#ValorePubblico

Spunti di Management Pubblico delle Case Popolari

Giovedì scorso, nell’ambito dell’assemblea Federcasa, si è chiusa con la consegna dei diplomi la seconda edizione di CasaManager, un Corso di Perfezionamento Universitario per i Manager delle Aziende Casa, ovvero le aziende di gestione del patrimonio ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), proposto da SDA Bocconi in partnership con Federcasa. Per Eleonora Perobelli e me è stata anche l’occasione per presentare gli esiti di una ricerca sul settore, che ci dice che per l’ERP è in un momento di svolta. Di seguito, la traccia degli appunti del dibattito.

 

Abbiamo preso 10 tra le più grandi aziende che gestiscono case popolari (da sole si occupano del 20% di tutto il patrimonio nazionale) e le abbiamo radiografate. Ci interessava capire come (e se) tengono insieme la missione pubblica – dare una casa a chi è tagliato fuori dal mercato – con la richiesta di essere autonome sul piano economico (finanziare la gestione con i canoni di locazione). Non è una missione impossibile, almeno sulla carta. Non lo era in passato, quando l’utenza era in larga parte composta da famiglie operaie emigrate dalle campagne o dal Sud verso i centri produttivi. Quando la composizione sociale dei quartieri delle case popolari era più uniforme. Quando il problema della sostenibilità delle aziende sembrava solo un tema di riduzione degli spechi e di efficientamento della gestione. Ma oggi? Questo modello tiene ancora?

 

A guardare i dati, verrebbe da rispondere di no. Meno della metà dei ricavi in media arriva dai canoni di locazione (45%): senza vendere anche servizi complementari (di gestione e facility management agli enti locali proprietari di quota parte del patrimonio, o servizi a bollettazione all’utenza) i bilanci non si chiudono. E non possiamo nemmeno dire che i canoni siano troppo bassi: se in passato abbiamo osservato una certa inerzia nel riaggiustare verso l’alto le tariffe per categorie di utenza che restavano nell’ERP anche a fronte di condizioni economiche migliori rispetto a quelle di partenza, i dati ci mostrano che il 78% dei nuovi utenti (a fronte del 50% rispetto agli utenti ‘storici’) è in fascia di protezione, ovvero è in condizioni reddituali talmente svantaggiate da ricevere la tariffa locativa minima, ben lontana dal coprire i costi di gestione.

 

A questa tensione sul fronte delle entrate, le aziende hanno risposto contenendo le spese, talvolta però confondendo la ricerca dell’efficienza con la progressiva erosione della capacità operativa. Alcune scelte, come ad esempio la rinuncia al riscaldamento centralizzato a favore del termoautonomo o della gestione diretta degli stabili a favore di forme di gestione condominiali, hanno sì responsabilizzato l’utenza, ma al costo di ridurre i margini di intervento su un patrimonio vetusto, cronicamente ipo-manutenuto (sia per carenza di risorse sia per alcuni limiti alla capacità di programmazione) e largamente inutilizzato, per via dei tempi di riattazione (il 12% è sfitto), ma anche perché allocato sulla base di bisogni di ieri (il 65% dei nuclei familiari ospitati nelle case ERP è composto da un singolo o due persone, benché gli alloggi siano in genere di ampie metrature e pensati per famiglie numerose).

 

Che fare, dunque? Le piste di lavoro sono tante. In primo luogo occorre lavorare alla costruzione di una diagnosi ampia, dove la dimensione economica e quella sociale, ma anche ambientale, urbanistica, etc… siano integrate. Questa diagnosi occorre sia oggetto di lavoro non solo delle aziende, ma anche dai livelli di governo coinvolti nelle politiche della casa: dal Comune alla Regione, arrivando fino al livello ministeriale. È infatti attraverso una più chiara definizione del sistema di bisogni cui queste aziende sono chiamate a rispondere, che si possono riscrivere le missioni, i modelli organizzativi, i sistemi operativi e i meccanismi di finanziamento e rimborso di queste aziende.

 

Con la nostra ricerca abbiamo inteso dare un contributo in tal senso. E alcune idee diventano anche realtà, quando la formazione si fa laboratorio di sperimentazione: i premi ad Acer Bologna ed Ater Trieste per i progetti di innovazione capaci di rinnovare i modelli di gestione vanno in tal senso. Non vediamo l’ora di ricominciare con la Terza Edizione!

 

 

Un enorme grazie va in primo luogo ai coraggiosi 35 partecipanti provenienti da 16 aziende e una Direzione Regionale che hanno seguito il corso un po’ in presenza e in parte a distanza, a causa del Covid, senza perdere in grinta e motivazione: Carola Airoldi; Arianna Bacchia; Marco Barone; Marco Bertuzzi; Carlo Bottecchia; Luigia Brizzi; Cinzia Brosch; Simona Calabrese; Antonio Cazzaniga; Paolo Ciampi; Vincenzo De Devitiis; Francesca Di Candia; Lina Ferrari; Laura Folco; Anna Gamanets; Eva Gazzillo; Ivano Gobbi; Silvano Librera; Adele Marina Lombardi; Ferruccio Masetti; Carlotta Nazzicari; Michela Pancaldi; Donato Pascarella; Sabrina Petroni; Giuseppe Pirriatore; Marco Praderio; Valentina Pratesi; Enrica Premoli; Simone Presacco; Nicoletta Preti; Katia Sireci; Luca Talluri; Domenico Varacalli; Giuseppina Vigliotti; Francesco Villari.

Grazie anche a Federcasa e alle persone che hanno guidato, guidano e guideranno questa associazione, che oggi ha la possibilità di giocare una partita chiave per le sorti delle politiche della casa, in tempi di PNRR.

Infine, un enorme grazie a i colleghi faculty di SDA Bocconi, che hanno lavorato con una passione ed energia speciale al progetto: Marta Barbieri, Niccolò Cusumano, Giovanni Fosti, Alessandro Furnari, Giorgio Giacomelli, Francesco Longo, Giacomo Morri, Eleonora Perobelli, Silvia Rota, Renata Trinca Colonel, Giovanni Valotti, Veronica Vecchi. Grazie anche alla nostra Program Office Cristiana Testa per il supporto fondamentale per la realizzazione del programma.

 

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