Sotto la lente

Il ponte di Genova: una buona pratica di collaborazione tra pubblico e privato

Sono 5,1 i miliardi effettivamente spesi a valere sul PNRR nel 2021, invece dei 13,7 ipotizzati, ovvero meno del 40%, stando al rapporto dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). Questi dati spaventano alla luce delle scadenze (ma anche degli obiettivi ambizioni) del PNRR, piano di finanziamento che si attiva anche sulla base del rispetto dei tempi di costruzione delle opere. Per questa ragione, studiare il caso della costruzione del ponte San Giorgio a Genova mette a disposizione logiche e strumenti utili a vincere la sfida del PNRR, e in particolare quella relativa alla gestione delle opere pubbliche.

Che cosa ha fatto la differenza nel caso di Genova? A nostro avviso è stato l’approccio manageriale. La data di fine lavori non è mai stata messa in discussione e, attorno a questa, si sono costruiti percorsi amministrativi, tecnici e finanziari coerenti con lo sfidante obiettivo. Grazie anche alla capacità di costruire una solida alleanza con gli operatori privati.

Il caso del ponte San Giorgio, infatti, apre una prospettiva nuova per l’Italia, in cui la narrativa nazionale in tema di infrastrutture è sovente incentrata sui ritardi, sul contenzioso, sulla figura del commissario, sulla procedura di selezione. La ricostruzione del ponte mette invece in risalto tre elementi chiave.

Il primo è che l’ingrediente segreto per il successo non è sul piano normativo, con l’applicazione dello stato di emergenza, ma la capacità di far leva sul senso di urgenza: l’unica deroga nel processo di ricostruzione esercitata in virtù dei poteri commissariali, infatti, è riconducibile alla facoltà di applicare direttamente la Direttiva comunitaria sugli appalti (24/2014/EU), che non elude certo la comparazione competitiva tra più offerte. Al contrario, la necessità della città di Genova di tornare quanto prima alla normalità ha rappresentato la leva per contrastare e superare il rilassamento amministrativo. Oltre alla frattura morale, la città senza ponte costava ai cittadini e al sistema produttivo 6 milioni di euro al giorno.

Il secondo elemento riguarda la gestione dell’imprevisto: non esistono opere pubbliche senza inciampi, ma la chiave è nel metodo della loro gestione. A Genova la gestione del rischio di contaminazioni da amianto nella demolizione dei resti del ponte è stata improntata all’assunzione piena di responsabilità, senza rifugiarsi dietro pareri tecnici (pareri, appunto, non decisioni), ma anche senza paura del confronto con la popolazione.

Il terzo elemento ha a che fare con la natura della relazione tra l’amministrazione pubblica e gli operatori economici. In tal senso si è passati da un approccio di diffidenza sistematica a uno di alleanza, incentrata sulla generazione di valore pubblico. Questo ha permesso di gestire con un maggiore orientamento al risultato da entrambe le parti gli imprevisti e le fisiologiche criticità.

Il caso del ponte di Genova stimola alcune riflessioni utili al dibattito sulla gestione delle opere pubbliche, tema al centro del dibattito anche in considerazione dell’opportunità ma anche de tempi stretti del PNRR. Qual è il ruolo dei commissari? E qual è il modello di collaborazione tra pubblico e privato? E, infine, che cosa di questa esperienza si presta a essere replicato?

A giudicare dall’esperienza della ricostruzione del ponte San Giorgio, far coincidere il ruolo del commissario con quello dell’amministratore, in questo caso il Sindaco, figura la più prossima ai cittadini, sembra essere stata una soluzione vincente, per la vicinanza e il committment verso la città. Inoltre, sempre a supporto di questa scelta, non sfugge il vantaggio di poter allestire una struttura commissariale che si è potuta avvalere della collaborazione degli uffici comunali. Infine, la scelta di comporre una squadra che incorporasse le diverse «razionalità in gioco» (Corte dei Conti e Procura) segnala quanto l’orientamento al risultato non sia incompatibile col rispetto dei vincoli amministrativi.

