Le risorse umane nella PA, una partita da vincere

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MILANO, 1 AGOSTO 2019

Assenteisti, poco produttivi, demotivati, nella migliore delle ipotesi preoccupati solo dell’adempimento e non del risultato. Cosa di meglio che iniziare un workshop dal titolo “Le risorse umane nella PA: problemi vecchi, soluzioni nuove” passando in rassegna tutti i luoghi comuni sui dipendenti pubblici per capirne le ragioni – talvolta fondate – e soprattutto per scoprire che è possibile smontarli uno a uno: partendo dalle molte realtà virtuose già esistenti e, più in generale, agendo sulle diverse leve che i responsabili HR – spesso contro le loro stesse convinzioni – hanno a disposizione.

 

Ad affrontare la “sfida” di fronte a un’ampia platea di manager provenienti da diverse amministrazioni pubbliche, enti territoriali e autorità di garanzia c’erano Giovanni Valotti, Professore ordinario del Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico dell’Università Bocconi, Raffaella Saporito coordinatore del corso "Il responsabile del personale negli enti pubblici" e Marta Barbieri, entrambe Associate Professor of Practice of Government, Health and Not for Profit in SDA Bocconi. Il loro obiettivo era quello di dare un contributo concreto al rinnovamento dei sistemi di gestione delle persone nella PA e offrire dati e strumenti operativi fondati sui risultati di quattro ricerche su questi temi, svolte o ancora in corso.

 

Se le persone sono la vera risorsa per competere e per vincere e vanno, come si dice, messe al centro delle aziende, perche i professionisti dell’HR hanno spesso una funzione ancillare, relegata alla mera gestione amministrativa?”, si chiede Valotti citando Enrico Sassoon. E prosegue: “Nella PA è avvenuto qualcosa di simile, il braccio destro dei vertici degli enti è diventato il ragioniere capo, il focus si è spostato sempre più dalle risorse umane a quelle finanziarie. Il che è paradossale se si pensa che la pubblica amministrazione fornisce servizi al cittadino e nelle aziende di servizi le competenze sono la risorsa strategica per eccellenza”.

 

Doppiato lo scoglio della “mitologica” riforma della PA definita da Valotti “un aspettando Godot” che rischia di paralizzare ogni tentativo di cambiamento, il problema è approdare al porto sicuro di una PA efficace, in grado di selezionare, valutare, motivare e trattenere i suoi talenti migliori. “Bisogna ricominciare partendo dalla fine”, sostiene sempre Valotti, “dobbiamo capire dove vogliamo arrivare tra cinque anni: solo una visione strategica può dare alle amministrazioni l’indicazione sui cambiamenti da attuare fin da oggi. Serve un cambiamento che abbandoni la pura ‘amministrazione’ del personale in cui prevale l’orientamento alle procedure e alle regole e arrivi, attraverso diverse fasi, a una gestione ‘outside-in’, dove l’outcome sia calibrato sull’ambiente esterno in termini di soddisfazione non solo dei dipendenti ma anche dei cittadini e degli utenti”. E poiché, come sostiene Kaplan, non si può gestire ciò che non si può misurare, è fondamentale dotarsi di competenze e strumenti di valutazione, a partire dalla motivazione e dall’engagement dei dipendenti. “Mapping, measuring, managing: identificare le priorità strategiche e le competenze necessarie per raggiungerle, rilevare le attività svolte, attivare le leve di gestione delle risorse umane. Sono le tre funzioni principali della funzione HR”, conclude Valotti. “Si scoprirà ad esempio che gli incentivi economici non sono la chiave di tutto”.

