
- Data inizio
- Durata
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- Lingua
- 15 set 2025
- 2 giorni
- Blended
- Italiano
Acquisire le competenze per guidare percorsi di innovazione capaci di generare impatto con attenzione al ‘valore pubblico’.
Via libera del Consiglio dei Ministri al DPR di armonizzazione amministrativa funzionale all’adozione del PIAO, Piano Integrato di Attività ed Organizzazione, introdotto per decreto lo scorso anno, poi convertito in legge. Tre motivi per investire nel PIAO e tre condizioni di successo.
Il mondo delle amministrazioni pubbliche si è diviso in due gruppi davanti alla nascita del PIAO, col DL 80 del 2021: quelli che da quando sono state approvate le linee guida con il format del PIAO in Conferenza Unificata – lo scorso autunno – hanno cominciato a chiedersi come fare a riorganizzare i propri strumenti di programmazione; e quelli che sono rimasti in attesa che si completasse l’iter normativo, corredato delle più recenti norme che hanno meglio specificato che gli adempimenti non sono abrogati, ma assorbiti, come se da questi ulteriori passaggi potesse derivare chissà quale stravolgimento strutturale o magari addirittura la sua sospensione. E così, alcuni enti si trovano pronti e gli altri dovranno rassegnarsi e recuperare il tempo perduto.
Le ragioni per cui le diverse amministrazioni sono finite in un gruppo o nell’altro sono molte, a giudicare dal mio piccolo osservatorio. In genere dipende da una maggiore o minore attenzione alle riforme, in combinazione con l’atteggiamento con cui si guarda alle riforme stesse: minaccia o opportunità. Certo, nessuna richiesta di cambiamento è priva di costi o di sforzi. In tempi di grande sollecitazione delle amministrazioni pubbliche, le discontinuità, come quelle introdotte dal PIAO, sono una – piccola o grande – fatica in più. Inoltre, se da un lato questo strumento riduce la numerosità degli strumenti di pianificazione, dall’altro aumenta lo sforzo di coordinamento e di integrazione interna agli enti. Eppure, l’esigenza di coordinare gli strumenti di programmazione dovrebbe essere una pratica già in uso, non una richiesta che arriva per norma: senza questo sforzo è difficile immaginare che si possa cogliere la sfida lanciata alle amministrazioni pubbliche dal PNRR. Per tre ragioni.
Se gli spazi di elaborazione collettiva dell’Italia di domani sono stati forse ristretti, nei tempi e nei modi, per le amministrazioni pubbliche quanto per i destinatari di molte delle altre missioni del Piano, non è mai troppo tardi per riappropriarsi del senso di futuro che serve in questa fase trasformativa.
Lo sforzo che il Paese ha provato a fare nella scrittura del PNRR è quello di immaginare l’Italia del futuro. Bene o male che si sia operato, la grande novità non è data solo dall’improvvisa e del tutto inconsueta possibilità di ragionare in chiave di ingenti investimenti, invece che di tagli e contenimento della spesa. Ma anche dallo sforzo altrettanto insolito di proiettarsi in un futuro di cui essere protagonisti e di immaginare la strada per arrivarci. La totale mancanza di familiarità con questo esercizio, frutto di una lunga fase di incertezza e fragilità economica, sociale, politica e forse anche culturale, combinata ad una discutibile idealizzazione di un passato fatto di maggiore benessere e diritti, ha reso l’esercizio del PNRR un po’ spiazzante. Se gli spazi di elaborazione collettiva dell’Italia di domani sono stati forse ristretti, nei tempi e nei modi, per le amministrazioni pubbliche quanto per i destinatari di molte delle altre missioni del Piano, non è mai troppo tardi per riappropriarsi del senso di futuro che serve in questa fase trasformativa.
Pertanto, la prima ragione per cogliere la sfida lanciata dal PIAO è quella di colmare il deficit strutturale di strategia tipico della pletora degli strumenti di pianificazione, provando a dare un senso organico e integrato alla direzione di marcia.
Il secondo motivo riguarda l’esigenza di coordinare a livello locale la grande numerosità di innovazioni offerte dalle riforme in corso. L’agenda della semplificazione, della digitalizzazione, dell’investimento in capitale umano (offerto da concorsi e nuove opportunità di formazione) richiedono di essere coordinate in maniera organica. Un esempio su tutti è il Piano Triennale dei Fabbisogni, strumento nato con l’idea di rendere più flessibile la pianificazione delle risorse umane, di fatto è diventato il dispositivo con cui autorizzare nuove assunzioni, senza grande riflessione sul futuro strategico ed organizzativo degli enti, come provato dalla numerosità di riaggiustamenti infra-annuali. Un maggiore ancoraggio della politica HR (nella seconda parte del PIAO) con la strategia di fondo (espressa dalla prima) può essere un modo per ridurre il rischio di autorefenzialità e forzare verso una maggiore coerenza delle scelte di gestione.
Infine, la chiave del valore pubblico – la vera novità del PIAO – rappresenta forse la più significativa discontinuità col passato, del tutto coerente con le innovazioni introdotte dal sistema di controllo dello stato di avanzamento del PNRR. Invece di un controllo basato prevalentemente sulla certificazione della spesa per gli input, il meccanismo di monitoraggio fondato su target e milestone, sposta l’attenzione sui risultati in termini di impatti degli investimenti e non solo di loro mera ‘messa a terra’, come si ama dire di questi tempi. All’improvviso, le diverse velocità con cui le amministrazioni pubbliche hanno saputo rispondere alle sfide lanciate oltre dieci anni fa dal D.Lgs. 150/2009 (che aveva introdotto logiche e strumenti di performance management nella PA) fanno la differenza sulla capacità di percorrere l’ultimo miglio verso una migliore misurazione degli impatti generati.
Come dice Mintzberg, “dalla storia della pianificazione strategica si può imparare molto non solo rispetto alle tecniche formali, ma anche rispetto a come le organizzazioni funzionano e a come i manager riescono a farle funzionare”. In altre parole, la strategia è prima di tutto pratica e senza pratica la pianificazione è un esercizio vuoto. La pratica è in mano alle persone. Pertanto, la prima condizione di successo sono le persone stesse e le loro convinzioni: il PIAO funzionerà laddove ci sono persone capaci di interpretare la sfida, attrezzate con le giuste competenze e motivazione per fare di questa novità un’occasione di innovazione manageriale.
La seconda condizione di successo, connessa alla prima, è l’accompagnamento. Tanto più saranno disponibili luoghi diffusi e momenti frequenti di scambio e confronto su questa pratica, quanto più il processo di pianificazione diventerà soprattutto un momento di apprendimento organizzativo e inter-organizzativo.
La terza riguarda l’investimento su un monitoraggio del PIAO capillare e sistemico. Se da un lato occorre rinforzare e rilanciare il ruolo di OIV e Nuclei di Valutazione della performance, chiamati a svolgere un ruolo di monitoraggio attivo anche sul PIAO, allo stesso tempo servono metodologie (e tecnologie) per comparare amministrazioni simili lungo indicatori di impatto omogenei, non già al fine di fare le classifiche, ma di ridurre l’autoreferenzialità e di aprire spazi di miglioramento.