Teoria in pratica

Luci e ombre del telelavoro nella PA

Da strumento risolutivo di diversi problemi socio-organizzativi, il telelavoro è diventato oggetto di ripensamenti, tanto che i dipendenti pubblici preferiscono colleghi che non lavorano da remoto

Il contesto

Tra i cambiamenti più significativi che hanno interessato la pubblica amministrazione negli ultimi decenni c’è stata l’introduzione del telelavoro, spesso declinato in sinonimi quali telecommuting, home work, remote work, lavoro a distanza, smart work.

 

Il telelavoro è stato inizialmente riconosciuto come un’innovazione indispensabile per affrontare i problemi dei luoghi di lavoro e per venire incontro alle nuove esigenze demografico-sociali – dalla promozione dell’emancipazione femminile alla difesa della genitorialità, fino all’attrazione dei Millennials e all’incentivazione di politiche di mobilità urbana e di maggiore sostenibilità ambientale. Al contempo sono tuttavia emerse alcune criticità relative alle forme di controllo sul telelavoratore, alla frammentazione dei suoi compiti, al mancato confine tra vita professionale e privata.

 

Inoltre, la flessibilità garantita da questo modello organizzativo – che ha di fatto riconfigurato la dimensione temporale del lavoro consentendo attività sia sincrone sia asincrone – non è stata accompagnata né da una misurazione dei reali impatti sull’organizzazione quando il telelavoro è stato implementato né da una valutazione delle dinamiche relazionali tra colleghi telelavoratori e non telelavoratori.

 

Le organizzazioni pubbliche che hanno adottato il telelavoro stanno dunque sperimentando conseguenze inaspettate. Tra queste, sono state identificate in particolare il senso di isolamento percepito dai telelavoratori e di disuguaglianza e di ingiustizia di quei dipendenti che non hanno accesso al telelavoro per motivi diversi dalla loro scelta.

 

La ricerca

Al fine di esplorare l’atteggiamento dei non telelavoratori nei confronti dei colleghi telelavoratori – fisicamente lontani, o almeno non sempre presenti in ufficio – un recente studio ha raccolto e analizzato una serie di dati relativi a una grande amministrazione pubblica italiana, che è stata pioniera nell’introduzione del telelavoro (2011) e che continua a fornire ai propri dipendenti questa opzione.

 

A 1.014 dipendenti non telelavoratori dell’organizzazione (circa 1/5 del totale) è stato chiesto di scegliere tra cinque attributi categorici – sesso (maschio, femmina), età (39, 45, 51), numero di figli (uno, tre), stato di telelavoro (non telelavoratore, telelavoratore) e orario di lavoro (part-time, full-time) – indicando la propria preferenza verso una sola delle opzioni presentate. I risultati dell’esperimento hanno indicato senza ambiguità la preferenza dei dipendenti pubblici verso i colleghi non telelavoratori. Il telelavoro è infatti emerso come l’attributo con il più grande coefficiente negativo: le probabilità di essere selezionati erano infatti del 58,5% più basse per i telelavoratori rispetto ai non telelavoratori.

 

A partire dai risultati dell’esperimento, lo studio si è proposto di analizzare le motivazioni dietro questa netta preferenza, e lo ha fatto in una seconda fase della ricerca basata su interviste semi-strutturate condotte nell’amministrazione, in particolare con i non-telelavoratori.

 

Va sottolineato come le interviste non hanno rivelato un orientamento generale di opposizione al telelavoro. La sua introduzione è stata giustificata come conseguenza dell’ineluttabile progresso tecnologico e dei cambiamenti sociali e come risposta alle legittime esigenze personali e familiari dei lavoratori. Tuttavia, alle condizioni contestuali che ne hanno favorito l’introduzione sono seguiti alcuni effetti negativi che, secondo gli intervistati, il telelavoro ha generato sui telelavoratori, sui colleghi non telelavoratori e sull’intero collettivo, ossia l’insieme dell’ambiente di lavoro composto sia da chi è presente fisicamente sia chi lavora da remoto.

 

Sono in molti, infatti, ad aver sottolineato un trade-off tra benefici individuali e organizzativi. L’assenza fisica dei telelavoratori richiede un carico di lavoro aggiuntivo per chi è presente in ufficio – che è dunque costretto a compensare l’assenza dei colleghi – ma a differenza di studi precedenti questo non sembra preoccupare molto gli intervistati. Invece viene confermato che l’isolamento dei compiti ha portato in molti casi a un vero e proprio isolamento professionale, escludendo i telelavoratori da incarichi di responsabilità ma anche da relazioni personali che si basano sulla presenza in ufficio. È interessante rilevare che tale isolamento può essere «permanente», ossia continuare anche quando i telelavoratori sono presenti in ufficio a causa della consuetudine dei colleghi nel non averli vicino.

 

Gli effetti del telelavoro che gli intervistati hanno percepito come di gran lunga più critici riguardano però la sfera collettiva del posto di lavoro, come l’abbassamento delle performance, maggiore lentezza nel processo decisionale, un impoverimento della qualità dei servizi offerti al pubblico soprattutto in quei casi in cui si tratti di una procedura o decisione urgenti o non usuali.

 

Inoltre, la distanza fisica tra i membri dello stesso ostacola la comunicazione informale a causa difficoltà nella costruzione di un rapporto interpersonale. In tal senso, il telelavoro sembra anche limitare lo sviluppo di ulteriore know-how, e anzi rafforza una visione statica dell’apprendimento organizzativo basato sulla conoscenza individuale esistente piuttosto che su un approccio dinamico basato sulla produzione condivisa di conoscenza.

 

Infine, sono in molti a essere preoccupati per l’alterazione dell’equilibrio vita-lavoro; preoccupazione che non riguarda solo i dipendenti che lavorano da casa anche chi continua a lavorare in ufficio e teme che il telelavoro impoverisca l’esperienza comunitaria generata dal luogo di lavoro, con un ambiente meno vivace e arricchente.

 

Conclusioni e implicazioni

A seguito della pandemia da Covid-19, la diffusione del telelavoro è salita a livelli senza precedenti ed è prevedibile che questo diventerà un elemento organizzativo fondamentale, sebbene modulare, nelle burocrazie pubbliche di tutto il mondo.

 

Gli effetti distorti del telelavoro posso erodere la componente sociale dell’esperienza lavorativa, alterando sia l’equilibrio lavoro-famiglia sia le prestazioni dell’intera organizzazione pubblica, con riflessi diretti sui servizi alla collettività. Appare dunque cruciale concentrarsi anche sulla percezione dei non telelavoratori rispetto all’introduzione di questa innovazione sul posto di lavoro.

 

Policy maker e manager pubblici dovrebbero dunque porre maggiore attenzione alle strategie convenzionalmente utilizzate per mitigare gli effetti negativi del telelavoro, concentrandosi da un lato sulla valorizzazione del team di lavoro nel suo insieme; dall’altro, favorendo l’integrazione di telelavoratori e non telelavoratori. Soluzioni concrete in questa direzione includono: la progettazione di flussi di lavoro integrati che non parcellizzino i compiti dei singoli lavoratori; l’impiego di tecnologie che facilitino la comunicazione informale e la promozione di ambienti in grado di incoraggiare gli scambi personali tra colleghi, indipendentemente da dove lavorano. Tali considerazioni possono essere utili non solo in burocrazie pubbliche ma anche in organizzazioni complesse private.

 

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