- Data inizio
- Durata
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- Lingua
- 9 mag 2024
- 4,5 giorni
- Class
- Italiano
Definire e sviluppare strategie di mercato vincenti in contesti ipercompetitivi e iperconnessi, rafforzando creatività e metodi di analisi della domanda.
In questi giorni, due notizie – tra le tante - ci hanno raggiunto, inaspettate o già immaginate, paventate o apprese, smentite o confermate:
Il punto d’osservazione qui proposto non è il gossip, i rumors, le eventuali smentite - che per chi ha avuto esperienze nei settori sportivi o dell’entertainment, sa che spesso coincidono con la verità (!) - e tantomeno l’intento è di soffermarsi su credibilità, attendibilità o affidabilità delle fonti informative.
Il pezzo è un modo pretestuoso per “leggere e interpretare” tali “notizie” e tornare su di un tema caro e di assoluto rilievo per brand, brand equity e brand management: le fonti di valore della marca.
Non vogliamo addentrarci nel concetto di “valore”, che per più di duemila anni filosofi, sociologi, economisti e studiosi di management e ingegneria hanno cercato di definire, circoscrivendone gli specifici ambiti: l’individuo, i gruppi di individui, i Paesi, la società e le culture, l’economia, l’impresa, la produzione, il marketing e il branding.
Solo un accenno…
Il valore, in generale, può essere inteso come la capacità di un “qualcosa” (bene, servizio, attività, persona, manager, etc.) di soddisfare un bisogno o fornire un vantaggio (materiale o immateriale: nutrimento, riparo, trasporto, reddito, qualità della vita, conoscenza, prestigio, sicurezza, sicurezza fisica e finanziaria, marginalità/profittabilità, ecc.) a “qualcuno”. E’ fondante che tale valore, per esistere, venga percepito e ottenuto come tale dal destinatario. Partendo in alcuni casi dal singolo: consumatore o manager, ma accogliendo anche al suo interno in forma più aggregata: cluster di consumatori, generazioni, tecnici di produzione e così via, a cui si affiancano: CEO, financial-director, general manager, marketing manager o brand manager.
Nel caso del brand, tema caro a Branded World (!), ogni qualvolta si voglia significare il valore della risorsa immateriale, patrimonio e asset tra i più preziosi d’impresa: la marca, si incorre nella inevitabile domanda: valore per chi? Per mercato, consumatore, impresa? Considerando che a seconda del soggetto che ne può ottenere il vantaggio, si prospettano metodi, modalità di misurazione, scale e risultati molto diversi tra loro che - a fronte di approcci strutturati (o sistemi), metodologie, processi “orientati" alla valutazione (Brand Value Chain), cui si aggiungono metodi olistici o proprietari (BAV, Brand Finance, BrandZ, Interbrand, etc.) - cercano di raggiungere un valore di marca (per alcuni approfondimenti https://www.sdabocconi.it/it/sda-bocconi-insight/luxury-brand-value)
Pur permanendo metodologie e approcci molto differenti tra loro nel valutare e, soprattutto, nel misurare la brand equity, esiste unanimità e crescente attenzione nel ricercare le modalità, i processi, le persone (direttori creativi o team principal!) e gli strumenti (prezzi, tipologia di prodotti, comunicazioni, relazioni, etc.) non solo volti a “creare valore” (momentaneo, nel quarter, della gara, etc.) ma anche in grado di poter “gestire il valore” nel corso del tempo, rinunciando spesso alla trappola di cadere nella costante pressione di ottenere fama, successo, prestazioni e risultati di breve termine. Ciò comporta un lavoro “certosino”, spesso inviso, determinato dalla necessità di identificare driver o fonti generative della brand equity, rinnovandole, armonizzandole o ricercandone di nuove.
Del resto, ben sappiamo che l’evoluzione del comportamento dei consumatori, delle tecnologie, delle azioni dei concorrenti, delle normative e di altri fattori può incidere in misura significativa sulle sorti di una marca; a ciò si deve aggiungere la riconsiderazione della strategia da parte dell’impresa stessa, la quale può decidere di rivedere il perimetro del proprio business e/o di cambiare la direzione strategica, con la necessità di modificare marketing, modalità di commercializzazione dei suoi prodotti, branding!
Chiedersi se:
possano annoverarsi quali determinanti dei recenti riportati accadimenti non spetta a noi, anche se...
...siamo curiosi!
Occorre invece considerare che un’efficace gestione della marca richiede un approccio volto a gestire le fonti dell’equity, salvaguardando e auspicabilmente aumentandone il valore tramite diverse strategie (es. rafforzamento, rivitalizzazione, migration, sino anche alla sua dismissione). E non perché esista un determinismo biologico, come quanto avviene nella vita degli individui - a livello personale o professionale - con le varie fasi del ciclo di vita, ma perché esistono fattori e scelte sotto il controllo dell’impresa (strategie d’impresa, di marketing, per il brand mix e riguardo agli investimenti effettuati).
Obiettivo di brand come Gucci e Ferrari è mantenere posizioni di rilievo, in sintonia con un appassionato, un fan, un "consumatore" giovane o adulto, certamente sempre più vorace, volubile, distratto e in continua evoluzione, sapendo leggerne i mutamenti, spesso ancora in nuce, mettendosi perennemente in discussione e adattando al cambiamento la propria proposta di valore.
Ciò implica:
senza stravolgere radicalmente i valori di fondo della marca, pena la perdita di credibilità e di autorevolezza.
«La continuità rinforza l’identità di una marca ma l’evoluzione ne assicura la modernità. Queste due dimensioni non sono così opposte come si potrebbe credere. Esse esprimono piuttosto la tensione che attraversa ogni individuo e la società nel suo insieme» (Semprini, 1996: 98).