#ValorePubblico

Come si prendono le decisioni pubbliche, anche in emergenza?

Breve guida per capire perché qualche volta chi decide ci sembra incerto o poco lucido (e per capire che non è necessariamente una cattiva notizia).

Chiudere o no le scuole? Chiudere o no gli esercizi commerciali? Dove? Per quanto tempo? l'Italia ha dovuto rispondere per prima in Europa a queste domande. E gli altri Paesi? Verosimilmente seguiranno allo stesso modo. Oppure no? Seguiranno anche le stesse tappe e, magari, gli stessi errori, incapaci di apprendere dall’esperienza degli altri? Oppure no?

Carol Weiss, sociologa di Harvard di un'altra generazione ed esperta di politiche pubbliche, quasi vent'anni fa in un convegno sull'evidence-based policy e i sistemi di indicatori disse una cosa che doveva suonare più o meno così: "Vi piacerebbe che le decisioni pubbliche venissero prese sulla base di ferree evidenze scientifiche e pertanto siete qui ad arrabattarvi ad affinare le metriche. Ma così non è. Né mai potrà essere." Una bella sberla. Poi continua e spiega - magistralmente, considerato che non parla solo a sociologi o scienziati sociali - come si prendono nei fatti le decisioni di politiche pubbliche. Le decisioni sono il frutto della composizione di quattro "i", che agiscono come quattro forze di verso sovente - ma non sempre - divergente. Il suo ragionamento è molto utile per meglio comprendere l'evoluzione delle politiche di contenimento e lotta al Covid19.

 

"Vi piacerebbe che le decisioni pubbliche venissero prese sulla base di ferree evidenze scientifiche e pertanto siete qui ad arrabattarvi ad affinare le metriche. Ma così non è."

Decisioni “razionali” basate sulle informazioni scientifiche

La prima i è quella di "informazione", intesa come insieme di dati neutrali e oggettivi sulla cui base fondare le decisioni di policy. Questa è la i cui chi fa il nostro mestiere nelle accademie è molto affezionato. Purtroppo, le informazioni non sono sempre disponibili, convergenti, affidabili, esaustive, neutre o fruite con competenza. Questo lo abbiamo toccato con mano tutti. Nelle scorse settimane abbiamo assistito a dei veri duelli tra medici che hanno usato gli argomenti della scienza per sostenere scelte opposte. Chi ha ragione? Chi è più scienziato dell'altro? D'altra parte, sia il Commissario Borrelli, sia il Presidente Conte non hanno mai rinunciato a ricordare che le loro decisioni erano suffragate dall'opinione dai tecnici dell'ISS. Lo stesso Boris Johnson, nel proporre la strategia che ad oggi appare più dissonante di tutte, ha affermato "We are guided by the science". Vedrebbe da chiedere: quale scienza?

Decisioni come negoziazione tra interessi divergenti

La seconda è la i di “interessi”: ci accorgiamo che sono in gioco quando lo spazio decisionale diventa un'arena di negoziazione tra attori diversi. Si pensi alle prime settimane di allarme Covid19: non sempre governo e regioni si sono trovati allineati subito (e così regione e comune, o tra regioni diverse). Stesso dicasi tra Palazzo Chigi e Ministero della Salute. E non tanto o soltanto per appartenenze politiche diverse, quanto piuttosto a causa di agende divergenti: talune più sensibili alle esigenze di uno specifico territorio, altre alle richieste del mondo produttivo, altre ancora interessate a difendere la capacità di risposta del sistema sanitario locale. Pertanto a ogni giro di DPCM si negozia, fino a notte fonda. Anche se ci sono i commissari straordinari. Anche in tempi di emergenza. Per fortuna.

Decisioni come allineamento ai vincoli del contesto

La terza i è quella di “istituzioni”, intese come sistemi di regole e meccanismi di funzionamento delle strutture incaricate di istruire e confezionare decisioni pubbliche. Nonostante lo stato di emergenza e l'attribuzione al commissario di turno di poteri speciali, nessuna decisione nasce nel vuoto. Ciascuna è figlia delle decisioni precedenti e di procedure codificate, anche in tempi di emergenza. Anche prese altrove: l'Italia ad esempio non può ignorare le indicazioni dell'OMS. Non lo ha fatto la Cina, difficilmente lo faranno gli altri Paesi d'Europa. Per questo, non sorprenderebbe se alla fine le strategie di gestione si dovessero assomigliare tutte. One best way? Non necessariamente, forse anche solo First good way. Stesso dicasi per le misure economiche da adottare per contenere gli impatti dell'emergenza: più facile pensare di estendere gli strumenti già in uso (reddito di cittadinanza e deficit spending), anche se meno efficaci, piuttosto che immaginare approcci davvero nuovi, potenzialmente più efficaci. Attenzione, quindi, a chi la spara grossa: potrebbe non avere torto, ma rimanere inascoltato.

Quale prezzo economico siamo disposti a pagare per aumentare le possibilità di bloccare il virus? Come distribuire i rischi e i costi? Secondo quale principio di equità? 

Decisioni basate sui valori

Infine, la i di “idee”. O ideologie, come più precisamente dice Weiss, intese come apparati di convinzioni, valori e assunti che influenzano le preferenze. Difficile dire quanto sia in gioco  questo aspetto, laddove il campo del dibattito sui valori si è fatto meno evidente. Resta sotto traccia, però, un dilemma drammatico: Quale prezzo economico siamo disposti a pagare per aumentare le possibilità di bloccare il virus? Come distribuire i rischi e i costi? Secondo quale principio di equità? Il dibattito globale è ancora aperto. E questo è il cuore delle democrazie liberali.

Questi quattro piani esistono distinti e ben separati solo nella mente degli studiosi di scienze sociali. Nella realtà sì confondono, si mescolano, mutano ed evolvono. Riconoscere le quattro i ci aiuta forse a essere più consapevoli di quali sono gli elementi in gioco e del perché alcuni tentennamenti, passi falsi o cambio di vedute. Forse ci fa anche scoprire che l'uomo forte solo al comando, fosse anche il massimo esperto mondiale di Covid19, non è poi così una buona idea: anche i processi di policy making hanno un loro fisiologico decorso.

Forse ci fa anche scoprire che l'uomo forte solo al comando, fosse anche il massimo esperto mondiale di Covid19, non è poi così una buona idea: anche i processi di policy making hanno un loro fisiologico decorso. Anche in tempi di emergenza. 

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