- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 4 mar 2025
- 40 ore
- Online
- Italiano
Gestire il prodotto in ogni fase del suo ciclo di vita, bilanciare le esigenze dei clienti e garantire la redditività aziendale.
Le professioni cambiano: affermazione che appare talmente scontata da non spingerci a fissare punti di riflessione e dibattito, capaci di suggerire prospettive utili al miglioramento professionale. Professione CMO intende proporre tali prospettive, grazie a un dialogo tra docenti della Scuola e Chief Marketing Officer operanti in realtà aziendali diverse.
La presenza sui mercati internazionali di un marchio a forte caratterizzazione nazionale rappresenta sempre una grande sfida culturale. Il marketing aziendale deve tenerne conto, sia in ottica interna, di gestione di team, sia in chiave esterna, di relazione con i clienti. Nel secondo articolo della serie Professione CMO, ne abbiamo parlato con Davide Zanolini – Executive Vice President Marketing and Communication – Piaggio Group
Piaggio è senza dubbio una delle aziende italiane più iconiche, per la sua storia, i suoi prodotti, le sue marche. All’estero è uno dei simboli dell’Italian lifestyle. Quali sono le specificità del ruolo e delle competenze del CMO in un’azienda che è portatrice non solo di valori propri ma vuole rappresentare i valori di un intero Paese?
Il CMO di una azienda come Piaggio deve saper preservare e valorizzare la storia e i valori dei propri marchi proiettandoli nel futuro, con la consapevolezza di essere in molti casi portatore di immagine dell’intero paese. Questa è una grande responsabilità, che richiede allo stesso tempo molta sensibilità nella gestione dei brand, altrettanta passione nella ricerca storica e una profonda conoscenza degli ambiti in cui potersi muovere in futuro senza compromettere decenni di esperienze passate. Bisogna quindi conoscere il passato, studiarlo, interpretarlo, lasciarsi ispirare da esso, ma avere il coraggio di cambiare senza stravolgere. Il CMO diventa quindi il primo custode del passato e il principale motore dello sviluppo futuro. Deve combinare rigore storico con curiosità per il nuovo, tradizione ed innovazione, per non invecchiare schiavo degli allori che furono, ma allo stesso tempo non deve voler innovare ad ogni costo rischiando di perdere per strada la parte principale dell’eredità del passato. Il CMO, inoltre, deve fare in modo che quelli che sono degli stereotipi tipici dei marchi legati profondamente ad un paese di origine, non diventino l’unico riferimento, specialmente all’estero, perché ciò banalizzerebbe il brand. Essere icone dello stile di vita italiano significa essere capaci di reinterpretarlo in continuazione in chiave sempre contemporanea. La “dolce vita” rappresentata da Vespa non può essere solo quella di Vacanze romane. La “dolce vita” di oggi è un lifestyle che piace al mondo, fatto di eleganza, divertimento e libertà di espressione, che va ricercata in nuovi canoni e canali di comunicazione.
L’operatività sui mercati internazionali comporta il confronto con consumatori e consumatrici, distributori e concorrenti che sono caratterizzati da cultura a volte molto diverse da quella italiana. Come impatta questo necessario confronto inter-culturale sul ruolo e sul lavoro di un CMO?
Il confronto interculturale è fondamentale per il CMO che si misura su scala globale e da questo confronto devono nascere stimoli sempre nuovi. La grande sfida oggi è avere brand globali che parlino una sola lingua in tutto il mondo. Fare oggi una pagina unica globale di Instagram per un brand, gradita a tutti e con followers distribuiti ovunque, è, ad esempio, qualcosa a cui tanti aspirano ma in cui pochi riescono davvero. Ma la soluzione non è scendere a compromessi per rendere il messaggio “accettabile” da tutti. La sfida è sviluppare un messaggio che nasca fin dal suo concepimento come comprensibile e appealing per tutti. Significa quindi doversi confrontare di continuo con le culture locali per conoscerne le abitudini, i gusti e le principali restrizioni di carattere culturale o religioso, in modo da evitare di offendere la sensibilità delle diverse comunità. Significa avere profonda conoscenza dei prodotti locali e del modo con cui comunicano. Significa sapere interpretare la propria cultura per evidenziarne aspetti e valori universalmente recepibili anche in regioni diverse. Il “made in Italy”, ad esempio, oggi rappresenta indubbiamente un valore aggiunto. Ma non va imposto. Ogni mercato attribuisce al “made in Italy” un significato e di conseguenza un valore diverso. L’importante è fare sì che vengano ovunque percepiti gli aspetti differenzianti che lo rendono rilevante rispetto, ad esempio, ai prodotti locali. Per cui il CMO deve avere profondo rispetto delle culture locali e deve avere consapevolezza di cosa possa essere rilevante per loro.
Spesso, quando un’impresa impersona la cultura, il gusto e lo stile di vita di un Paese rischia di essere molto ego-riferita. Ma l'esposizione a Paesi e culture diverse può stimolare idee nuove sia relativamente ai prodotti sia ai processi, in particolare di comunicazione. In che modo il CMO può guidare questo continuo scambio e favorire l’assorbimento di stimoli diversi all’interno del team di marketing?
Il marketing in generale ha sempre avuto il ruolo di provare a portare all’interno di una azienda il punto di vista del mondo esterno, mediando spesso con la visione autoreferenziale dell’azienda stessa. In una situazione, come quella odierna, in cui il marketing non deve più convincere i clienti a comprare un determinato prodotto, ma deve interpretarne i bisogni per offrire un’esperienza che li soddisfi, questo ruolo diventa imprescindibile. Il CMO, quindi, deve essere il primo a calarsi nei panni della propria audience per trasmettere questi bisogni all’interno della azienda e deve fare in modo che tutto il team di marketing lo faccia. Lo deve fare favorendo la rotazione delle posizioni del team tra funzioni diverse e anche paesi diversi. Lo deve fare facendosi contaminare da altri settori di business o categorie merceologiche, senza avere timore di uscire dalla propria comfort zone. Lo deve fare con il confronto con altre aziende e realtà apparentemente anche molto distanti. La condivisione delle esperienze oggi è uno dei patrimoni fondamentali della cultura aziendale. Tanto più ricco è l’assortimento di queste esperienze, maggiori saranno gli stimoli. Servono quindi team transgenerazionali e internazionali, con anche estrazione di formazione e di esperienza non necessariamente sempre verticale e specialistica. La chiave del futuro, ciò che farà davvero la differenza nel marketing, sarà la creatività, specialmente nella comunicazione, nella scelta dei messaggi e dei canali attraverso cui veicolarli. E per definizione la creatività non ha età, non ha sesso e soprattutto non ha confini.