione abitativa crescente, unita a fenomeni di impoverimento del nuovo inquilinato. Gli affitti, infatti, sono commisurati al reddito e alle caratteristiche degli inquilini, che oggi sono tipicamente indigenti e caratterizzati da molteplici forme di fragilità, lontani dal profilo tipico dei lavoratori entrati prima degli anni ‘90. Di conseguenza, i canoni applicati risultano ben al di sotto dei valori di mercato e dei costi di gestione.

 

Le aziende si sono, perciò, trovate a dover mantenere un patrimonio ingente e vetusto facendo affidamento quasi esclusivo su canoni non di mercato e che, in realtà, consentivano una copertura solo parziale delle spese. Da una nostra indagine del 2021 su 10 grandi aziende casa distribuite su tutto il territorio nazionale, risultava che i canoni coprono solo il 45% delle spese aziendali. Un sistema così disegnato comporta numerosi effetti controversi, tra cui:

 

  • Molte abitazioni rimangono vuote perché, quando gli inquilini cessano di abitarle per qualsiasi motivo, le aziende non hanno la disponibilità economica necessaria a riattarle.

 

  • Parte del patrimonio viene venduto per sostenere l’equilibrio di bilancio, riducendo il bacino di alloggi disponibili.

 

  • La morosità tra gli inquilini aumenta, poiché i nuovi ingressi sono tipicamente indigenti e con molteplici fragilità sociali, compromettendo ulteriormente la sostenibilità economica e sociale delle aziende.

 

  • Per le aziende risulta più vantaggioso incentivare la permanenza dei nuclei familiari che appartengono a fasce reddituali più alte, e pertanto coprono con i loro canoni parte dei costi di gestione anche delle unità abitative assegnate ai più fragili.

 

Per queste ragioni, se l’aspettativa verso queste aziende è che siano finanziariamente autonome, è evidente che si tratta di un obiettivo destinato a non essere centrato. Ma è questo il valore atteso dalle aziende di gestione? Come catturare una nozione di valore generato che non sia solo economico e che guardi al lavoro di welfare che si produce attorno ad un servizio abitativo pubblico per persone affette da forme di svantaggio diverse, a partire da quello economico?

Lavoro sul campo

Lo studio confluito nel libro La gestione strategica dei servizi abitativi (curato con Massimo Bricocoli del Politecnico di Milano) è l’ultimo passo di un percorso di ricerca che dura da più di sette anni, molti dei quali ispirati dalla collaborazione pluriennale con Federcasa e con molte delle aziende aderenti, a partire da quelle lombarde.

 

Nel 2019 abbiamo concluso la prima fase definendo (in un volume curato con Giovanni Fosti) il Valore pubblico delle Aziende Casa ed evidenziando, con l’aiuto dei dirigenti apicali delle aziende, il cambiamento strategico in atto nelle aziende, da enti gestori di patrimonio pubblico a erogatori di servizi al confine con il welfare.

 

“L’edilizia residenziale pubblica è il terreno di convergenza delle questioni sociali più urgenti del contemporaneo,” scrivevamo. “Molti, tra coloro che vi abitano, assommano su di sé più di una forma di fragilità, oltre ad un reddito basso (…). Inevitabilmente questa complessità e disagio sociale entrano nei processi produttivi delle aziende casa: mettono in crisi i sistemi di assegnazione, rendono più difficile la gestione delle occupazioni abusive, generano forme diverse di morosità, deprimono il personale a maggior contatto con l’utenza.”

 

Nel 2021 abbiamo presentato Management dei servizi abitativi pubblici, una raccolta di 10 casi studio, che leggono altrettante aziende casa secondo le variabili aziendali: governance, bilancio, rapporti con il mercato, modelli di servizio, illustrando le principali sfide manageriali cui questi enti sono sottoposti.

 

Con il recente La gestione strategica dei servizi abitativi, siamo andate sul campo con un team di 7 ricercatrici e ricercatori SDA Bocconi (Vittoria Baglieri, oltre alle scriventi) e del Dipartimenti di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano (Massimo Bricocoli, Emanuele Belotti, Marco Peverini, Constanze Wolfgring), realizzando cento interviste a inquilini di case popolari di ALER Milano (uno dei gestori del patrimonio pubblico operativi a Milano), per indagare in che modo diversi modelli di gestione dei servizi abitativi possano sostenere la capacità del servizio di generare maggiore inclusione sociale nei quartieri.

 

Dalle interviste emerge che il principale elemento di valore per gli inquilini di stare in un alloggio pubblico è quello di protezione sociale ed inclusione. Questo patrimonio può rappresentare un approdo sicuro per individui e famiglie in difficoltà, contribuendo alla coesione sociale e alla stabilità economica in una città esposta a forte tensione abitativa come Milano.

 

La comparazione di esperienze differenziate di gestione dei servizi abitativi realizzati all’interno dello stesso patrimonio ALER ha consentito di enucleare gli elementi del modello che è più in grado di produrre valore per gli inquilini. Il modello che funziona è quello che si basa su servizi di prossimità e figure di presidio (a partire dalla presenza del custode) che svolgono una funzione di antenna sociale e di garanzia del rispetto del patto di convivenza, contribuendo alla riduzione del conflitto. Abbiamo chiamato questo modello di gestione “strategico” perché integra aspetti tecnici, amministrativi e sociali: è dalla gestione di questioni tecniche ed amministrative che si possono prevenire o gestire criticità di natura sociale e viceversa. Questo approccio promuove una visione integrata e proattiva nella gestione dei servizi abitativi pubblici, che consente di fare del patrimonio di edilizia residenziale pubblica oggi un presidio di coesione sociale e di argine alla marginalità.

Guardando avanti

Attualmente stiamo lavorando per intrecciare le rilevazioni qualitative sul valore della casa pubblica con i dati di un’azienda casa del centro Italia, per illustrare per la prima volta in maniera completa il valore economico e non economico generato dai servizi abitativi pubblici.

 

Nel frattempo, SDA Bocconi è entrata a far parte di un consorzio europeo che, da febbraio 2024, lavora al progetto Horizon HouseInc - Inclusive, affordable and sustainable housing for marginalised communities. Questo progetto ha l’ambizione di osservare la questione abitativa e le disuguaglianze anche al di fuori delle case pubbliche, per indagare possibili soluzioni che possano mitigare la disuguaglianza abitativa per le comunità più vulnerabili in Europa. Studieremo i business model più interessanti, le iniziative di innovazione sociale più promettenti e le soluzioni tecniche (tra cui, di efficientamento energetico) più convincenti per ridurre le diseguaglianze abitative: stay tuned!

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