Sotto la lente

Metaverso in cerca d’autore

Molti ricorderanno che lo scorso autunno Meta Platforms ha perso il 25 per cento del proprio valore azionario. Rispetto ai risultati comunicati nel rendiconto trimestrale, tra le altre cose i mercati reputavano eccessivo lo sforzo nella divisione Reality Labs, dedicata alla scommessa del metaverso1. Recentemente, il responsabile di tale divisione ha pubblicato un post nel quale si confermano grandi investimenti anche per il 2023. Da più parti, però, è stato notato un elemento curioso: nel messaggio di Andrew Bosworth non compare più la parola «metaverso», il che ha alimentato ipotesi su una possibile retromarcia. È più probabile che Meta sia ancora alla ricerca della definizione più appropriata da dare a questa idea, proprio come molti di noi.

Ma cos’è esattamente il metaverso? Quali sono le sue prospettive future? Con quanta convinzione un’azienda dovrebbe investire in questo ambito? Le nostre aspettative sono diverse a seconda che si dia al metaverso un’accezione più ristretta, come quella inizialmente sposata dall’azienda di Zuckerberg, o più allargata, come quella che proveremo a tratteggiare più oltre e che sembrerebbe in linea con il nuovo orientamento di Meta.

Cominciamo da tre considerazioni generali che rappresentano elementi di grande incertezza per il futuro.

  1. Il metaverso, nella sua accezione più ristretta di «mondo interamente virtuale», è uno spazio digitale nel quale le persone possono interagire con altri soggetti, oggetti o contenuti. Non è quindi un semplice prodotto ma una piattaforma, un network nel quale il valore scaturisce dalla condivisione di risorse. Da un punto di vista economico si configura come un multi-sided market, ovvero come un ambito nel quale il valore nasce proprio dall’incontro tra domanda e offerta (di intrattenimento, informazione, socializzazione, servizi, prodotti o quant’altro). Tale connotazione moltiplica per sua natura la complessità della sfida manageriale nelle fasi iniziali: occorre infatti mobilitare entrambi i «lati» del mercato (offerta e domanda). Per esempio, è necessario attrarre tanto gli sviluppatori di contenuti quanto i relativi consumatori, come in un classico chicken-egg dilemma: senza contenuti non arrivano gli utenti, ma senza utenti nessuno è motivato a sviluppare contenuti. Non a caso, in questi anni, Meta si è concentrata particolarmente nel dare supporto ai creator, perché riempissero di contenuti i suoi mondi virtuali, in primis quelli della piattaforma denominata «Horizon Worlds», un hub che offre esperienze multiplayer in realtà virtuale (VR) particolarmente immersive grazie all’utilizzo di visori e altri dispositivi hardware (un terzo lato del mercato da sviluppare). Da un punto di vista strategico, Horizon Worlds è una piattaforma a governance chiusa, ovvero con pieno controllo di Meta sulle regole di accesso. È quello che si direbbe un walled-garden: un ecosistema chiuso e centralizzato che aumenta le opportunità di profitto per il suo owner, ma le motivazioni per gli altri attori sul lato dell’offerta – che siano venditori di prodotti o servizi, sviluppatori di contenuti o altro – saranno proporzionalmente più basse, poiché questi soggetti avranno meno autonomia decisionale rispetto al padrone di casa. Pensando al circolo vizioso (o virtuoso) dell’uovo e della gallina, è evidente che questa minore attrattività sul lato dell’offerta è rischiosa per il decollo stesso del modello.
  2. Parafrasando un’acuta osservazione a proposito delle app, potremmo dire che una nuova tecnologia è come una barzelletta: se la devi spiegare, non funziona. Il metaverso, da questo punto di vista, non parte con le migliori premesse, visto che non ne è ancora emersa una definizione chiara e unanime. Già i primi studi sulla diffusione delle innovazioni sottolineavano come la probabilità o rapidità del successo sia legata, tra le altre cose, all’osservabilità immediata e tangibile dei vantaggi offerti (observability) e alla facilità con cui possono essere comunicati o fatti provare al pubblico (trialability). Per di più, il pubblico da convincere in questo caso è duplice (o triplice, se includiamo i produttori di hardware): i benefici dovrebbero essere chiari, immediati e tangibili sia per i player sul lato dell’offerta che sul lato della domanda. Meno li percepiamo come tali, più l’adozione dell’innovazione diviene problematica.
  3. Con l’eccezione di alcuni segmenti, la maggior parte delle persone vive una naturale resistenza al cambiamento. Significa che per le aziende è sempre difficile modificare abitudini ben consolidate nel cosiddetto «main market», soprattutto se per esse non emergono particolari insoddisfazioni. I cambiamenti, specialmente quelli che richiedono un riallineamento dei valori socioculturali o importanti costi iniziali (monetari, psicologici o cognitivi), riescono ad affermarsi solo in presenza di value driver con un appeal particolarmente forte, ovvero di «trigger» (o «killer application») che agiscano da potenti traini motivazionali. Pare che il metaverso, al momento, non abbia ancora trovato la sua killer application, che sia in ambito media, socializzazione o commerce. Questo, di nuovo, non incentiva l’attivazione dei nostri circoli virtuosi.



