Branded World

“Toccatemi tutto ma non il mio logo!” Sarà proprio vero?

Logo, identità, componente identitaria

Il logo, ha costituito da sempre un importante elemento di marca, cui è stato attribuito - per forma e/o integrazione tra forme, colore e/o mix nell’impiego dei colori, lettering (da cui logotipo) e/o specifica simbologia - la capacità di rappresentare il brand, quale rilevante componente identificativa. Per CEO, founder, top manager, marketing, brand e communication manager, difficile non essersi trovati coinvolti nella decisione di scegliere o selezionare il logo, proposto da grafici o designer a seguito di settimane o mesi di lavoro, che meglio di altri potesse rappresentare la marca e i valori ad essa collegati. L’obiettivo richiesto è stato soprattutto di poter evidenziare ciò che che il brand aveva intrapreso o aveva intenzione di intraprendere: vision e orientamento, inevitabilmente, verso il futuro.

 

Sarà proprio per questo che nell’ultimo periodo (ma non solo) si è assistito a numerosi “rebranding”  (per approfondimenti sul tema si rimanda ad un precedente pezzo dedicato all’argomento: https://www.sdabocconi.it/it/sda-bocconi-insight/re-branding) che, il più delle volte, ci hanno proposto visual identity di marca rinnovate, in cui il logo è sembrato primeggiare tra i brand element e le intellectual property spesso “riconosciute e ricordate” come appartenenti, connaturate e connotative della marca stessa.

 

Interessante, poi, riflettere su uno dei criteri ampiamente, e sempre più di sovente, utilizzati nella scelta del logo: la piacevolezza (a me piace denominarlo “effetto di pancia!”). Il “famoso” like-dislike che tanta rilevanza assume quando il “cliente-interno” (capo, CEO, direttore, etc..) dice: “…porto con me la proposta, vorrei mostrarla a mia moglie…”; oppure quando (e siamo ai giorni nostri!) nelle conversazioni on-line si raccolgono e si accolgono commenti, suggerimenti e like-dislike attraverso modalità scientifiche – connesse a ABtest o sentiment-analysis progettati, pianificati e realizzati – ovvero, anche solo in modo immediato, analizzando la reattività e le reazioni dei navigatori della rete (nerd, fun, follower, novizi, etc..).

Troppo nuovi?

Numerose le case-history da raccontare e spiegare, solo due sintetiche evidenze a cui se ne potrebbero accompagnare tantissime altre.

 

Nel 2009, Tropicana ha abbandonato il logo con la sua emblematica cannuccia a righe bianche e rosse inserita nell’arancia optando per un bicchiere alto (e noioso, scontato!) pieno di aranciata, pura la 100%. Abbandonato a due mesi dal lancio - divenuto irriconoscibile per i consumatori e causando un crollo nel fatturato (-20%) e circa 30 milioni di dollari di perdite – il logo è tornato alle origini (evidenziato e ben riconoscibile sui package negli scaffali del supermercato).

 

Nel 2010 Gap, brand-retail (fondato nel 1969) di abbigliamento e accessori per l’intera famiglia e per tutte le età, conosciuto in tutto il mondo e con una storia di successi, dopo venti anni, decide di ridisegnare il suo logo a seguito di due anni di risultati in decrescita sul mercato statunitense, connessi alla crisi finanziaria del 2008. La risposta del pubblico è stata rapida e feroce: in ventiquattro ore un blog online - appositamente creato - ha generato 2.000 commenti negativi; un account Twitter realizzato in segno di protesta (@GapLogo) ha raccolto 5.000 follower “contro”(!); un sito denominato “Crea il tuo logo gap” è diventato virale, raccolgiendo circa 14.000 nuove riprogettazioni. In una settimana il dietro-front e la riapparizione del logo storico.

Troppo dinamici?

Nell’attuale scenario la progettazione grafica e tipografica dell’identità visiva ha visto accrescersi il ricorso a computer, software e algoritmi con utilizzi che sfruttino anche le possibilità offerte dall’uso di codici sorgenti liberi da diritti (cd. open source). Ciò ha condotto verso segni di riconoscimento caratterizzati da una molteplicità di forme variabili, flessibili e dinamiche. Nell’applicare logiche tipiche dell’innovazione provenienti dagli ambiti progettuali e artistici, si sono sviluppati i cosiddetti dynamic logo.

