Branded World

La fascinazione del fatto a mano (Prima puntata)

Tech o Touch?

Sembrerebbe anacronistico nell’era dell’automazione, dell’intelligenza “artificiale” (IA o AI che dir si voglia!), del ChatGPT & C. che si ragioni - ancora – sul “fatto a mano”. Naturalmente è una provocazione soprattutto perché non è possibile mettere a confronto le due alternative, la seconda si alimenta della prima e poi…la seconda, oggigiorno, serve quanto mai alla prima! Inoltre, in questo periodo, ovunque, le copiose informazioni – rigorose o meno scientifiche, facili o complesse, brevi o approfondite, oggettive o parziali - sembrerebbero accentrarsi in modo prominente verso la seconda alternativa, motivo per cui ci dedichiamo alla primaJ, non dimenticandoci della seconda, anzi…

 

Non entro in linguistica o semantica connessa all’espressione del fatto a mano; certo è che non intendo solo riferirmi a un manufatto, un prodotto che, proprio in quanto tale, per la “semplice” traccia di un creatore umano migliora le valutazioni delle persone sul valore di un oggetto, anche di uso quotidiano (Veronika Job et al., 2017), essendo in grado di farsi percepire come “unico, raro ed esclusivo”. Ben sappiamo che per branding e premiumization (e…settore del lusso), ormai da tempo, queste ultime sono parole d’ordine, divenute quasi regole incontrovertibili!

 

Ciò che preme sottolineare è l’innato bisogno di umanizzazione, di interazione umana che tutte le persone possiedono e che rappresentano dei “superpoteri” degli esseri umani (Waytz, 2019). Secondo l’autore, più di ogni altro stimolo psicologico, la presenza umana può far sentire le esperienze significative, ispirare comportamenti morali e incoraggiare l'azione, grazie al valore cruciale assunto dall'autentica presenza umana versus la “disumanizzazione” (anche) connessa all’accesso, crescente e senza precedenti, fornito e consentito dalla tecnologia. Quest’ultima sviluppa, paradossalmente, indipendenza verso e tra gli esseri umani, “liberando”, in un certo qual modo, dall'impegnarsi e prendersi cura degli altri con lo human touch, divenuto (in realtà, da sempre!) indispensabile dentro e fuori delle aziende!

Partirei dall’interno!

Prima evidenza

Anni or sono, per l’intero decennio degli anni ’90, ho avuto il piacere di studiare e sviluppare casi e ricerche per Industrie Natuzzi - fondata da Pasquale Natuzzi - una delle principali aziende italiane del comparto dell’arredamento (benché da sempre auto-giudicatasi impresa di piccole-medie dimensioni, tanto che persino una delle figlie di Pasquale l’ho rincontrata in una delle nostre aule SDA, durante un corso dedicato alle PMI!), con headquarter nel Sud, esattamente a Santeramo in Colle, in Puglia. Tra le prime cinque aziende italiane a quotarsi a Wall Street ha evidenziato una significativa crescita nel numero dei dipendenti, del fatturato, di presenza e market share in numerosi mercati esteri - tra cui quello nord-americano in cui si attestava con una considerevole quota di mercato (circa il 30%!) – nonché la scelta, tra le prime nel settore, a indirizzare gli investimenti in automazione della produzione, per un comparto da sempre considerato labour-intensive. Ricordo che tra le tante “logiche gestionali” che mi avevano colpito, durante le visite svolte presso la loro sede, fu proprio che non esistevano operai ma i così denominati falegnami, sarte, designer, intagliatori e così via. Anche in presenza di una forte automazione, lo human touch persisteva e veniva esaltato di continuo, anche attraverso la denominazione stessa dei ruoli. Inoltre, durante una delle feste natalizie, rivolte a tutto il personale in azienda - tanto da doversi svolgere presso il palazzetto dello sport locale (!!) - venivano premiate non solo le persone con la presenza più longeva all’interno dell’impresa, ma anche coloro che tra falegnami, sarte, designer, etc. avessero maturato esperienza e abilità particolari nello svolgere il loro lavoro, nobilitando così qualsiasi attività che altrimenti sarebbe stata routinaria e, proprio in quanto tale, con scarsa incidenza sull’operato e sulla vita degli altri in azienda!

 

Del resto, la ri-umanizzazione e la capacità di trarre vantaggio da queste abilità uniche nel migliorare la vita delle persone dovrebbe cominciare dal lavoro umano. Pertanto, compito dei datori di lavoro è di instillare l'umanità nel lavoro, capitalizzando abilità distintamente umane, ricche e da arricchire in termini di socialità e variabilità.

