Branded World

Brand Creativi

Seconda puntata del nuovo anno

Dedicata ai Brand Creativi

Come anticipato nel pezzo precedente di Branded World 2021, un altro tema ritengo vada affrontato per iniziare l’anno e perseguire l’intento del “charging-up”: la creatività. Quest’ultimo, oltre ad essere un tema rilevante – spesso abusato o, al contrario, scarsamente considerato o confusamente allontanato - è a mio avviso un argomento strettamente collegato al coraggio e, al contempo, legato al Brand.

 

Mi spiego meglio, sia il coraggio sia la creatività vengono spesso definiti come virtù e, in quanto tali, ritengo possano, anzi debbano, applicarsi al brand. La creatività qui è intesa non come “talento-geniale” del singolo, ma considerandone il significato assunto per i brand, avendone a cuore l’accresciuta e la necessaria abilità relazionale e “co-co-co-co” (co-evolutiva, co-llaborativa, co-nnettiva e co-ntenutistica).

Perché proprio “brand creativi”?

Gabriele Troilo, collega e professore di marketing della nostra Scuola, nel 2014 ha sentito l’esigenza di dedicarsi al “Marketing nei settori creativi”, riconoscendo come il principale obiettivo di marketing – a cui aggiungerei di branding -  è di trasformare la creatività dei “produttori creativi” in un’esperienza per i consumatori (con ciò, già recuperando almeno tutti i co-co-co-co!), in modo tale che essa abbia valore per questi ultimi, dischiudendo – certamente non casualmente – lo stesso libro con le necessarie definizione, caratterizzazione e rilevanza economica dei settori creativi, sia nel nostro paese sia nel mondo. In realtà, se come facilmente si potrebbe immaginare, per i cosiddetti settori connessi a arte, comunicazione, media, design, moda, architettura, intrattenimento e servizi per il tempo libero, è inevitabile imbattersi e ragionare su concetti e approcci alla e di creatività, la magnitudo e l’amplitudo (attuale e potenziale) di quest’ultima ci induce a non poterla e volerla circoscrivere esclusivamente a tali settori creativi, al contrario di doverla impiegare in modo più puntuale all’interno dei più diversi ambiti applicativi. Del resto chi tra noi è genitore, o a costante contatto con i giovani, sa bene di come la parola “creatività” sia andata via via assumendo un ruolo sempre più pregnante nella nostra vita e dei nostri giovani; dopo anni in cui è stata considerata una capacità irrilevante, essa è divenuta una qualità altamente desiderabile. Inoltre, sebbene talvolta fortemente inflazionata, la creatività ha trovato una giusta collocazione nella finanza (creativa), in impresa (creativa), nella leadership (creativa), all’interno delle scelte (creative), nelle scuole (creative),  al pensiero (creativo), e così via. Sono tutte espressioni che evidenziano sia rilevanza e interesse per l’approccio sia l’esigenza di “applicare” la creatività a qualcosa. 

Quindi, perché non al brand, per cui la creatività è innata?

Essere brand creativi?

Non è semplice fornire una definizione sintetica e non riduttiva di creatività, se intesa come virtù creativa, capacità di creare con intelletto e fantasia, se ne colgono alcuni elementi fondanti: la disposizione d’animo o predisposizione (intesa in senso positivo), l’abilità e l’attitudine sia di natura intellettuale sia più immaginifica; come dire che essa è uno stile di pensiero che si esprime in processi mentali caratteristici (attitudini) che inducono a comportamenti altrettanto caratteristici (atteggiamenti comportamentali). Pertanto, la capacità di essere creativi o di esprimere e produrre il pensiero creativo e la creatività può essere una “meta-competenza” (concetto interessante, che ho tratto dal blog Nuovo e Utile di Annamaria Testa, di cui sono lettrice e che ringrazio), che ci riporta a quanto evidenziato poc’anzi, cioè un’abilità trasversale applicabile a campi diversissimi (arti, scienze, tecnologia, impresa…) e non solo creative-based, come si potrebbe erroneamente pensare, ma creative-intensive e pertanto da applicare al brand.

