Ovviamente, sentenze come quella che ristabilisce il diritto delle lavoratrici alla parità di salario, o che riconosce il diritto dei malati di Alzheimer ad accedere gratuitamente al ricovero in RSA in quanto prestazione sanitaria, non possono che essere accolte con cori di giubilo. Almeno finché qualcuno non si mette a fare i conti. A Birmingham, dopo anni di tagli alle politiche comunali e un default, le donne si sono viste arrivare risarcimenti ben inferiori a quelli stabiliti dalla sentenza. E per le RSA? Chi pagherà?
Estendere il perimetro della natura sanitaria di una prestazione in regime di accreditamento (e quindi paragonata ad una erogazione pubblica) significa sancire che questa debba essere a carico della fiscalità generale. Ora, ci sono solo tre opzioni per trovare copertura a questi tre miliardi ad oggi sostenuti dalle famiglie, consapevoli che verosimilmente sono stime al ribasso:
- Aumentare la pressione fiscale per assicurare nuove risorse a tutela di questo diritto.
- Trovare queste risorse sottraendole ad altri capitoli di spesa.
- Ridimensionare nei fatti questo servizio pubblico.
Infatti, la sentenza stabilisce la gratuità per un servizio che c’è. Ma non può farlo per un servizio che non c’è. Il rischio che l’effetto di una sentenza del genere, se non trova presto una nuova cornice finanziaria in sua risposta, incentivi una parte del sistema di offerta (per lo più privati o terzo settore) ad uscire dal regime di accreditamento per collocarsi nel mercato privato puro non è così remoto quanto piacerebbe pensare. Con la conseguenza di vedere aumentare i costi e ridurre il perimetro dei diritti per le famiglie con persone affette da morbo di Alzheimer.
Il contrario esatto delle intenzioni della sentenza.