#ValorePubblico

Quante volte hanno studiato le Guerre Puniche i NEET?

Per qualche giorno la dichiarazione del Ministro Cingolani sull’esigenza di ripensare i curricula scolastici per renderli più orientati alla cultura tecnica ha tenuto banco su giornali e social. Con l’esempio che ha scelto si è attirato una lunga serie di reprimende tutte volte a dimostrare quanto hanno da insegnare le Guerre Puniche per affrontare il contemporaneo.

Ho letto con interesse questi commenti perché mi hanno permesso di scoprire che il conflitto tra Roma e Cartagine è metafora di infinite sfide della società moderna. E anche perché, già che c’ero, le ho ripassate. Questa levata di scudi a tutela delle imprese di Annibale, del trionfo di Roma e della Scuola che queste cose e molte altre insegna con orgoglio mi ha incuriosita. Bello l’affetto di chi tutela l’istituzione, ma forse anche un modo per eludere la questione posta: serve o no più cultura tecnica a scuola?

Capisco che sia più facile commentare se le Guerre Puniche si studiano una due o mille volte accusando di ignoranza chi ha osato vilipendere l’identità culturale del nostro sistema di istruzione mettendolo in discussione, piuttosto che rispondere alla questione sollevata. Che ne richiama mille altre: qual è il confine, se ne esiste uno, tra cultura tecnico/scientifica e quella umanistica? Perché si studia la storia di tutto, tranne la storia della scienza? Qual è il giusto mix tra conoscenza e competenza? Quale nei diversi livelli di istruzione? E, per farla breve, a cosa serve la scuola? L’obiettivo di elevare lo spirito delle nuove generazioni è per sua natura in contraddizione con quello di prepararle ad affrontare le sfide dell’ingresso nel mondo adulto, lavoro in testa? O si può ambire a farle convivere?

Recentemente #ValorePubblico ha ospitato una riflessione sul ritardo che l’Italia ha accumulato in punto competenze digitali, primo vero grande ostacolo alla transizione tecnologica che ci aspetta. Pensare che la scuola possa essere un driver di sviluppo in questo senso è auspicabile e nell’agenda del Paese (a partire dal PNRR), ma non è certo fotografia del presente.

Ma c’è un altro dato che dovrebbe preoccupare tutti e certamente anche il nostro sistema di istruzione: l’Italia è il Paese europeo col più alto tasso (19%) di NEET, acronimo per Neither in Employment Nor in Education and Training, ovvero ragazzi nella fascia 15-24 anni che non studiano né lavorano (dati Eurostat 2020). La media europea è di poco sopra il 10%, quasi la metà del dato italiano.

Che non sia solo un problema della scuola, ma frutto di una composizione di fattori, è evidente. Eppure, non può non essere anche un problema della scuola, se ‘perde’ 1/5 degli under 24 che non considera l’istruzione secondaria o terziaria (post- diploma, inclusa l’università) una valida alternativa (se non una soluzione) alla disoccupazione.

Se l’Italia è campione europeo di NEET non è certo colpa del fatto che a scuola si studiano le Guerre Puniche una o più volte. Ma cosa si impara a scuola, come si impara, quanto questa istituzione aiuta i più giovani a trovare la loro strada nel mondo non sono temi che si possono derubricare per una battuta infelice. A occhio, qualche margine di miglioramento per questo sotto-finanziato e sovente dimenticato servizio pubblico c’è.

Ciò detto, Guerre Puniche e cultura della scienza e della tecnica possono serenamente coesistere e anzi spalleggiarsi. In fondo, fu lo stesso Annibale ad avere tale fiducia nell’ingegno umano da invitare a non temere gli ostacoli della natura: Multa, quae impedita natura sunt, consilio expediuntur.

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