#ValorePubblico

Quando competenza fa rima con motivazione

Quando il lavoro pubblico guadagna le prime pagine dei giornali, raramente è una buona notizia. Sarebbe auspicabile che questo momento di attenzione mediatica fosse convogliato, invece, sulle opportunità, più che sulle polemiche, nonché sulle condizioni per coglierle. Ci proviamo con questo contributo, in cui parliamo di competenze nella PA col collega Francesco Vidè, che nella sua attività di ricerca studia i competency framework di istituzioni pubbliche italiane ed internazionali.

Furbetti dello smart working? I dati dicono altro

“Gli statali hanno un piano: non tornare più in ufficio”, titolava qualche settimana fa un noto quotidiano nazionale e da allora la polemica sugli “statali” è tornata effervescente. Il casus belli? Il 93,6% di un campione di dipendenti pubblici che hanno risposto ad una survey lanciata da FPA dichiara che vorrebbe continuare a lavorare in smart working. A dirla tutta, il 66% dello stesso campione di dipendenti dichiara anche che il lavoro da casa dovrebbe essere integrato con rientri in ufficio e non manifesta, pertanto, la volontà di barricarsi nella “grotta”. Ma il dibattito pubblico, si sa, non contempla le sfumature. Anzi, al contrario, si nutre di narrazioni iper-semplificate, come quella dell’“homo statalis”, irriducibilmente avverso al lavoro, furbetto del cartellino ieri, dello smartworking oggi. Se per un solo istante, invece, proviamo a liberarci degli stereotipi sui dipendenti pubblici, potremmo leggere in questi dati qualcosa di diverso.

 

Nel corso di un webinar di SDA Bocconi Insight (LINK) dedicato al tema, la collega Marta Barbieri ha citato gli esiti di una recentissima ricerca condotta dall’ Office of Personnel Management degli Stati Uniti, secondo cui i dipendenti che possono lavorare anche da remoto mostrano un livello di motivazione e, più in generale, di soddisfazione lavorativa di 10 punti superiore ai dipendenti che non hanno la possibilità di accedere a forme di lavoro smart. Nella stessa occasione, Valerio Iossa, Direttore Centrale dell’Organizzazione e delle Risorse Umane del Comune di Milano, ha riportato il dato di una survey interna all’ente che offre informazioni altrettanto interessanti e complementari: la soddisfazione rispetto all’esperienza di lavoro da casa dei dipendenti del Comune di Milano è tanto più alta maggiore è il livello di responsabilità ed autonomia del lavoratore. Gli esiti di queste indagini ci riportano ad un modello motivazionale vecchio almeno 50 anni (ma decisamente ignorato nei contesti pubblici): la teoria dell’auto-determinazione (Deci, 1971), secondo cui la motivazione intrinseca del lavoratore è strettamente collegata alla sua possibilità di gestire in autonomia il proprio lavoro e di poter vedere realizzato in questo le proprie competenze. E’ evidente che la modalità di lavoro smart è più coerente con funzioni che si prestano ad una gestione autonoma delle attività. Ma si potrebbe anche immaginare che la necessità di estendere questa modalità per via ‘forzata’ abbia valorizzato la sfera dell’autonomia e lo spazio di affermazione delle proprie competenze anche al di là di quanto previsto delle forme organizzative più tradizionali, laddove possibile (di fatto spaccando in due la PA, come argomentato da altri osservatori).

In altre parole, il lavoro da remoto richiede e, allo stesso tempo, valorizza l’autonomia e la professionalità dei lavoratori, ovvero le loro competenze. E, non sorprendentemente, un lavoratore che si sente competente e valorizzato per le proprie capacità - anche attraverso una più ampia delega nella gestione delle proprie funzioni - è anche più motivato. Ciò non significa, evidentemente, eliminare gli strumenti di controllo, bensì affiancare a meccanismi di supervisione diretta politiche e strumenti finalizzati ad incoraggiare l’autonomia, la motivazione e le competenze delle persone. Un’organizzazione attenta alle necessità e allo sviluppo delle competenze dei dipendenti, sin dal reclutamento, può rappresentare un fattore motivante per i singoli dipendenti e, allo stesso tempo, motore per migliori performance aziendali.