 

La motivazione può più della retribuzione: il concetto è ribadito anche da Raffaella Saporito nel suo intervento sulla selezione dei talenti per la PA del futuro, la quale fa appello a “trent’anni di letteratura consolidata che ci dicono che l’orientamento al servizio e la motivazione delle persone sono direttamente correlati alle loro performance”. Ma motivati si nasce o si diventa? O meglio, la motivazione parte dall’individuo o dall’organizzazione? “Da entrambi”, sostiene Saporito, “ma il contesto può fare molto per promuovere o deprimere la motivazione individuale. Dobbiamo saperlo quando reclutiamo le risorse dall’esterno. E dobbiamo anche sapere che è sufficiente una segmentazione del personale diversa dai profili professionali tradizionali per scoprire bisogni, e quindi motivazioni, insospettabili”.

 

È più che mai necessario raccontare alle persone il valore che l’ente produce, superando il gap ideologico pubblico/privato e rendendo ‘sexy’ la PA per un giovane che vuole investire sul suo futuro professionale”, continua Saporito. “In questo senso è fondamentale la value proposition dell’ente: le strategie di reclutamento puntano quasi sempre sulla posizione individuale più che sul valore dell’organizzazione: perché?”. E se si parla di valore si parla necessariamente di futuro: “il fabbisogno di competenze va definito in prospettiva: nel presente (as is) in base alla coerenza tra il servizio da erogare e le competenze – hard e soft – necessarie per farlo; e in futuro (to be) pensando alla direzione strategica dell’ente”.

 

Se deve cambiare il modo di reclutare le persone deve cambiare anche il modo di valutarle. L’intervento di Marta Barbieri parte dalla ricerca “Valutare per crescere” - condotta in collaborazione con il DFP - che analizza i sistemi di valutazione di 61 enti pubblici di diversa natura e ne legge i risultati alla luce dei sei “tensori” della funzione Risorse Umane. Ciò che emerge è la prevalenza di un approccio amministrativo e adempimentale alla valutazione della performance, con uno scarso orientamento all’esterno ed un basso ricorso al feedback. Il processo di valutazione viene spesso vissuto come un evento, slegato da altre leve di gestione HR e principalmente finalizzato all’erogazione di un premio monetario.

 

“Ha ancora senso legare il premio alla performance individuale?”. Con questa provocazione, Barbieri apre una discussione sulle finalità dei sistemi di valutazione: “innanzitutto, è necessario ridefinire il confine, attualmente labile e confuso, tra performance organizzativa e performance individuale, legando quest’ultima ai risultati raggiunti dal singolo, alle competenze e ai comportamenti dimostrati nel proprio lavoro”. Un approccio innovativo consiste nella costruzione di un sistema di valutazione della performance individuale unicamente orientato alla crescita dei dipendenti, attraverso l’individuazione di ambiti di miglioramento e la definizione di piani di sviluppo finalizzati a colmare i gap di competenza individuati. “Il premio continuerà ad essere erogato, ma solo sulla base della performance organizzativa. In questa prospettiva, una valutazione esterna potrà giudicare il raggiungimento di obiettivi realmente sfidanti, slegando la valutazione delle competenze dal mero obiettivo di erogare un premio monetario e creando un sistema in grado di differenziare i giudizi al fine di stimolare la crescita e non di penalizzare i dipendenti”.

 

A questo punto potrebbe essere utile posizionare i singoli, valutati su più dimensioni, in una matrice costruita sulla base di due rilevanti dimensioni HR – la performance individuale e l’engagement – allo scopo di costruire piani di sviluppo individuale basati su quattro profili generali: Future Captain, Crew, Passenger e Sinker. Conclude Barbieri: “Nei primi entrambe le dimensioni sono forti e bisogna investire sulle capacità di leadership; nei secondi bisogna stimolare la performance individuale investendo sulla formazione e sull’aggiornamento, mentre per i terzi servono azioni che aumentino il senso di appartenenza. Nel caso dei ‘pirati’, infine, è necessario valutare l’allineamento tra le aspirazioni e il lavoro svolto e attivare percorsi di riposizionamento” recuperando le potenzialità degli individui prima che danneggino l’intera organizzazione.

 

SDA Bocconi School of Management

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