#ValorePubblico

Se l’etica pubblica è un fatto culturale, si può imparare

Cosa consente (o impedisce) ai singoli di denunciare comportamenti scorretti, piccoli (o grandi) soprusi e altre furberie che discreditano – dove si realizzano – l’azione amministrativa? Qual è l’impatto della cultura e dei valori dominanti nell’informare i comportamenti individuali? Come si lavora per affermare nelle organizzazioni valori e principi di giustizia ed equità?

Come la cultura organizzativa impatta l’etica dei comportamenti del singolo?

Com’è possibile che Matteo Messina Denaro sia riuscito a nascondersi per decenni a pochi chilometri dal suo paese di origine? Molti hanno commentato: è il sintomo di quanto radicato e trasversale deve essere stato il clima di omertà per rendere possibile una latitanza così lunga e vissuta con una certa disinvoltura. Un fatto culturale, che occorre provare ad esplorare, se lo si vuole contrastare. Usiamo questo caso per provare a fare un esperimento mentale.

 

Proviamo a metterci nei panni di una persona del luogo che negli anni passati ha avuto occasione di incontrare per caso il malavitoso. E ha avuto il sospetto che potesse essere il pericoloso ricercato. E magari, anche solo per un secondo, si è chiesto cosa fare. Se ha scelto di non approfondire, di non denunciare, di “farsi i fatti propri”, ha vinto un misto di cose che hanno a che fare con la paura delle conseguenze per sé e per i propri cari e con la convinzione di non poterci fare niente. E se ha vinto questa attitudine è perché è prevalsa la totale mancanza di fiducia nelle risorse esterne, come quella nelle istituzioni di giustizia e sicurezza, in quelle sociali – avere l’appoggio dei propri cari e dei membri della comunità, magari esposta allo stesso dilemma – e personali, ovvero la fiducia che si ripone nelle proprie capacità di organizzare e mobilitare le risorse motivazionali, cognitive e materiali al fine di fronteggiare una situazione eticamente controversa.

 

Non si tratta di ‘giustificare’ un atteggiamento, ma – spostando l’attenzione dal giudizio all’analisi – di comprenderne le cause e il funzionamento. Questa forza del singolo di difendere con le sue azioni quello che considera giusto, fondata sulla fiducia di poter contare su risorse interne ed esterne (non solo materiali, ma anche immateriali, come motivazione, sostegno, riconoscimento dell’ingiustizia) prende il nome di auto-efficacia morale ed è una proprietà dell’individuo largamente influenzata dal contesto culturale e dal clima etico dominante, benché in parte correlata con alcuni tratti di personalità e il background personale.

 

Lasciando la Sicilia e le storie di mafia e tornando alle organizzazioni pubbliche, la persistenza di piccole (o grandi) sopraffazioni quotidiane, abusi di potere, sciatterie amministrative è resa possibile dalla loro tolleranza diffusa da parte dei membri di tutta l’organizzazione, inclusi quelli che non prendono parte direttamente alla mala amministrazione, ma nemmeno la combattono. Questa tolleranza diffusa delle irregolarità, delle prepotenze, delle furberie, sovente mascherate da spavalda flessibilità, dipende dal sistema di valori dominanti in una data organizzazione o, talvolta, nel contesto socio-culturale in cui la stessa è immersa. 

Pertanto, combattere – e prevenire – la corruzione significa prima di tutto togliere legittimazione a queste pratiche, anche quelle meno gravi. Significa allenare i membri dell’organizzazione a considerarle per quello che sono: critiche, pericolose, ingiuste. In altre parole, significa investire sulla dimensione culturale, che si nutre di pratiche e simboli, più che di sistemi di controllo e procedure.

Come sostenere la cultura dell’etica pubblica?

Quali variabili impattato positivamente sul clima etico di un’organizzazione? Certo, standard e procedure, carte dei valori e altre forme di codifica dei principi e dei comportamenti attesi è un passo. Necessario, ma non sufficiente.

Come si è già detto qui, la leadership gioca un ruolo chiave: i comportamenti, le decisioni e le azioni dei leader influiscono significativamente sul clima etico all'interno dell'organizzazione.

Un altro elemento riguarda la comunicazione: la trasparenza non solo delle procedure di una decisione (es. procedure di appalto o selettive), ma anche la promozione della discussione e del dibattito attorno ai rischi e agli interessi in gioco, sono elementi che possono contribuire a creare un clima etico positivo. Infatti, la partecipazione dei dipendenti è un elemento cruciale: incoraggiare i membri dell’organizzazione a prendere parola e dare loro il potere di segnalare e risolvere dilemmi etici può sostenere il radicamento di valori e principi di riferimento in un’organizzazione pubblica. Per rendere la conversazione più proficua, occorre che i membri dell’organizzazione ne abbiano i mezzi: fornire ai dipendenti la formazione necessaria per riconoscere i dilemmi, comprendere e applicare i principi che orientano i comportamenti nelle decisioni quotidiane aiuta a promuovere un clima etico.

Una formazione che insegni a riconoscere (ed affrontare) i dilemmi

Poco dopo i fatti della Lehman Brothers del 2007 e il conseguente crollo dei mercati e della fiducia dell’opinione pubblica nel mondo dei business e nella sua etica, due professori di leadership di Harvard, Rakesh Khurana e Nitin Nohria, pubblicano un articolo con cui lanciano un appello: 

 

recuperare la tradizione classica che vedeva l’etica tra le discipline insegnate nelle scuole vivaio delle élites. E se oggi le élites si formano nelle Business Schools o scuole di management, come la nostra, occorre che trovi cittadinanza anche l’etica nei curricula degli MBA.

Tornando alla lotta alla mafia, è indubbia l’importanza del lavoro svolto nelle scuole per sostenere il lavoro culturale diffuso per sottrarre terreno agli atteggiamenti omertosi: le scolaresche scese in piazza a Castelvetrano e non solo ne sono un tangibile risultato. Venendo alla pubblica amministrazione: quali sono i luoghi dove si allenano dirigenti e dipendenti a riconoscere i dilemmi etici nelle decisioni pubbliche quotidiane?

 

L’art. 4 del d.l. n. 36/2022 ha previsto, insieme all’aggiornamento del codice di comportamento del pubblico impiego, anche lo svolgimento di un ciclo formativo obbligatorio sui temi dell’etica pubblica sia a seguito di assunzione dei dipendenti sia in ogni caso di trasferimento o di passaggio degli stessi a ruoli o a funzioni superiori. Sarebbe interessante aprire una conversazione attorno a quali obiettivi e quali metodo possono rendere questo obbligo una straordinaria opportunità.

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