#ValorePubblico

Scimmiottare (male) il mercato uccide i servizi pubblici

Che un pezzo di storia delle riforme di pubblica amministrazione possano essere spiegate come il tentativo – sovente maldestro – di introdurre logiche di mercato si è già detto parlando di New Public Management. Che questi tentativi abbiano non di rado dato luogo a esisti controversi è ormai cosa nota. Eppure, restano in piedi modelli di gestione di servizi pubblici che non riescono a sganciarsi da questo paradigma, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di questi stessi servizi. Un caso interessante è quello del settore dell’edilizia residenziale pubblica (ERP). Ne abbiamo parlato in apertura di CasaManager, terza edizione, realizzata in collaborazione con Federcasa.

Due modelli di gestione dell'ERP

Qualche mese fa, insieme ad Eleonora Perobelli e con la collaborazione di Niccolo Cusumano, Alessandro Furnari, Giorgio Giacomelli e Francesco Vidé, abbiamo condotto una ricerca comparata su dieci c.d. aziende casa, ovvero aziende di gestione di alloggi ERP, nell’ambito di una partnership con Federcasa (il libro è scaricabile qui). Nonostante la grande eterogeneità dei contesti, spesso frutto delle differenze dei territori e della loro storia economica, sociale ed istituzionale, emergono difficoltà comuni. In sintesi, e iper-semplificando la realtà, i modelli di gestione dell’ERP sono fondamentalmente due: nel primo e prevalente, le aziende sono proprietarie del patrimonio ERP e dalla gestione di questo deriva – almeno sulla carta – la principale fonte di ricavo; nel secondo, le aziende gestiscono il patrimonio ERP di proprietà degli enti locali, a fronte di un compenso per l’attività di gestione corrisposto dagli enti proprietari. Nel primo caso, quindi, il ‘cliente’ dell’azienda sono le famiglie e le persone che affittano le case; nel secondo il ‘cliente’ è l’ente locale che paga per la gestione dei suoi immobili, dati in affitto. Da quanto emerge dalla nostra ricerca, le aziende del primo gruppo se la passano peggio di quelle nel secondo gruppo. La causa non è solo legata all’esposizione all’alto rischio morosità, da cui sono esenti le aziende del secondo gruppo. Il problema principale, in realtà, è non avere un gran controllo sulle proprie entrate, in quanto i canoni sono definiti non in funzione delle caratteristiche dell’alloggio, ma dalle caratteristiche dell’utenza, selezionata sulla base dell’incrocio tra i criteri di assegnazione lungo le liste di attesa con le caratteristiche degli alloggi via via disponibili. In pratica, a prescindere dal costo di gestione della singola unità abitativa, al nucleo familiare assegnato è applicato un canone sulla base del suo ISEE (o reddito, in alcune regioni). Neanche a dirlo, il profilo dell’utenza ERP rispecchia sempre di più le nuove fragilità economiche e sociali e le unità abitative assegnate a persone in fascia di protezione (chi paga le tariffe più basse, anche solo poche decine di euro al mese) è in aumento. In conclusione, i conti tornano sempre meno ed occorre trovare altre fonti (pubbliche) per compensare i minori ricavi. Intanto si cerca di contenere i costi, riducendo all’osso gli interventi di manutenzione sugli immobili (le cui spese di gestione tendono quindi ad aumentare e a favorire nuove forme di morosità) e rinunciando ad investimenti non solo sul patrimonio, ma anche sull’innovazione e la qualità della gestione.

Le aziende del secondo gruppo, invece, sono meno esposte alla variabilità del profilo dell’utenza e la certezza delle entrate le rende più disponibili a investire con continuità non solo sul patrimonio, ma anche nelle innovazioni gestionali, con esiti interessanti anche sulla capacità di contenere la morosità. D’altra parte, la scelta di operare come agenzia di servizi immobiliari per gli enti locali le rende soggetti fungibili, oltre che, in taluni casi, meno orientati all’utenza e alla complessità dei suoi bisogni e necessità.

E all’estero? Come funziona?

Abbiamo rivolto questa domanda ad Alice Pittini, Direttore della Ricerca di Housing Europe, la federazione europea delle associazioni nazionali del settore dell’edilizia residenziale pubblica e sociale. Alice è stata ospite del primo modulo di Casamanager Terza Edizione dove ha raccontato quali modelli di gestione sono previsti in Europa. Difficile sintetizzare il suo intervento ricchissimo di spunti sotto vari profili. Scelgo quelli che per me sono stati i due più significativi apprendimenti.

 

Primo: da nessuna parte la definizione del canone (per quanto inferiore a quello di mercato) prescinde da un’analisi di break-even. In altre parole, il canone delle unità abitative è definito al fine di coprire i costi nel tempo di costruzione e manutenzione dell’immobile.

Secondo: da nessuna parte il sistema è totalmente auto-finanziato dai canoni, ma è sempre previsto un intervento pubblico. Questo intervento può essere finalizzato: o a ridurre i costi di produzione, tramite esenzioni o sgravi sulle imposte immobiliari, sugli oneri di urbanizzazione, accesso agevolato al credito, fino alla presenza di fondi ad hoc per finanziare la costruzione e manutenzione; oppure (o in aggiunta) a finanziare la domanda, tramite sussidi e altri aiuti per quelle persone prive dei mezzi per sostenere i canoni, pur già inferiori a quelli di mercato.

Nessuno è perfetto. Ma qualcuno è più imperfetto di altri

È evidente che le innumerevoli modalità di definire come e dove si colloca l’intervento pubblico (finanziando l’offerta o la domanda), in un sistema dove i canoni sono proporzionali ai costi, producono anche una pluralità di modelli più o meno equi sotto il profilo sociale: in Austria, ad esempio, paradigma di efficienza immobiliare, i più poveri si trovano a vivere nella fascia low cost del low cost. Dove, invece, sono presenti contributi all’affitto, come in Francia, i sussidi non arrivano solo a chi abita negli HLM e possono ingenerare dinamiche inflattive sui canoni locativi. In sintesi, il modello perfetto non esiste. Ma esistono modelli sbagliati: quelli che si basano su regole di mercato solo in parte, lasciando scoperti i costi (pur richiesti) di intervento pubblico.

Forse non è più tempo di soluzioni tampone che intervengono ai margini. Forse è ora di ridare dignità al settore, rivedendo dalla base il modello di gestione, perché la ricerca dell’efficienza, senza quella dell’economicità, dell’efficacia e dell’equità distributiva, non è coerente con la missione pubblica.

 

(Un grazie speciale a Eleonora Perobelli e Niccolò Cusumano, per i feedback e il confronto da cui nascono queste riflessioni).

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