
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 18 giu 2025
- 3 giorni
- Class
- Italiano
L’obiettivo principale del corso è quello di dare indicazioni e di offrire strumenti metodologici idonei a poter svolgere in chiave strategica la funzione di project manager.
Il prossimo Festival Internazionale dell’Economia di Torino (30 maggio – 2 giugno 2025) sarà dedicato alle nuove generazioni del mondo, tra impatti delle evoluzioni demografiche sul mercato del lavoro, mismatch di competenze, NEET e emergenza disagio psicologico dei più giovani. Sono stata invitata a contribuire in due eventi in cui mi è stato chiesto di portare qualche riflessione sul tema dei giovani e il lavoro pubblico. Nei giorni passati le chiacchierate preparatorie svolte con alcuni rappresentanti dell’Associazione Allievi della Fondazione Collegio Carlo Alberto e di Rethinking Economics Bocconi Students mi hanno fatta riflettere.
Ripasso delle puntante precedenti: quali sono i principali argomenti in cui si è accomodata la litania del dibattito pubblico su giovani e pubblica amministrazione?
Il titolo del primo è “Bisogna svecchiare la PA”: il blocco del turnover ha aumentato l’età media, ci siamo perse intere generazioni e dobbiamo trovare il modo di far tornare i giovani a lavorare nella pubblica amministrazione. Lo sblocco dei concorsi è andato in tal senso, anche se con esiti incerti.
Il titolo del secondo è “Bisogna cambiare l’immagine della PA” con dei bei post tutti colorati su LinkedIn e dei video dove si vede che i giovani sono dinamici e allegri.
Il titolo del terzo è “Bisogna semplificare i concorsi”: per attrarre i giovani i concorsi devono diventare più facili, con test a crocette, così da velocizzare le procedure.
Ma nessuna di queste tre cose basta. Anzi, forse ci portano lontano da dove si pensava di andare.
L’aumento dell’età media nella PA è certamente dovuto al blocco del turnover, ma occorre confrontarsi col fatto che la demografia del paese segnala una progressiva riduzione del numero di giovani in circolazione, cosa che pone un tema sistemico del mercato del lavoro tutto. Difficilmente il picco dei pensionamenti verso cui stiamo andando incontro potrà mai essere compensato da un proporzionale numero di ingressi: occorre da ora lavorare alla costruzione di modelli organizzativi e processi innovati dalle tecnologie disponibili che possano reggere il passo con meno persone. Questo è utile anche per capire chi serve assumere davvero. Senza questa evoluzione, il rischio che nessuna assunzione, per quanto copiosa, potrà mai bastare per innovare e svecchiare e assicurare il buon funzionamento dei servizi pubblici è davvero alta. In sintesi,
limitarsi ad assumere giovani per affrontare il futuro, senza trasformare i modelli organizzativi e la tecnologia a supporto, è come provare a svuotare il mare con secchiello e paletta.
Non c’è niente di peggio che cambiare l’immagine di un prodotto che resta uguale a prima: è come fare una promessa che non può essere mantenuta. Parlando con gli studenti colpisce la rappresentazione del tutto vaga che hanno del “lavoro nel settore pubblico”, come se fosse un unico indistinto blob di stesura delibere, numeri di protocollo, tanta carta e altrettanta polvere. D’altra parte, il portale unico per i concorsi, InPA, ha reso visibile il vero vulnus dell’attrattività del lavoro pubblico: le opportunità di candidatura possono essere esplorate per area geografica, per settore o funzione (cultura, ambiente, ma anche appalti o comunicazione) e persino per salario. Ma non per mestiere. Non c’è modo di capire cosa si finisce a fare. “Istruttore direttivo” deve suonare meno chiaro nel suo significato di supercalifragilistichespiralidoso per un neo laureato.
Policy Analyst, che è il mestiere che un neo-laureato in economia e studi affini si aspetterebbe di poter svolgere in una pubblica amministrazione, semplicemente non esiste
nel nostro modello organizzativo o se esiste è un mestiere nascosto proprio bene.
Eppure non c’è attività di policy design o di programmazione che possa essere svolta senza un pool di persone che raccolgono ed analizzano i dati a supporto. Se si cerca “analista” su InPA si trovano solo ruoli in ambito tecnico-informatico, più che strategico e di policy.
Senza niente togliere ai giovani laureati in giurisprudenza che hanno messo in conto molto presto di passare un certo tempo dopo la consegna della tesi a tornare a studiare per i concorsi in magistratura e seguenti, i più brillanti laureati in economia nemmeno prendono in considerazione di dedicare mesi o anni a mandare a memoria tomi di diritto o addestrarsi con le crocette per passare concorsi verso mestieri ignoti. Non importa quanto semplificati e veloci siano i concorsi:
se il processo di selezione è così indifferente alle qualità che i potenziali candidati pensano di poter esprimere nel contesto professionale (capacità di analisi, di sintesi, di teamwork, etc…) ne deducono che dietro a quel concorso non ci possa essere niente di interessante.
Possiamo dar loro torto? Non stupisce, pertanto, che per questa fascia di talenti sia più naturale guardare ai mestieri pubblici delle istituzioni europee o internazionali, dove è più facile accedere con stage retribuiti dignitosamente che consentono di farsi un’idea del tipo di lavoro e che prevedono meccanismi di selezione più coerenti con le competenze effettivamente necessarie al ruolo.
La tentazione di chiudere un post come questo con qualche proposta è sempre molto alta. Ma forse l’unica proposta ragionevole è di immaginare di
consegnare il mandato di avanzare una proposta di ridisegno dei meccanismi di accesso ad una task force di giovani talenti,
tra cui magari quelli che hanno preferito l’OCSE o la Commissione Europea alla PA italiana. Chissà che non ci aiuti ad uscire da questo loop retorico di una PA che dice di volere i giovani, mentre fa di tutto per scoraggiarli ad avvicinarsi.