Branded World

Luxury Brand Value

Tra metodi e classifiche

La classifica dei valori dei brand, e la loro relativa pubblicazione, è ormai usuale all’interno di numerosi mercati, settori e/o geografie (Worldwide, Paesi Asiatici, Europa, Italia ecc.), divenendo, in taluni casi, un riferimento importante nell’indicare stime, incrementi percentuali, posizioni nonché variazioni e volatilità dei valori stessi nel corso del tempo e per marche diverse, note a livello globale e/o con differenti raggi d’azione.



Awareness, Familiarity, Strenght, Power - ampiamente utilizzati e volti a cogliere il customer mindset - rappresentano alcuni tra gli indicatori sviluppati da tempo da società di comunicazione, ricerca o consulenza strategica attraverso metodi proprietari (come, ad esempio, il “BrandAsset Valuator” - BAV di Young & Rubicam, “BrandZ” di Kantar Millward Brown, oppure “The Most influential Brands” di Ipsos). Anche gli editori pubblicano classifiche focalizzate su alcuni ambiti come il “Vogue Business Index” volto a classificare i più “prestigiosi” brand del lusso, ovvero sui risultati ottenuti da 200 brand globali - in realtà prevalentemente statunitensi – del “World’s Most Valuable Brands” di Forbes (con un ranking del valore ottenuto dai brand quale media-triennale dell’EBIT da cui dedurre un ipotizzato investimento per sostenere i brand). E, infine, sempre con metodi proprietari che, più di altri, riescono a calcolare quel valore, così caro agli investitori, si annoverano, con i suoi circa ventidue anni di storia, il “Best Global Brands Report” di Interbrand, con potenziali applicazioni e focus su paesi e settori, oppure i report per industry e paesi realizzati da Brand Finance, tra cui il “Brand Finance Luxury & Premium 50”.



Una tassonomia - realizzata a livello internazionale, tra 52 profili di società dedite alla valutazione dei brand - ha evidenziato la presenza di numerosi attori (Salinas, Ambler, 2009) diversi tra loro, tra cui: studi legali specializzati nelle IP, società di consulenza, società di ricerche di mercato, società di branding, specialisti di valutazione economica, agenzie di comunicazione e così via.



Sta di fatto che queste classifiche divengono importanti punti di riferimento per confrontare i risultati espressi dalle capacità delle imprese e dei brand, divenendo parametri e definendo ranking spesso popolari per consumatori, investitori e stakeholder. E, sempre più di frequente, tali classifiche “vengono attese”, salutate e acclamate in presenza di “scalate” positive dei brand, tanto da divenire parte integrante di numerose comunicazioni trasferite dai “classificati” ma anche dagli stessi “classificatori”.



Brand Value Chain

Al di là di metodi, criteri classificatori, category e mercati eterogenei e variamente definiti, la domanda di fondo che deve guidare l'interpretazione di queste classifiche è la seguente: da cosa dipende il valore del Brand?

 

La risposta è nel modello della Brand Value Chain (Keller, Busacca e Ostillio, 2005): i risultati di mercato della marca dipendono dagli investimenti (in ricerca e sviluppo, progettazione, prodotto, comunicazione, distribuzione, ecc.) sostenuti dall’impresa per costruire, sostenere e sviluppare la marca stessa. Tali investimenti influenzano la disposizione mentale (customer mindset) dei clienti in relazione alla marca, cioè il livello di consapevolezza, le associazioni cognitive ed emotive, gli atteggiamenti, l’attaccamento, la fedeltà. Il consolidarsi di una disposizione mentale favorevole nei consumatori incide sulle loro reazioni alla marca, favorendo la riduzione della elasticità della domanda e quindi l’applicazione di premium price, l’incremento della quota di mercato, l’efficienza dei processi di marketing, l’estensione del brand, la sua redditività. Sulla base delle informazioni disponibili, attuali e prospettiche, i mercati finanziari formulano giudizi e valutazioni con implicazioni dirette sul valore della marca. Tre indicatori importanti sono la quotazione azionaria, il multiplo prezzo/utili e la capitalizzazione di mercato dell’azienda. Il modello assume inoltre l’intervento di una serie di fattori di collegamento fra i vari stadi del processo, che determinano la misura in cui il valore creato in una fase si trasferisce o “si moltiplica” nel passaggio a quella successiva. Si possono distinguere tre tipi di moltiplicatori che agiscono fra il programma di marketing e gli stadi del valore successivi: il moltiplicatore del programma, quello dei clienti e quello del mercato.



