Branded World

Anti-fragilità per il brand

Diverse le discipline che si sono occupate della fragilità: dalla psicologia al comportamento organizzativo, dall’ingegneria all’architettura, dal risk management e la finanza al management, in generale, dal marketing al branding. Una piccola evidenza!

 

Fragilità? “La forza della fragilità. Il coraggio di sbagliare e rinascere più forti di prima” (Brown, 2015). Brené Brown autrice del libro, focalizzandosi sul significato che la fragilità ha per le persone, ha raccolto e analizzato le testimonianze di importanti manager, artisti, professori e famiglie che hanno saputo superare un fallimento o una grave delusione, riuscendo a trovare l'equilibrio nonostante una battaglia durissima.

 

Anti-fragilità? “Fragile” non ha un suo contrario, è quanto afferma Taleb (già autore del “Cigno nero”, un best seller interna­zionale inserito dal Sunday Times tra i libri che hanno cambiato il mondo!) nel suo “Antifragile. Prosperare nel disordine” (Taleb, 2012). Il libro fornisce indicazioni sul come prosperare in un mondo caratterizzato da complessità, incertezza e, più in generale, da disordine.

 

Anti-fragilità per il brand? In un recente articolo accademico “A Framework of Brand Contestation: Toward Brand Antifragility” (Dietrich, Russel, 2021), i due autori partono dal presupposto che proprio nelle contestazioni nei confronti dei brand si possono realizzare comportamenti, attività ed azioni per l’anti-fragilità di marca.

 

Con riferimento agli studi e ai testi dianzi evidenziati, seppur realizzati in tempi diversi con contenuti e contesti applicativi molto differenti tra loro: le persone, l’economia e i “sistemi” sottostanti e il brand, possiedono un unico focus: la fragilità e le modalità per superarla e per essere anti-fragili.

La forza della fragilità

Vagavo in libreria per scegliere il regalo per Natale da donare ad una cara amica e, come per incanto, mi sono ritrovata davanti al libro di Brené Brown. Sinceramente non sapevo neanche chi fosse ma la copertina del libro mi ha subito attratta; “la copertina di un libro è un piccolo manifesto e ha lo scopo di comunicare all’osservatore che, in quel libro, c’è qualcosa d’interessante per lui. Tutte le copertine di tutti i libri dovrebbero avere questo scopo, e non solo questo, ma anche quello di distinguersi in mezzo a tutte le copertine di libri allineati nella stessa vetrina e in qualunque altra vetrina” (Bruno Munari, Millelibri n. 1, 1987). E, in particolare mi ha attratta la parola fragilità.

Letto e divorato, oggi è esposto nella mia libreria e costituisce un punto di riferimento, cui rifarmi in caso di necessità! Perché ne ho acquisto ben quattro copie: una per me e le altre per tre care amiche.

 

Ne ho tratto il messaggio chiave che l’autrice ha inteso trasferire con i suoi dodici anni di studi: la fragilità non è sinonimo di debolezza. Anzi, è dalla vulnerabilità che scaturiscono l'innovazione e il cambiamento. Usare il fallimento e le proprie debolezze può consentire di raggiungere il successo, perché chi impara a venire a patti con la propria vulnerabilità può ripartire meglio di prima. Esaminando il comportamento di uomini e donne che hanno saputo superare un fallimento o una grave delusione, la Brown ha visto che nel risalire meglio e in fretta “la china della vulnerabilità”, essendo curiosi, richiede un metodo, da lei elaborato sia per acquisire consapevolezza sia per guidare il processo di crescita personale: Riconoscere, Riflettere, Rivoluzionare.

Antifragile. Prosperare nel disordine

Mi affascinava il concetto di fragilità e mi sono imbattuta nell’antifragilità, scoprendo una ricca letteratura sull’argomento che ha in Taleb il “conio” del termine e della rilevanza ad essa attribuita. Considerata “chiave di tutto”, soprattutto considerando incertezze, shock, mutevolezza, casualità, disordine e fattori di stress che prosperano, crescono e determinano impatti significativi nei “sistemi” di riferimento di cui si fa parte: dalla propria persona con la propria vita e il proprio “sistema di pensiero”, al più ampio sistema famigliare, sociale, ambientale o economico. La distinzione tra fragilità (intesa come la facilità a rompersi per la scarsa o manchevole resistenza ai traumi causati dal sistema e del sistema stesso), robustezza (quale capacità di resistere bene, senza deformazioni e rotture, alle diverse e mutevoli sollecitazioni provenienti dall’interno e dall’esterno del sistema di riferimento)  e resilienza (quale capacità di un sistema di tornare alla sua dimensione originaria, dopo uno stato di crisi, un cambiamento, un qualche tipo di scossone) porta all’interessante concetto di anti-fragilità quale capacità di apprendere dagli stati di crisi, per crescere.  Infatti, secondo l’autore, l’incertezza non è solo una fonte di pericoli da cui difendersi; anzi, si può trarre vantaggio da quest’ultima, dalla volatilità e dal disordine, persino dagli errori, ed essere e divenire quindi antifragili.

 

La nozione di antifragilità è stata applicata in numerosi ambiti: alla fisica, alla psicologia, all'ingegneria, all'aerospazio (NASA) e all'informatica, e Stando all’ampia casistica esposta nel libro dall’autore, fragile è quando qualcosa si rompe, si molla o si lascia andare; resiliente è quando si fronteggiano le difficoltà e le sfide e si salta fuori, tornando al punto da cui era partiti; antifragile significa superare le sfide, diventando più forti di prima.

