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La formazione nella PA: rischi e opportunità all’orizzonte

La scorsa settimana sono stata invitata a commentare i risultati di una interessante survey effettuata da FPA su vari temi relativi alla riforma della Pubblica Amministrazione in corso, tra cui la formazione. Ne emerge un quadro controverso: stiamo chiamando formazione qualcosa che formazione non è.  Questa scarsa chiarezza è molto rischiosa alla vigilia del più grande investimento formativo sui dipendenti pubblici mai visto prima.

La formazione divorata dall’aggiornamento?

Tre su quattro dei rispondenti della Survey FPA dice di aver frequentato un qualche corso di formazione nell’ultimo anno. Difficile credere che questo dato sia rappresentativo della PA italiana. Più probabile che il questionario abbia intercettato i più attenti e inclini a cercare opportunità formative. Meglio: significa ascoltare la voce di chi alla formazione attribuisce un qualche valore. Ebbene, su cosa si sono formati i rispondenti? Svetta al primo posto nella classifica degli ambiti quello “giuridico-normativo” (56%), seguito con una distanza di 14 punti dal tema che ha dominato il dibattito negli ultimi 12 mesi, ovvero lo smart working (42%). Nessun altro ambito raggiunge il 30% e la formazione economica arriva ad un misero 11%. Questo esito può non stupire in una PA storicamente dominata dalla cultura giuridica. Ma racconta di un modo di concepire la formazione che non forma, ma che – se va bene – aggiorna. L’ultima modifica normativa sul codice degli appalti, una certa sentenza della Corte dei Conti sulla disciplina degli incarichi, le nuove Linee Guida sullo smart working: l’iper-produzione normativa invece di disciplinare la vita amministrativa nel nostro Paese la rende instabile, incerta, provvisoria, disorientante. Ne consegue una altrettanto copiosa produzione di eventi, seminari (ormai per lo più via web), ma anche libri, articoli, blog, intere sezioni di quotidiani, dedicati a rincorrere questa giostra di norme. E, infatti, alla domanda “come accedi alla formazione?” le due risposte prevalenti sono “lettura di articoli su riviste o siti tematici” (82%), ma anche “webinar di approfondimento” (82%). A riconferma – anche sul piano dei format – che più che di formazione si tratta prevalentemente di aggiornamento. Sovente lasciato alla libera iniziativa.

Ma, attenzione, i rispondenti ne sono consapevoli. E, infatti, quando si chiede loro su cosa vorrebbero formarsi, invece, la grande maggioranza sceglie tre temi: competenze trasversali come lavoro in team, gestione dei conflitti, problem solving (63%); competenze tecnologiche legate alla trasformazione digitale (62%); competenze organizzative, soprattutto legate alla gestione del cambiamento (57%). Competenze, appunto. Imparare a fare o a fare meglio qualcosa che si può applicare nel proprio contesto lavorativo. Non è capire come adempiere ad un nuovo obbligo normativo, né evitare una sanzione: la formazione, invece dell’aggiornamento, trasforma le pratiche degli individui e delle organizzazioni, a partire dal cambiamento dei quadri interpretativi della realtà. E a questo scopo non basta un webinar di un’ora, né l’articolo di un blog.

la formazione, invece dell’aggiornamento, trasforma le pratiche degli individui e delle organizzazioni, a partire dal cambiamento dei quadri interpretativi della realtà

I rischi e le opportunità delle risorse del PNRR destinate alla formazione

Se c’è una cosa senza precedenti nella storia della nostra Pubblica Amministrazione è il grande piano di investimenti che il PNRR dispiega per la prima volta sulle persone che ci lavorano: stiamo parlando di circa 840 milioni di euro, tra i diversi progetti previsti per i dipendenti dei diversi livelli amministrativi, da investire sullo sviluppo delle competenze delle persone e dell’organizzazione entro il 2026. Dopo anni di riforme a risorse invariate, questa iniezione di denaro è la vera novità della riforma della PA in corso. Sapremo usare questa opportunità in maniera assennata? La risposta dipende da tante variabili, inclusa la capacità di discernere cosa è formazione e cosa non lo è. Nel mercato del lavoro privato la formazione continua è la chiave per offrire alle persone opportunità di impiego (e, quindi, di vita) interessanti e gratificanti in un mondo dove i processi produttivi cambiano rapidamente, alle imprese l’accesso ad un mercato di competenze qualificate e coerenti con le sfide come quelle della transizione verde e digitale. Nel pubblico il tema non è l’incontro di domanda ed offerta, ma l’adeguamento delle competenze dei dipendenti ai modelli organizzativi che devono essere progettati per essere all’altezza di accompagnare la trasformazione della PA, infrastruttura cruciale di tutte le politiche pubbliche. Per quanto gli ambiziosi piani di assunzione di cui si legge sui giornali proprio in questi giorni siano una importante iniezione di competenze nuove, non si può pensare di cambiare la PA senza una visione chiara di quali nuovi mestieri e quali competenze collegate occorre promuovere e sviluppare tra chi la PA la abita e la abiterà ancora per molto. La formazione, pertanto, o forma all’azione e cioè abilita a fare, o non è formazione. E’ aggiornamento, intrattenimento oppure, nelle forme più sofisticate, approfondimento intellettuale. Cui non seguirà però quel cambiamento che è sorretto solo dagli apprendimenti dirompenti.

Pertanto, cominciamo a dirci che questi soldi non basterà spenderli tutti. Né basterà certificare le ore di esposizione a questo o a quel seminario, prodigo di collegati crediti formativi. Se saremo stati in grado di utilizzare al meglio queste risorse lo capiremo osservando il cambiamento nei servizi pubblici e nel funzionamento della vita amministrativa, attraverso il miglioramento della qualità del contributo dei singoli. E’ questo che dobbiamo imparare a misurare. Forse avremo una PA un po’ meno aggiornata, ma certamente più competente.

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