 

In psicologia, il termine viene a indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, capacità di sintesi e di analisi, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze. Come dire che la creatività consente di sviluppare e mettere a frutto una quantità di capacità specifiche volte a conquistare ulteriore conoscenza, produrre e praticare attività sempre più ampie e complesse, proprio perché le associazioni tra idee, concetti e fatti, possono essere origine di ulteriori idee e nuovi concetti in grado di giungere e portare, poi, a risultati  originali ed efficaci. Si potrebbe, quindi, obiettare che tutto ciò vada all’interno del “grande cappello” dell’innovazione. A mio avviso il confine tra innovazione - così come oggi intesa e divulgata - e creatività è molto labile; per i brand creativi, il riferimento più immediato e all’ “innovazione incrementale”, intesa come “prendere a prestito”, migliorare e rendere fruibile (e creativo!) tutto ciò che serve dai diversi mondi che ci circondano, utilizzando lenti d’ingrandimento, palestre, metodi, processi personali o di natura organizzativa (e di processo) diversi, con cui allenarsi con la predisposizione all’allenamento.

Quindi, mi trova pienamente concorde una frase attribuita a Picasso (o al poeta Eliot?), e spesso menzionata da Steve Jobs, che cita: “i buoni artisti copiano, i grandi artisti rubano” e, un’altra autenticamente espressa più di recente da Quentin Tarantino, di cui è inconfutabile l’impatto sul mondo del cinema, che cita: “I steal from every single movie ever made” (intervista al famoso regista su Empire Magazine).

Come fare ad essere brand creativi?

Due libri sono molto utili per approfondire il tema della creatività applicata anche ai brand

  • Creativity: The Psychology of Discovery and Invention - del 1996, con ri-stampa nel 2013, di Mihali Csíkszentmihályi, uno dei padri fondatori della psicologia positiva, ungherese di nascita e statunitense di adozione (professore presso la Chicago University) e noto per i suoi studi sulla felicità e per aver introdotto e affermato il concetto di flusso (flow) applicato ormai da anni nell’ambito dell’esperienza e degli studi sul consumo esperienziale.
  • Creative confidence: Unleashing the creative potential within us all (2013), scritto dai due fratelli Kelley: Tom e David, rispettivamente partner e fondatore di IDEO - una delle più note società specializzate in innovazione e design - nonché della d.school di Stanford, la cui home page riporta: “We belive everyone has the capacity to be creative….”

 

Quanto dianzi illustrato e questi due testi sostanziano come la creatività riguardi tutti i tipi di innovazione immaginativa, non solo per capolavori artistici o geniali ma come espressione in un ampio numero di applicazioni e utile per creare qualcosa di nuovo, unico, distintivo, come il brand. L’essere creativo non più solo per gli artisti; la creatività, in quanto not-just-inside - diversamente dall’idea che nasca quasi “magicamente” nell'intimo di una persona, e lì rimanga - va considerata come una capacità che si accresce e si alimenta nel gruppo, potenzialmente applicabile da tutti  attraverso il design thinking (tecnica spesso usata con i cosiddetti "non creativi", aiutandoli a creare nuove soluzioni emulando i professionisti del design) o con un processo strutturato, con effetti amplificativi sul flusso creativo, affrontando la paura del fallimento e cercando di sviluppare azioni immediate.

Il segreto?

Trarre ispirazione dalla vita, lavorare in uno stato di "flusso" con altre persone all’interno di un sistema in cui esperienze, contesto e ambito/area specifica all’interno di quest’ultimo divengano le continue fonti di creatività. Insomma, tutto ciò che si deve fare per i brand affinché siano creativi e vivano all’interno dei mercati.

Rifacendomi a Godard, potremmo affermare che: “l’arte nasce dall’arte: il punto non è dove prendi le cose, ma dove le porti”.

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