
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 21 mag 2025
- 17 giorni
- Blended
- Italiano
Fornisce le conoscenze e gli strumenti fondamentali per un effettivo esercizio della funzione di direzione della PA.
Ai NON genitori – o a chi ha figli che da un pezzo non vanno più a scuola – chiarisco subito che questo NON è un post sulla scuola. Ma sul ruolo dell’utenza nei servizi pubblici e sulla responsabilità pubblica a riguardo. Mi scuseranno se ancora una volta attingo a questo pozzo senza fondo di spunti di public management che è il servizio scolastico in tempi di Coronavirus. Ma la storia della misurazione della febbre sulla soglia delle Scuole è letteralmente …bollente!
Ogni estate ha i suoi tormentoni. Musicali e non. Questa poteva regalarci l’occasione per vedere sbocciare sui media un appassionato dibattito sulle opportunità offerte dal Next Generation EU per il nostro Paese. E invece no. O meglio. Sono stati dibattiti di nicchia. Gli animi si sono scaldati su altro. Le discoteche, gli arrivi dall’estero e poi… la febbre: è opportuno o no misurare la febbre a bambini e ragazzi all’ingresso delle scuole? Sintetizzo i termini del dibattito per i più distratti. Le indicazioni ministeriali prevedono che la febbre sia misurata a casa dai genitori prima di arrivare a Scuola, per evitare che bambini e ragazzi potenzialmente sintomatici escano e prendano mezzi pubblici, sostino davanti alla Scuola, etc. C’è anche chi ne ha fatta una questione di logistica (complica gli ingressi), chi psicologica (il trauma per il bambino respinto sull’uscio) e così via. I detrattori delle indicazioni ministeriali, d’altra parte, rigettano gli argomenti sulla logistica, ridimensionano la questione psicologica, ma soprattutto ne fanno una questione di efficacia: la misurazione sulla porta è più affidabile perché fatta con lo stesso strumento e, soprattutto, non è affidata a genitori irresponsabili o distratti. Non mi interessa discutere se e quali misure siano più adeguate alla protezione della salute delle comunità scolastiche. Il punto che ha attirato la mia attenzione è la indiscussa diffidenza verso le famiglie. L’aspetto interessante, infatti, è che tale sfiducia senza appello si accompagna – paradossalmente – alla aspettativa che sia sufficiente misurare la febbre alle 8.30 del mattino sulla soglia della Scuola per tenere lontani piccoli potenziali untori. Quando – si sa – basta una modesta dose di un qualunque antipiretico da banco per tenere a bada per ore una blanda febbricola e, quindi, superare indenni il termo-scanner. L’Associazione Nazionale Presidi, infatti, ha proposto che i genitori firmino ogni mattina un’autocertificazione sulla buona salute dei figli, così tra poter perseguire penalmente i furbetti del termometro. Ma l’indimostrabilità di tali comportamenti rende questa misura non solo inutile, ma forse anche un po’ grottesca. Come se ne esce?
Siamo sicuri che non ci sia alternativa all’apparato di controlli e sanzioni nella relazione con le famiglie? Può la Scuola pensare di poter prescindere dalla collaborazione delle famiglie per proteggere al meglio la comunità scolastica dal rischio contagio?
Proverei a riformulare i termini del problema così: Siamo sicuri che non ci sia alternativa all’apparato di controlli e sanzioni nella relazione con le famiglie? Può la Scuola pensare di poter prescindere dalla collaborazione delle famiglie per proteggere al meglio la comunità scolastica dal rischio contagio? Si è fatto un gran parlare di co-produzione di servizi pubblici e della partecipazione dell’utenza ai processi erogativi dei servizi. Provando a sfrondare un po’ della retorica della letteratura accademica e di alcuni ritualismi nella pratica, resta un punto: gli utenti nei processi produttivi ci entrano più o meno prepotentemente, con più o meno consapevolezza di tutte le parti in gioco, perché semplicemente non si può fare diversamente. La diligenza del paziente nel corso della terapia impatta sul lavoro di cura del medico; la curiosità di uno studente impatta sulla qualità del lavoro di un insegnante; la cura dello spazio pubblico da parte degli abitanti di un quartiere impatta su costi ed efficacia della raccolta rifiuti; e così i comportamenti che metteranno in campo le famiglie aiuteranno a contenere il contagio. Oppure no.
Il comportamento degli utenti influenza e definisce una quota importante del funzionamento del servizio stesso. Assumere questa prospettiva non significa rinunciare a gestire in maniera efficace i servizi pubblici (“non posso governare il comportamento dell’utenza, tanto vale non pensarci”). Al contrario, riconoscere l’interdipendenza tra erogatore e utente suggerisce la necessità di impostare questa relazione sul piano della collaborazione. Il medico può prescrivere cure che siano più gestibili per il paziente meno diligente, l’insegnante può provare a stimolare un po’ di curiosità in chi ne ha meno, le istituzioni locali possono rendere più belli e curati i quartieri in maggiore stato di abbandono, per suscitare più rispetto e cura dello spazio pubblico. La Scuola può aprire un dialogo con i genitori più in difficoltà. Che questo sia un approccio promettente è segnalato anche dalla crescita in popolarità dell’economia comportamentale, che studia – tra le altre cose – quali ‘pungoli’ possono influenzare il comportamento degli utenti, per migliorare il benessere collettivo e l’impatto dei servizi pubblici. In ultima analisi, gestire un servizio pubblico significa anche contribuire a costruire un rapporto di collaborazione che renda per l’utente più facile o più conveniente beneficiare del servizio stesso, attraverso l’adozione di comportamenti generativi, come ben illustrato ad esempio in ambito welfare locale da alcuni colleghi della nostra Scuola (Fosti, 2013; Fosti, 2016; Notarnicola et al, 2019).
Se proviamo a riportare queste riflessioni nell’ambito da cui siamo partiti, possiamo concludere che – se pure un termo-scanner a scuola può essere utile – lo è forse ancora di più chiedersi che cosa può aiutare le famiglie a prendere sul serio piccole irregolarità nella temperatura del proprio figlio (Informazione più chiara, personale e diretta? Accesso a servizi di assistenza domiciliare per bambini in caso di malattia?), quali e quante sono le famiglie messe più in difficoltà da queste misure (Lavoratori irregolari con scarso accesso a misure di conciliazione familiare? Famiglie monoparentali?) e, infine, quali soluzioni, alternative a eludere il termo-scanner, sono a disposizione di questi genitori o possono essere promosse (forme di babysitter-sharing o altre forme di collaborazione tra famiglie)? Un lavoro più oneroso? Certo un lavoro diverso. Compete alla Scuola? Certo non solo. Ma forse è utile. Non solo nella lotta al Covid, ma magari anche alla diffusione di qualche enzima di capitale sociale.