Passiamo al “raccordo” interno-esterno, ma soprattutto tech & touch!

Seconda evidenza

Nel tentativo di coniugare tech e touch ritengo interessante citare - a seguito dell’opportunità di realizzare la prefazione del libro User Experience Research (Febbraio 2023) di Francesca Bonazza (mia laureata, di alcuni anni fa) e Matteo Tibolla, entrambi professional e Customer e UX Researchers “dedicati al digitale” – l’esempio di un caso di branding, all’interno del testo recentemente pubblicato. Quest’ultimo, manuale pratico e con un approccio di natura divulgativa, così come riportato nello stesso titolo, si concentra su metodi e tecniche per realizzare UX Research volte a testare siti, app, e-commerce, portali e così via, focalizzandosi su individui, human (!), persone, user, utenti in target, osservandone i relativi comportamenti al fine di comprendere e validare le scelte manageriali circa flussi di navigazione, elementi visivi, testuali e, quindi, per quanto interessa a Branded World, collegate a elementi distintivi o valori percepibili online e dalle persone come relativi ai brand.

 

In uno dei capitoli conclusivi viene citato proprio un caso relativo al metodo adottato per la UX Research, fortemente incentrato sui valori della marca. Si tratta di un caso insolito poiché, spesso, quando ci si riferisce alla usability di un e-commerce, si analizza il percorso che porta alla scheda prodotto e da questa al carrello, fino alla conversione finale.

 

L’approccio della ricerca parte, invece, dai pillar/valori del brand e verifica quanto essi vengano recepiti e assorbiti nel corso della navigazione sull’e-commerce dalle persone (gli user) e quanto essi concorrano effettivamente all’acquisto dei prodotti sull’e-commerce. In questo caso, prima di tutto si è compreso se e quanto la persona fosse interessata ad un eventuale acquisto - appena “atterrata sull’home page” – e avesse chiari i valori aziendali (Li ha notati? Li ha compresi? Sono credibili? Li condivide?); in secondo luogo, si sono cercati di validare quanto effettivamente tali elementi potessero diventare dei driver di acquisto, ovvero aumentare la propensione all’acquisto e garantire la conversione finale. Il monitoraggio, realizzato in due step, è stato quindi utile per comprendere la “forza” dell’impatto dei valori (livello di attenzione e visibilità, credibilità) sia ad un primo sguardo/atterraggio (cioè dopo una breve e libera navigazione di massimo 1 minuto) sia a seguito di una navigazione prolungata, incorrendo nelle diverse pagine, tra cui quelle di prodotto. Il sistema di monitoraggio ha previsto una serie di domande che attraverso scala Likert da 1 a 7 (1 corrispondeva a “per nulla d’accordo” e 7 ad “assolutamente d’accordo”) indagavano quanto le persone fossero d’accordo con gli elementi-chiave di marca e/o ritenuti distintivi per quest’ultima. Dall’analisi e dal confronto delle percezioni da prima navigazione (un minuto) e da intera esperienza di navigazione (30-40 minuti) si sono osservate differenze sostanziali, cui si sono aggiunti l’analisi dei comportamenti esperienziali e “generalizzati” sviluppati durante la visita all’e-commerce.

 

Alcuni asset di marca non erano immediatamente e facilmente individuabili dopo un minuto di navigazione, ma lo divengono dopo aver approfondito nel dettaglio sito, e-commerce e schede prodotto; tra questi interessante proprio il “fatto a mano” (fatto, svolto, realizzato da persone che: “si prendono cura”, curano direttamente ogni passo produttivo e commerciale, rispettano gli user e interagiscono umanamente con i propri consumatori) a cui, solo a seguito di una effettiva e prolungata navigazione dell’e-commerce - atterraggio sulle schede di prodotto, la visione dell’offerta di marca e dei codici da questa impiegati sempre e ovunque, nonché delle interazioni umane  - le persone riescono a comprenderne il valore e ad attribuire maggiore importanza rispetto a ciò che viene definito artigianale.

 

Il fatto a mano è divenuto “il” fattore di credibilità su cui agire nel corso dell’intera navigazione – breve o prolungata - posizionando elementi visivi e testuali, nonché interazioni che comunicassero e valorizzassero il valore insito nell’umanizzazione dell’offerta, diventando valore aggiunto distintivo e driver di acquisto.

E il fatto a mano anche nel tech capeggia

Alla seconda puntata!

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