Luxury Brand Value: che Intangibles!

Mettere insieme i tre concetti di Luxury, Brand e Value, cercando di fornirne una risposta puntuale è stato po’ come tentare il triplo salto mortale nell’intangibile! Infatti, da qualsivoglia punto si desideri partire e/o si decida di approcciare tale argomento, è inevitabile incorrere in un tema pervasivo, con il permanente fascino del “tema di frontiera” - benché se ne parli ormai da fine anni ottanta - che lega in modo indissolubile tali tre dimensioni: gli intangibles.

 

Sono numerosi gli studi che hanno dimostrato come le attività immateriali divengano importanti risorse per le imprese e, tra essi, il brand viene ravvisato come uno dei “più preziosi” intangible asset (ISO, 2010). Se a ciò aggiungiamo il lusso, o il meta-Luxury (Ricca, Robins, 2012) – quale vero e proprio modello di business (Kapferer, 2015), costituito da brand in crescita ma al contempo “rari, esclusivi e unici” espressione del “lusso oltre il lusso” - ecco che l’intangibile diviene ancora più evidente e “palpabile”, per quelle marche con una cultura dell’eccellenza che conduce all’eternità (es. Louis Vuitton, Chanel, Gucci, Hermès, Ferrari, Rolex, Porche e così via) e in grado di mostrare, nel tempo, resilienza e redditività.



Ed è proprio quanto confermato da Interbrand che, nel “Best Global Brands Report” del 2020, ha collocato Gucci al trentaduesimo posto nella classifica dei 100 top brand globali a maggior valore economico; l’altro brand italiano in classifica è Ferrari.



Ed è anche quanto confermato dal “Brand Finance Luxury & Premium 50” del 2020, classifica che recensisce tre sotto-categorie: fashion, automotive e cosmesi/personal care. Il ranking, basato sul valore finanziario dei brand, calcola il valore di tale risorsa immateriale e lo collega alla capacità di generare percezioni (inerenti a immagine e reputazione) su stakeholder e, soprattutto, consumatori e, quindi, di ottenere benefici di natura economica. Massimo Pizzo, Managing Director Italia di Brand Finance, ha evidenziato come “il brand Porsche, con un valore di 33,9 miliardi di dollari, si conferma in prima posizione assoluta, seguito da Rolex e Gucci. Ma Ferrari si posiziona come il brand più forte al mondo (con un BSI – Brand Strenght Index di 94.1 su 100)”.

 

La forza tanto acclamata del brand Ferrari deriva da investimenti di marketing, valore percepito dagli stakeholder nonché il relativo impatto sulla performance aziendale (i risultati di natura finanziaria e di mercato). Il BSI è un indice che può raggiungere i 100 punti, alimentando così il calcolo del brand value e consentendo l’attribuzione di un rating che può raggiungere AAA+ (similmente ai rating del credito). Per il calcolo del brand value viene impiegato il metodo delle Royalty .



E, a proposito di “geografie”, volendo confrontare i due vicini paesi europei Italia e Francia, competitors diretti nell’ampio settore del lusso, sempre Massimo Pizzo evidenzia che: “tra i 50 top brand di lusso, 15 sono italiani e 12 francesi e che gli italiani raggiungono mediamente uno score di 80 su 100, mentre per quelli francesi tale score è di di 79 su 100. Benché sussista, in termini numerici e di score/forza,  un minimo differenziale a vantaggio dei brand italiani, quelli francesi valgono mediamente più del doppio di quelli nazionali (7 miliardi di dollari per i brand francesi vs. i 3,4 miliardi dei brand italiani)”.



Non è diretto oggetto di questo nostro articolo, però sarebbe interessante spostare l’analisi alla Place Brand Value Chain, domandandosi: da cosa dipende il valore del Place Brand Francia e del Place Brand Italia? E quanto incidono i singoli brand value, come ad esempio i luxury brand value, su di essi? Rimandiamo questa analisi al futuro.



Una ultima osservazione: alla luce di quanto evidenziato, tra metodi, valori e classifiche si potrebbe contraddire la frase di Oscar Wilde (1891) “…al giorno d’oggi si conosce il prezzo di tutto, ma di niente il valore”?

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