#ValorePubblico

Motivazione e questione economica nel pubblico impiego

Nel post della scorsa settimana (Dipendenti pubblici motivati? Ecco come) il focus era sulle leve non economiche per sostenere la motivazione a servire il pubblico. Tra i commenti che ho ricevuto (grazie!!!), alcuni hanno chiesto di trattare anche come incide l’aspetto economico. Voglio cogliere la sfida e, anche se il tema richiederebbe più di poche righe di un post, provo a tracciare qualche linea di riflessione.

Gli incentivi economici sono come lo yogurt: scadono velocemente

Chi ha fatto esperienza di aumento di stipendio o di premio aziendale magari ha anche provato quell’effetto galvanizzante che tale rinforzo positivo ha avuto. Un effetto, però, che dura il tempo dello yogurt: nel giro di poco, scade. Detto in maniera un po’ più tecnica, gli aumenti delle performance conseguenti a tale stimolo sono temporanei e tendono a tornare ai livelli standard nel giro di un tempo contenuto (per approfondire: qui). Questo vuol dire, quindi, che questi stimoli sono inutili sul piano motivazionale? No di certo, ma dobbiamo intenderci su cosa possiamo aspettarci da tali leve.

Motivazione ed equità organizzativa percepita

Nel pubblico, dove i profili retributivi tabellari ed accessori sono soggetti al massimo regime di trasparenza, le scelte che ricadono sulle sorti del singolo sono un messaggio non solo al diretto interessato, ma a tutti i membri dell’organizzazione. Quando si dice che le progressioni (orizzontali o verticali) devono premiare il merito, dobbiamo uscire dalla retorica di questa parola ed entrare nel merito del merito. Cosa ci aspettiamo dai singoli? Quali contributi, comportamenti, posture individuali sono premiati da opportunità economiche o di carriera? Non esistono ricette sempre valide a riguardo, i modelli di riferimento possono essere diversi, sulla base dei contesti, dei profili professionali, dei contenuti di lavoro. Ma un aspetto resta fermo: se le regole del gioco sono chiare, stabili e coerenti tra loro, queste allineano le aspettative dei membri dell’organizzazione che potranno operare al meglio le loro scelte e calibrare i loro sforzi all’interno del perimetro dato. Regole chiare non vuol dire definire un algoritmo in base al quale si definiscono le progressioni (il sogno burocratico per antonomasia). Può voler dire delegare al capo la responsabilità di definire ed esplicitare i principi in base ai quali operare scelte discrezionali. Sovente, la motivazione dei singoli si incrina in maniera più profonda non tanto (o soltanto) se si resta esclusi da tali opportunità, ma se subentra la disaffezione e la sfiducia che nasce dalla scarsa chiarezza o incomprensione delle regole del gioco. Oppure quando, sulla scorta di pratiche “egualitariste”, si rinuncia a costruire opportunità per i singoli e si procede tutti allo stesso ritmo o, peggio ancora, si resta tutti al palo, senza spazio per valorizzare le differenze dei contributi: rifugio ideale per la mediocrità, tomba dello sviluppo. E anche della motivazione. In sintesi, i soldi non avranno grandi effetti motivazionali, ma se il modo in cui sono gestiti non è affidabile o considerato equo, possono avere un enorme effetto demotivante (si pensi ai ricorsi per pochi punti in meno nelle valutazioni di fine anno).

Sovente, la motivazione dei singoli si incrina (...) se subentra la disaffezione e la sfiducia che nasce dalla scarsa chiarezza o incomprensione delle regole del gioco. Oppure quando, sulla scorta di pratiche “egualitariste”, si rinuncia a costruire opportunità per i singoli e si procede tutti allo stesso ritmo o, peggio ancora, si resta tutti al palo (...).

Un problema economico reale: il gap retributivo tra comparto e dirigenza

Un tema a parte riguarda se e quanto sono equi rispetto alle responsabilità e alle qualifiche professionali gli stipendi nel pubblico, con le conseguenti implicazioni in termini motivazionali. Difficile rispondere a questa domanda in modo serio, se non si considera anche il valore economico della sicurezza dell’impiego, che in tempi burrascosi come quelli presenti dispiega tutta la sua preziosità. Certo, la presenza di stipendi per lo più livellati, laddove le responsabilità e il grado di esposizione individuale possono al contrario essere molto variabili, è una di quelle contraddizioni che può far aumentare la disaffezione. Ma l’aspetto forse più controverso è la distanza tra lo stipendio di ingresso in posizione dirigenziale e l’ultimo gradino economico del comparto: il rapporto è quasi 2 a 1. Se in alcuni ordinamenti l’introduzione delle PO o incarichi simili è una soluzione che aiuta a colmare un gap che non è solo retributivo, ma sovente anche organizzativo, e a costruire delle opportunità di sviluppo che non siano solo l’accesso alla dirigenza, altrove invece questa distanza permane. E’ questa l’origine dei problemi di motivazione nel comparto? Mi sento di rispondere convintamente di no e di rimandare a quanto scritto la scorsa settimana in proposito. Ma, come già detto, se i soldi e la carriera non sempre motivano, se distribuiti in maniera non coerente col funzionamento dell’organizzazione possono avere un effetto depressivo. Mettere mano a queste incoerenze non risolve per sempre la questione della motivazione nel pubblico, ma potrebbe togliere un po’ di benzina al motore della demotivazione.

 

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