Sotto la lente

La sanità multicanale

Non solo telemedicina, ma anche telefonate, video-chiamate, utilizzo di app. Il futuro per le aziende sanitarie sembra ormai destinato a transitare attraverso quella che viene definita comunemente «multicanalità» nei servizi erogati. 

 

Multicanalità è un termine che arriva dal mondo del marketing e fa riferimento ’all’utilizzo, da parte di un’azienda, di differenti punti di contatto, canali o strumenti (online e/o offline) per interagire con i consumatori. Relativamente al mondo della sanità, multicanalità significa, in termini pratici, il passaggio da un solo canale di erogazione per tutti i pazienti (quello fisico) alla molteplicità di canali per ogni paziente gestito. 

 

La gestione dell’emergenza Covid-19 in sanità ha funzionato da acceleratore di processi di trasformazione e innovazione già parzialmente in corso prima del 2020: da molti anni, infatti, si auspicava l’introduzione di strumenti digitali (o in ogni caso ulteriori a quelli tradizionali nell’erogazione delle cure), ma solo per gestire le conseguenze del distanziamento fisico imposto dalla pandemia si è osservata l’introduzione della telemedicina tra i canali di erogazione dei servizi maggiormente citati tra le esperienze innovative.  

 

In generale, parlare di multicanalità nelle aziende sanitarie implica interrogarsi almeno su quattro fronti diversi. 

 

Il primo è quello tecnologico: significa scegliere quali piattaforme e quali software adottare, ma anche come alimentare i flussi informativi necessari a rendere possibili le visite e le prestazioni sanitarie a distanza. È anche importante interrogarsi su come integrare strumenti digitali diversi: per esempio, dispositivi e wearable device – essenziali per il concetto di multicanalità in sanità, in quanto molti strumenti svolgono congiuntamente la funzione di diagnosi (curva glicemica, rilevazione della pressione ecc…)– di terapia (rilascio di un farmaco o attivazione di un software) e di monitoraggio (rilevazione dell’efficacia della terapia). Queste funzioni sono, e potranno essere, svolte in modo sempre più efficace con la creazione di grandi banche dati che consentono il confronto tra centinaia di migliaia di pazienti e con il ricorso a sistemi di intelligenza artificiale   

 

Il secondo è il piano formale: si tratta di definire il nuovo lessico e la nuova tassonomia digitale (che cos’è, per esempio, la «salute digitale»? Come si differenzia dalla «medicina digitale»?), ma anche rendere l’erogazione tramite i nuovi canali compatibile con la normativa sulla privacy, e anche prevedere un riconoscimento adeguato (in termini di tariffe) per le prestazioni erogate in modalità diverse da quella fisica tradizionale. 

 

Il terzo è il piano clinico: bisogna innanzitutto definire per quali target di pazienti è appropriato ricorrere a nuovi canali come quello della medicina e, successivamente, per quali fasi della patologia o per quali aspetti del problema di salute, stabilendo in quali condizioni è necessario poi incontrare personalmente il paziente. Esattamente come l’offerta fisica di cure non implica necessariamente migliore equità di accesso, lo stesso equivale per l’offerta virtuale delle cure. Valutazioni su appropriatezza ed equità di accesso possono essere fatte solo se la popolazione è conosciuta e profilata. Non meno importanti sono poi le questioni legate all’aggiornamento dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali-PDTA (che raramente inquadrano la televisita e il teleconsulto) e alla costruzione di un codice deontologico per l’uso della telemedicina. 

 

Ultimo fronte, ma non per importanza, quello manageriale: erogare servizi tramite i canali digitali implica ripensare l’organizzazione del lavoro (la multicanalità richiede per definizione multi-disciplinarietà e multi-professionalità), rimodulare il back office, coordinare le trasformazioni gestionali affinché sia preservata l’unitarietà dell’offerta e migliorare la connessione con gli altri servizi della rete sanitaria e sociosanitaria. 

 

La multicanalità non significa sostituire un canale all’altro, ma richiede la capacità di adattarsi gradualmente ai bisogni e alle aspettative dei diversi gruppi di destinatari (per esempio, diversi gruppi di cronicità). Significa consentire al paziente di scegliere il canale più adatto, ma richiede anche una azione proattiva per orientare il paziente verso il canale più utile. A monte, dovrebbe prevedere anche il coinvolgimento di questo nella progettazione e nel continuo adattamento dei diversi canali di erogazione dei servizi, la collaborazione tra i professionisti e la capacità di ascolto dei pazienti. 

L’approccio multicanale è utile solo se consente di passare da una logica secondo cui i pazienti vanno verso le strutture a un modello nel quale le conoscenze possono essere portate verso i pazienti nelle diverse condizioni nelle quali si trovano. 

Le esperienze di digitalizzazione a cui stiamo assistendo sono anche un potente strumento di generazione di conoscenze (knowledge generation), accumulazione di conoscenze (knowledge accumulation & management) e diffusione delle conoscenze (knowledge sharing). Questo significa anche che l’efficacia della multicanalità dipende dalla accettazione da parte dei professionisti che la condizione delle multi-conoscenze non fa perdere potere (professionale, organizzativo, economico), ma al contrario consente di moltiplicare la capacità del sistema di rispondere ai bisogni, di essere sostenibile.  

Nonostante il termine più utilizzato per riferirsi alle esperienze e alle prospettive illustrate anche in questo articolo sia «multicanalità», sarebbe più corretto già oggi in sanità parlare di «cross canalità», ossia della combinazione di canali di erogazione diversi per la gestione del medesimo paziente potendo scegliere di volta in volta il canale più appropriato. Il passo successivo dell’innovazione sarebbe quello di adottare la cosiddetta «omnicalità», cioè la sinergia tra diversi canali che si integrano in modo costante attorno al paziente perché il sistema delle informazioni sul paziente è condiviso, è di sistema. Allo stato dell’arte sembrerebbe avveniristico, ma perché non puntare verso obiettivi sfidanti soprattutto in considerazione del ruolo che la digitalizzazione ha all’interno del PNRR? 

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