Teoria in pratica

Il valore dei manager si riflette nella loro retribuzione?

Uno studio recente ha cercato di determinare in modo empirico quanto i manager intermedi contribuiscano alla creazione dei profitti aziendali e quale parte di questo contributo torni loro indietro sotto forma di una migliore retribuzione.

Il contesto

I dirigenti di medio livello, tipicamente responsabili di unità, sono meno visibili del top management e dei responsabili vendite, la cui retribuzione può arrivare a riflettere fino al 60 per cento del valore aggiunto che generano per l’azienda. Le cause che limitano la capacità dei manager intermedi di trattenere il valore generato sono molteplici. La prima è rappresentata da motivazioni non economiche, quali la reputazione o il clima aziendale, che possono spingere i manager a rimanere anche quando non vengono pagati in misura commisurata al profitto generato, limitando perciò la loro capacità di risultare credibili quando minacciano di dare le dimissioni. Un secondo ostacolo è dato dalla scarsa richiesta sul mercato del lavoro, che riduce le opportunità per contrattare la propria retribuzione. La terza barriera infine è legata alla difficoltà (sia dei manager sia del datore di lavoro) di valutare in modo puntuale quale effettivo contributo essi forniscano ai profitti aziendali: poiché le loro mansioni sono integrate all’interno dell’organizzazione, spesso è difficile valutarne l’impatto diretto sul profitto generato dall’azienda nel suo complesso. La ricerca che abbiamo condotto fornisce delle prove empiriche di questo fenomeno, analizzando il caso di una grande catena di ristorazione veloce.  

 

La ricerca

L’azienda oggetto dello studio ha una rete diffusa di ristoranti. Sono stati considerati dati mensili relativi agli anni 2007-2014, per un database finale composto da 441 gestori e 394 punti vendita, corrispondenti a 26.456 osservazioni direttore/punto vendita.  

 

Quale valore genera un direttore di punto vendita, e quale parte torna a lui o lei sotto forma di retribuzione? Il lavoro quotidiano di questi manager riguarda la gestione dell’operatività e del personale, la formazione, il monitoraggio del negozio dalla pulizia alle decisioni sull’esposizione delle merci: il loro contributo alla performance del negozio può essere significativo, in base a come promuovono i prodotti, formano il personale, controllano direttamente i costi dei negozi supervisionando turni e magazzini. Il loro compenso è suddiviso tra lo stipendio base e il bonus variabile, non determinato dal contratto collettivo ma negoziato su base individuale, pari mediamente al 6 per cento del compenso totale e basato su obiettivi periodici legati alle vendite, ai profitti e alla qualità del servizio. La politica aziendale prevede una rotazione costante nel ruolo di responsabile di punto vendita per evitare che i manager si leghino troppo a un determinato negozio: una media del 23 per cento cambia infatti sede ogni anno.  

 

Lo studio ha calcolato la «creazione» di valore del gestore del negozio come frazione dell’utile netto del punto vendita direttamente attribuibile al manager. Il valore «catturato» dal gestore è stato invece misurato attraverso la retribuzione del manager, comprensiva di stipendio mensile fisso e di eventuale bonus trimestrale. Utilizzando sofisticati metodi econometrici, lo studio ha stimato che, a parità di ogni altra condizione, un direttore di punto vendita particolarmente bravo (una deviazione standard oltre la media) genera un 6,7 per cento di profitto aggiuntivo (che corrisponde a quasi il doppio del compenso medio di un gestore). Tuttavia, lo stesso manager riesce ad appropriarsi, sotto forma di retribuzione, solo di una parte limitata di tale profitto aggiuntivo (0,5 per cento).  

 

Lo studio ha analizzato quest’ultimo aspetto, tenendo conto anche di alcune caratteristiche del manager (quali sesso, età e tipologia contrattuale) che possono incidere sulla sua retribuzione indipendentemente dalla redditività del punto vendita. Lo squilibrio tra valore generato e valore trattenuto dai manager riflette molteplici fattori, sia dal lato della domanda di lavoro e delle prassi di gestione delle risorse umane, sia dal lato dell’offerta di lavoro e delle condizioni del mercato di lavoro. Per esempio, l’azienda può avere difficoltà a discernere la parte della redditività del punto vendita dovuta al negozio (dimensione, localizzazione ecc.) dalla parte di redditività dovuta al manager, in quanto le due componenti sono molto interdipendenti. In tal caso, l’utilizzo di sistemi di retribuzione variabile basati solo sulle performance del negozio possono portare a non allineare valore creato e appropriato dal gestore. Analogamente, il disallineamento può derivare dalla presenza di ricompense non pecuniarie (employer brand, purpose aziendale, clima organizzativo ecc.) che «compensano» il differenziale tra creazione e appropriazione del valore. Inoltre, il disallineamento può essere funzione delle condizioni del mercato del lavoro e in particolare dei trend di domanda e offerta. Le analisi suggeriscono che i manager si appropriano di frazioni maggiori del valore creato quando la domanda sul mercato del lavoro è elevata, perché possono avere accesso ad opportunità alternative di impiego con retribuzioni superiori.  

Conclusioni e implicazioni

Le analisi dimostrano che, nel caso analizzato, i manager intermedi migliori si appropriano solo di una piccola parte del valore che creano. Questo risultato, se fosse generalizzato a più imprese e settori, suggerisce che i sistemi di gestione delle risorse umane potrebbero contribuire a generare un vantaggio competitivo nella misura in cui fossero in grado di: a) attrarre, sviluppare e trattenere i manager capaci di creare valore, magari migliorando il loro reclutamento, selezione, formazione e sviluppo; b) valutare le prestazioni in modo più accurato, così da misurare l’effettivo contributo individuale alla creazione del valore; c) garantire l’allocazione ottima dei manager migliori in ruoli più importanti; d) comprendere le motivazioni del manager e calibrare su di esse i sistemi di ricompensa monetari e non monetari.  

 

Il disallineamento rivelato dallo studio tra creazione e appropriazione del valore da parte dei manager implica inoltre che le aziende possono perseguire strategie diverse in base alla tipologia del mercato del lavoro in cui operano e alla presenza o meno di concorrenza e di opportunità alternative di impego. Quando il mercato del lavoro è competitivo dal lato della domanda, infatti, è possibile che i manager a più alto potenziale possano appropriarsi di frazioni maggiori del valore da loro creato. Quando invece il mercato è competitivo dal lato dell’offerta, sono le imprese ad avere maggiore probabilità di appropriarsi di tale valore.  

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