A fronte di tanti dubbi, però, lo scenario diventa meno pessimistico se allarghiamo la definizione di metaverso, interpretandolo come un continuum di tecnologie a diversi livelli di «immersività» e di «ibridizzazione». In altre parole, se non ci limitiamo a comprendere solo quelle piattaforme pensate come mondi totalmente virtuali, ma includiamo – più in generale – qualunque forma di integrazione della realtà fisica con quella digitale, allora la prospettiva cambia. In questa accezione, ci ritroviamo già oggi lungo un cammino iniziato ormai diversi anni fa e che verosimilmente proseguirà, in modo più o meno graduale, in direzioni diverse. L’incertezza sta qui.

In un simile continuum, il metaverso includerebbe svariate tipologie di tecnologie e applicazioni: dai semplici filtri AR che spopolano su Snapchat e TikTok alle app come quella di Esselunga, che a casa ci consente di inquadrare un detersivo quasi finito per inserirlo automaticamente nella prossima spesa a domicilio; dai social store di Burberry agli automated store di Amazon Go; dalle piattaforme per il social gaming, come Fortnite, fino agli Horizon Worlds, per calarsi nei quali occorrono anche nuove dotazioni hardware.

Per orientarci in questo nuovo spazio, potremmo immaginare almeno due dimensioni di rilievo, che meritano a nostro parere approfondimenti futuri.

  • Una dimensione attiene all’esperienza del cliente, che può essere definita sia dal livello di ibridazione tra realtà fisica e realtà digitale sia dal livello di immersività di tale esperienza. In che modo le aziende possono creare nuovo valore (funzionale, sociale o edonistico) combinando atomi e bit? In che modo le aziende possono creare nuovo valore arricchendo il grado di coinvolgimento sensoriale (cognitivo o emotivo) nei nuovi spazi aumentati?
  • Un’ulteriore dimensione fa riferimento al continuum tra centralizzazione e decentralizzazione delle soluzioni in questione, ovvero al grado di controllo (tecnico e strategico) nelle mani di ciascun player: con quali modalità e con quanti gradi di libertà un’azienda potrà catturare parte del valore generato? Il tema rimanda ai modelli di revenue, ma anche al cosiddetto Web3, ovvero a tutte quelle trasformazioni della rete sostenute dalle tecnologie blockchain, con la loro certificazione distribuita di proprietà e diritti.



Alla ricerca delle migliori soluzioni lungo questi continuum, le imprese devono apprendere più rapidamente dei concorrenti. Vista da questa prospettiva, la decisione di investire o meno nel metaverso cambia natura, grado di incertezza e rischiosità per realtà diverse in contesti diversi, con sfumature che sarà interessante approfondire in futuro.

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