L’esperienza del ponte di Genova ha messo anche in luce le competenze manageriali della figura commissariale. Un commissario capace di esprimere una forte leadership non solo politica verso il territorio, ma anche interna alla struttura commissariale e verso i partner economici; un capo che si è circondato di manager competenti e che ha saputo esercitare una committenza forte, orientata al risultato, rispettosa dei tempi e della qualità dei lavori e dell’impegno richiesti; un capo che ha saputo gestire il rapporto contrattuale non in chiave burocratico-amministrativa, ma esplorando e individuando la soluzione ottimale attraverso un processo di scambio continuo, anche negoziale, con gli operatori economici.

Il caso insegna, quindi, che servono manager pubblici dotati di visione, leadership e capacità di project management, che sappiano assumersi la responsabilità dell’urgenza, del rischio e della creazione di valore, capaci di guidare un team di competenze (interne ed esterne) e di interagire con il mercato per individuare e sperimentare percorsi di collaborazione nuovi, sostenibili e misurabili nei risultati. Diversamente dal passato, è necessario riconoscere che l’assunzione del rischio è una condizione di lavoro incomprimibile nella PA, perché solo in questo modo possono essere affrontate le grandi sfide. In questo contesto, serve quindi dare priorità alla strategia e al management e non al formalismo e alla ricerca del procedimento perfetto, che azzeri il rischio dell’errore. 

Il caso mette anche in luce il significato di valore pubblico come prerogativa non solo nella PA ma anche nel privato. Valore pubblico da intendersi non solo nella realizzazione di una infrastruttura, ma anche di un progetto che deve minimizzare i costi ambientali, sociali ed economici per la città. Un progetto che deve tutelare la sicurezza dei lavoratori e al contempo stimolare il mercato a mettere in campo le sue migliori risorse.

La gestione della comunicazione è forse il più chiaro esempio di come l’operatore economico abbia collaborato alla creazione di valore pubblico: non solo il valore economico e commerciale per la città, ma anche il valore emotivo della ricostruzione, il valore della trasparenza e dell’accountability verso i cittadini «proprietari» del progetto, il valore delle persone e delle competenze impiegate nel progetto, il valore educativo di un progetto che riporta al centro il saper fare infrastrutture e il ruolo dei progetti infrastrutturali. Il cantiere e le storie di chi ci ha lavorato è stato aperto virtualmente alla città, rendendo quindi la collettività partecipe del progetto di ricostruzione.

D’altra parte, lavorare con la PA richiede al privato la capacità di comprendere la complessità del contesto in cui opera l’amministrazione committente, ma anche il significato di interesse pubblico, concetto multiforme e multi-stakeholder, che sottende alla realizzazione di un investimento. Quando il privato è in grado di mettere in campo questo tipo di capacità manageriali si genera quella fiducia tra le parti che è l’elemento essenziale per governare la relazione pubblico-privato nell’esecuzione di un contratto d’appalto.

Quanto fin qui descritto ci porta infine a dire che la vera replicabilità e la vera portata innovativa del caso risiedono nell’abilità di far funzionare in maniera sincronica le competenze multidisciplinari presenti nella struttura commissariale; risiedono nella postura manageriale utilizzata per gestire il contratto e la relazione con gli operatori economici e nell’aver creato un commitment in tutte le persone, che con piccole e grandi azioni hanno contribuito a realizzare il progetto; risiedono, infine, nel diverso modello di collaborazione da parte degli operatori economici.

Quanto fatto a Genova va oltre la realizzazione di un progetto che ha rappresentato una risposta vincente a uno dei più gravi disastri infrastrutturali del Paese e del mondo. Motivato da un’amministrazione pubblica diversa e lungimirante, il privato ha dato il meglio di sé, schierando le sue migliori competenze, non solo per rendere possibile la realizzazione del ponte nel rispetto dei tempi, ma anche supportando il pubblico nei suoi obiettivi più intangibili, e in particolare nella costruzione della fiducia di tutti i portatori di interesse e, in primis, dei cittadini, contribuendo a dimostrare al Paese e al mondo intero che le infrastrutture, in Italia, possono essere realizzate velocemente e in modo trasparente.

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