 

Uno degli esempi “più dinamici” è Google. Il motore di ricerca ha iniziato a modificare il proprio logo nel 1998, anno in cui furono creati i doodle. Google ha cambiato molte volte il logo nel corso degli anni facendo ricorso ai “Google Doodles”. Non ho guardato, oggi, che doodle ci sia!

 

Un esempio tra i più noti è relativo al Media Lab del MIT che, nel 2011, per celebrare il venticinquesimo anniversario della sua fondazione, progettò un nuovo dynamic-logo attraverso un algoritmo il cui risultato portò a ben 40.000 varianti in 12 diversi colori con il risultato di 480.000 combinazioni. Tale lavoro ha costituito la base per la realizzazione, dopo solo cinque anni, di una “semplificazione” del logo del Media Lab, con un monogramma ML, in bianco o nero, che potesse racchiudere, seppur in meno combinazioni, i 23 gruppi di ricerca, cuore dell’attività del Lab.

Troppo “only for social”?

Dall’8 settembre a quella più recente di giovedì scorso, una giovane “creator” di TikTok: Emily Zugay - 24 anni, ritrattista di animali, residente nel sud-est del Wisconsin, con oltre 880.000 follower su TikTok - ha condiviso dei toks (video di TikTok), divenuti subito virali, proponendo la riprogettazione di alcuni loghi, tra i più noti, impiegando Adobe Illustrator. Tra essi: TikTok, Tinder, Starbucks, Amazon, Apple, Washington Post, Nasa, Nascar, McDonald’s, Adobe e tanti altri. L'8 settembre, Zugay, con un video originale nel suo account TikTok, ha dichiarato ai suoi spettatori: "Mi sono laureata in design e ho ridisegnato alcuni loghi popolari, penso che siamo tutti d'accordo sul fatto che siano brutti". I suoi video, sino ad ora hanno totalizzato oltre 37 milioni di visualizzazioni e 5,5 milioni di like!

 

Per ciascun nuovo logo proposto tramite i toks, Emily, da “professionista”, ne spiega le personali motivazioni sottese alla necessaria “rivisitazione” di tali icone storiche e fortemente radicate nella memoria dei consumatori, nel mondo.

 

Interessante è stato rilevare come, lasciando "completamente incredula" la stessa creator, i principali brand abbiano interagito con i suoi post, “inglobato” e “assorbito” le proposte all’interno della loro comunicazione e dei social media. Ad esempio, Washington Post, Nascar, TikTok e Adobe le hanno impiegate come immagini del profilo e hanno risposto con altrettanti video alle clip originali in modo diretto e divertente. Ad esempio, Tampax, Nascar e Tinder hanno commentato i suoi video, con un entusiasta "facci il prossimo!"; Adobe, nel suo account ufficiale, ha realizzato un video di risposta all’interno del quale alcune persone stampavano le immagini del logo rinnovato e le appendevano ai muri degli uffici, la didascalia recitava: "Ma qualcuno se ne accorgerà?". Il video ha totalizzato oltre le 200.000 visualizzazioni. Inoltre, sembrerebbe che Adobe abbia “ingaggiato” la creator affinché possa contribuire alla nuova visual identity del brand.

 

Alle 10 del mattino del 23 settembre, McDonald's, ha annunciato di sostituire sulla piattaforma social i suoi iconici archi dorati con un nuovo logo. Sebbene lo schema dei colori sia ancora rosso e giallo, l'iconico arco dorato "M" è stato modificato e sostituita dalla lettera “O”. McDonald's ha sorpreso il pubblico con questa sostituzione sui suoi canali social, con una didascalia nel post che cita: "Me l'ha fatto fare TikTok".

Concludendo…

Al rebranding si stanno affacciando una moltitudine di marche, i loghi all’interno dei brand elements mostrano una notevole dinamicità e un crescente impiego creativo all’interno dei social media.

 

I giovani creator sono fortemente attratti dalle potenzialità espressive della visual identity e dai loghi; anzi, più giovani sono e più votano per Emily!

E i brand? Non si girano dall’altra parte, offesi perchè è stato  “toccato l’intoccabile”, anzi, si divertono, stanno al gioco e, intanto, riprogettano la propria identità.

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