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Del concorso in magistratura e altri psico-test

In un paese che non di rado si divide con fervore pregiudiziale su questioni complesse senza tanto approfondire, questa volta l’oggetto della discordia sono i test psico-attitudinali per selezionare i magistrati. Approfondire può aiutare a diradare la nebbia. 

 

Il dibattito si è incagliato sulla legittimità del provvedimento, sul suo presunto sapore autoritario e persino sugli effetti reputazionali che avrebbe sulla magistratura stessa.

Mentre ci si spende a difendere la democrazia da un test (o ad usarlo come una clava), si perde di vista che il rinnovamento degli strumenti del concorso pubblico è un processo necessario per assicurare funzionalità e credibilità al presente e al futuro delle istituzioni pubbliche nei regimi liberali.

Magistratura inclusa. Infatti, in tutte le democrazie occidentali è in corso un processo di riforma degli strumenti di selezione della classe dirigente pubblica, non già al fine di abolire il concorso, ma di qualificarlo. Al crescere delle responsabilità e della complessità aumenta l’impatto che giocano le competenze cognitive, sociali, esecutive di chi le gestisce. Queste competenze non sono correlate al sapere specialistico, unico oggetto di valutazione nel concorso tradizionale. Pertanto, se vogliamo assicurarci che a vincere i concorsi non sia solo chi ha studiato di più, ma anche chi è più adatto al ruolo, occorre arricchire le prove di strumenti volti ad osservare anche queste dimensioni, tradizionalmente neglette.

Tre però i punti di attenzione:

1. Selezionare i più adatti al ruolo non coincide col più controverso obiettivo di “tenere fuori i matti”.

Questa è un’ambiguità che occorre chiarire presto: usare strumenti di diagnosi clinica come barriera d’accesso (ad esempio l’MMPI in uso nel reclutamento delle forze di polizia e difesa) è discutibile in quanto allo stesso tempo inappropriato ed insufficiente nella selezione di professionalità complesse come per la magistratura. In un tempo in cui al centro del dibattito vi è il benessere organizzativo, 

qualificare i concorsi non passa tanto per la riduzione del rischio di patologia psichiatrica, ma per la valorizzazione delle attitudini più coerenti col profilo ricercato.

2. Non esistono test con poteri magici. Né per la valutazione del sapere tecnico, né per quello del profilo di ruolo.

Solo con un mix di prove di natura diversa si perviene ad una valutazione affidabile dei candidati. Questo non rende di per sé i concorsi più lunghi, ma certo richiede di riscriverne i percorsi. I test piacciono anche perché rapidi. Ma un paese serio non può inseguire l’efficientismo nei concorsi, al prezzo di sacrificare l’efficacia della decisione su chi assumere. Utile sapere che non mancano gli esempi su come andare oltre il singolo test nei concorsi (a partire dalle recenti Linee guida della SNA).

3. Il problema non è la discrezionalità della valutazione psico-attitudinale, ma la necessità di una maggiore ibridazione delle professionalità coinvolte nei processi di selezione.

La correzione delle prove scritte ‘tradizionali’ è oggettiva? È certamente intersoggettiva: la magistratura è non solo un corpo dello stato, ma anche una comunità professionale ed epistemica, che condivide saperi e interpretazioni del loro oggetto di lavoro, ovvero l’ordinamento e la sua applicazione. Due magistrati nella stessa commissione di concorso possono divergere sulla valutazione di uno stesso scritto, ma condividono codici e linguaggi per confrontarsi nel merito in modo professionale. Introdurre nelle procedure di accesso alla carriera criteri che sfuggono al dominio del sapere dei membri della comunità professionale di ingresso (in questo caso la magistratura) genera una fisiologica dose di diffidenza che si traduce nell’accusa di soggettività della valutazione psico-attitudinale. Ma anche gli studiosi del comportamento organizzativo e ancor più gli psicologi del lavoro sono una comunità professionale ed epistemica che ha sviluppato metodologie e strumenti affidabili e codificati per esprimere valutazioni puntuali sul profilo di ruolo. 

Pertanto, un aspetto cruciale che abilita o pregiudica l’innovazione dei concorsi pubblici (ma anche degli strumenti di sviluppo) nella magistratura e oltre è la capacità di costruire alleanze inter-professionali che sostengano l’ibridazione delle competenze necessarie allo scopo.

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