Degli argomenti del “folto gruppo di concorsisti”, mi colpisce la loro motivazione: “ci unisce la granitica volontà di tutelare il nostro diritto di partecipare a concorsi equi, trasparenti e non discriminatori”. Posto che nessuno vuole concorsi iniqui, opachi e discriminatori, mi piacerebbe che i “concorsisti” fossero animati non solo dalla tutela del loro privatissimo, per quanto legittimo, interesse, ma anche dall’interesse pubblico: la collettività ha diritto a vedere assumere come personale dell’Amministrazione Pubblica i candidati più adatti al ruolo, più capaci di raccoglierne la sfida, più motivati a fare dei nostri servizi pubblici un’occasione di rilancio, sviluppo economico, emancipazione sociale. Per il Paese. Non solo per vincitori ed idonei al concorso in questione. Oggi gli strumenti di selezione tradizionale reclutano soprattutto quelli con più tempo per mandare a memoria quintali di tomi. Risorsa, per altro, distribuita in maniera tutt’altro che equa tra funzionari impegnati in mansioni ad alta responsabilità e chi – invece – ha modo di studiare anche nell’orario di lavoro. Questo è iniquo, discriminatorio e pericoloso, perché aver studiato tanto non significa essere adatti al ruolo. Magari sì, ma del tutto casualmente. Invece, mai come di questi tempi abbiamo bisogno di persone visionarie, coraggiose, responsabili, innamorate dei loro servizi, capaci di buttare il cuore oltre l’ostacolo. E, per fortuna, grazie al lavoro che faccio ho il privilegio di conoscerne tanti di dirigenti e funzionari così, nonostante i sistemi con cui sono stati selezionati. Ecco, dobbiamo diventare più bravi a cercare e fare crescere proprio loro. A questo serve, ripensare i concorsi.
Canale Telegram #ValorePubblico: https://t.me/valorepubblico