Antifragile è un termine nuovo quando collegato al brand, ma forse non così "nuovo" nel branding e nelle strategie di marca.

Brand, brand management e contestazione

Sia attraverso la lente del consumo che tramite quella di branding, o più ampia di marketing, si è abbandonato il tradizionale concetto di brand monolite, inamovibile e determinato e controllato esclusivamente dai brand manager, il brand ha evidenziato nel tempo un ruolo estremamente dinamico all’interno di una complessa rete di attori, di un sistema particolarmente complesso e in costante mutamento.

 

In presenza di mercati sempre più interconnessi, dinamici, digitali, volatili e altro ancora, è sovente riferirsi al brand quale “open source” o sistemi sempre più aperti, al cui interno i brand manager divengono moderatori o ambasciatori di marca, facendo le veci all’interno dell’azienda di chi consuma il brand.

 

Parallelamente la maggiore “apertura” verso i consumatori, il riconosciuto potere dei consumatori e lo spostamento verso questi ultimi, hanno accresciuto la contestazione ed anche le modalità attraverso cui esprimere la contestazione. Ed esiste una profonda consapevolezza che i consumatori siano sempre più capaci di appropriarsi, modellare e influenzare i significati di marca con la connessa varietà di contestazioni. Il risultato è che sui mercati i brand sono costantemente contestati e la contestazione verso di essi è ormai inevitabile.

 

La “perdita di controllo” - da parte del brand e dei brand manager - potrebbe indurre a considerarla una fragilità connessa e determinante per la paura di perdere e depauperare la brand equity e/o soccombere alle pratiche di contestazione.

Verso l’anti-fragilità per il brand

Ma la contestazione può rafforzare un brand proprio perché l'antifragilità quale “proprietà” della marca collocata nel sistema (sociale, economico, d’impresa, di consumo, etc.) e con diversi e numerosi attori-interlocutori che la consumano, può essere in grado di prosperare a fronte di fattori di stress, shock, volatilità, rumore, errori, guasti, attacchi etc; in altri termini la prospettiva adottata è connessa al fatto che la contestazione può generare risultati benefici.

 

La ricerca realizzata da Dietrich e Russel - pubblicata nel 2021 e realizzata a cavallo di due anni (2019-2020) - è stata finalizzata a comprendere se le dinamiche di contestazione di marca possano “antifragilizzare” un brand, in altre parole, se e quando la contestazione può in definitiva contribuire alla sua antifragilità.

 

Ad un approfondito studio della letteratura - su branding e consumatore - rilevante e inerente all’oggetto di studio: il brand contestato (cinque le principali categorie e gli ambiti: i brand come marcatori identitari, cultura e sub-cultura di marca, le manifestazioni di contestazione verso la marca, le conseguenze della contestazione e le modalità gestionali della contestazione da parte del brand), si è accompagnata una pre-analisi integrativa attraverso una ricerca esplorativa (25 interviste in profondità  e 6 focus group) riguardo alle esperienze dei consumatori nella contestazione di marca.

 

Una approfondita analisi desk ha permesso di concentrare l’analisi su trenta casi storici di brand contestati; l’intento è stato di comprendere sia la dinamica sia l'entità della contestazione nonché se lo slancio alla mobilitazione “contro la marca” avesse influenzato la portata e l'evoluzione delle contestazioni nei suoi confronti.

 

Infine, 31 interviste semi-strutturate rivolte a manager e top manager di marketing e branding di 28 brand - di cui alcuni analizzati nell’analisi desk (ad es. Adidas, Hermès), di 25 settori (es. banche, telecomunicazioni, servizi online, logistica, moda e lusso) – hanno consentito di approfondire l’esistenza di una “prospettiva emergente” secondo la quale i brand manager possano utilizzare l'energia generata dalla contestazione dei consumatori per lo sviluppo dell'antifragilità, e rendere il brand più forte e in grado di crescere e prosperare a causa e in seguito alla contestazione.

 

I risultati mostrano dunque che la contestazione può essere preziosa per i brand; nel complesso, abbracciare i brand contestati, conoscendo pratiche di contestazione e approcci manageriali impiegati può rendere i brand “antifragili”. La contestazione, di fatto, va interpretata come “segnale della vitalità” del brand (e non “rottura di scatole” o scusa per uscire dal mercato!!)  e, ancora, può servire per accrescere la conoscenza del mercato, l’avvicinamento e la necessaria e profonda comprensione di quanto sia importante avere una “guida” verso pratiche manageriali all’interno di mercati sempre più dinamici.

 

Affrontare la contestazione e lo sviluppo di brand antifragili richiede però un “tocco umano” che non può essere automatizzato o appreso dalla macchina, confermando che l'"umanizzazione del conflitto" è essenziale per le questioni di contestazione. Ecco perchè, se ci si allena e si comprende come farlo, la “giusta” pratica (umana!) può mettere o rimettere in gioco, non avendo paura di cadere o ricadere ma trovando la forza di ricominciare, più forti di prima.

Come affermava un noto filosofo: "…quello che non mi uccide, mi fortifica" e questo vale per i brand per essere antifragili e sempre più forti.

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