Un lavoratore che si sente competente e valorizzato per le proprie capacità - anche attraverso una più ampia delega nella gestione delle proprie funzioni - è anche più motivato

Ripartire dalle competenze, con uno sguardo alle esperienze internazionali

Su questo la Pubblica Amministrazione italiana può trarre apprendimenti rilevanti dalle esperienze introdotte a livello internazionale, che vanno nella direzione di una gestione strategica ed integrata delle risorse umane basata sulle competenze (il cosiddetto competency-based human resource management). Questo approccio mette al centro le competenze individuali, immaginandole come un filo in grado di connettere i diversi strumenti di gestione del personale: definire le competenze richieste per ricoprire una determinata posizione sulla base degli obiettivi e della direzione strategica dell’organizzazione, valutare il possesso delle competenze richieste da parte del dipendente chiamato a ricoprire la specifica posizione, identificare i gap ed i fabbisogni come lo scarto tra le competenze possedute e le competenze richieste, creare piani di sviluppo individuali ed attivare le leve di gestione HR con l’obiettivo di colmare tali gap di competenze. Questo significa selezionare i nuovi dipendenti sulla base del fabbisogno organizzativo di competenze, formare coloro che già lavorano presso l’amministrazione costruendo un percorso di crescita individuale, attivare procedere di mobilità interna per avere le persone giuste nel posto giusto.

Il tema è stato messo nero su bianco dal Governo Britannico all’interno del Civil Service Reform Plan del 2012: “the Civil Service does not have the right capabilities in the right place to do what is needed. Così il Cabinet Office del Governo ha introdotto, a partire dal 2019, un nuovo framework di reclutamento dei dipendenti pubblici (Success Profiles) che presenta cinque dimensioni su cui basare la selezione dei nuovi civil servants e la valutazione degli attuali dipendenti: comportamenti organizzativi, punti di forza, abilità, esperienza e competenze tecniche. Anche i più vicini Francesi hanno formalizzato la propria strategia di competency-based human resource management nella (più farragginosa) metodologia GPEEC (Gestion prévisionnelle des emplois, des effectifs et des compétences), attraverso cui hanno costruito un articolato Dizionario delle Competenze declinato a seconda della professione e del livello organizzativo ricoperto dai dipendenti pubblici ed utilizzato per gestire programmazione dei fabbisogni, reclutamento, formazione, valutazione e mobilità interna.

Più la valutazione è orientata allo sviluppo (e meno alla mera erogazione dei premi, in una logica di controllo) e più la relazione tra capo e collaboratore è percepita come equa e maggiore è il livello di engagement registrato dai dipendenti

Anche da noi, i dipendenti ben gestiti sono anche i più motivati

Ma una gestione del personale orientata allo sviluppo delle competenze individuali è veramente in grado di motivare i dipendenti pubblici? I risultati di una recente ricerca condotta da SDA Bocconi vanno in questa direzione. In un campione di quasi 1.500 dipendenti pubblici italiani, infatti, è stata verificata una relazione statisticamente significativa tra l’orientamento allo sviluppo (invece che solo agli incentivi) dei sistemi di valutazione delle performance e l’equità percepita dei risultati, delle procedure e delle relazioni che caratterizzano il processo di valutazione della performance individuale. Ma non solo: più la valutazione è orientata allo sviluppo (e meno alla mera erogazione dei premi, in una logica di controllo) e più la relazione tra capo e collaboratore è percepita come equa e maggiore è il livello di engagement registrato dai dipendenti.

In estrema sintesi, come scriveva ormai oltre 10 anni fa Giovanni Valotti, “Fannulloni si diventa”: i comportamenti dei lavoratori – anche nella PA – sono in larga misura il prodotto delle politiche di gestione. Oggi si è aperto un inaspettato spazio per immaginare un modo nuovo di pensare al lavoro, anche quello pubblico e per reinventare queste politiche. Le competenze – dalla selezione allo sviluppo, dalla retribuzione alla motivazione – ci sembrano la parola chiave da cui ripartire.

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