Branded World

Brand Coraggiosi

Brand Coraggiosi

Buon Anno, Bentrovati e, riprendiamo…con coraggio.

Non volevo aprire con previsioni sull’anno sopraggiunto, che trovo molto difficile – se non impossibile – affrontare, non avendo la palla di cristallo, o con argomenti troppo compassionevoli, che vorrei evitare visto l’intento di essere più “charging-up”, come si conviene pensando al Brand.

 

Come tutti voi, ho letto, visto, ascoltato tanto in questo periodo squisitamente familiare, osservando il mondo e preparandomi al nuovo anno. Quindi eccoci qui con i due i temi con cui vorrei aprire questo Branded World del 2021: coraggio e creatività, per me strettamente collegati.

 

Al primo è dedicato il pezzo di oggi, con il nostro usuale orientamento al brand.

 

Perché brand coraggiosi?

Era tanto che pensavo al tema del coraggio, o meglio del brand bravery, che mi è tornato prepotentemente in mente, proprio sul cadere del 2020! Infatti, il 31 dicembre ho molto apprezzato «Adesso tocca a me»: dialogo tra il 2020 e il 2021, che inserisco di seguito per chi lo avesse perso https://www.corriere.it/cronache/20_dicembre_31/adesso-tocca-me-dialogo-il-2020-2021-783ee45a-4a69-11eb-bb9d-71fd23fa6a98.shtml, di Massimo Gramellini che, con la solita maestrìa, ha descritto un immaginario colloquio tra anno vecchio ed anno nuovo, facendo espressamente riferimento al coraggio, anzi “incoraggiandolo”. E, per dirla alla André Gide – scrittore francese e premio Nobel alla letteratura (1947) - «Non si scoprono nuove terre, se non si ha il coraggio di perdere di vista per molto tempo la riva». Sì, forse un po’ eccessivo, ma estremizzando rende l’idea.

 

Se da un lato, per ciò che concerne le persone, non è affatto inusuale che si ragioni sul coraggio immediatamente associandolo a ciò che viene osservato, riscontrato, cristallizzato o descritto come forza d’animo, spirito di sopportazione, altruismo, eroismo ecc. elementi, questi ultimi, attinenti ai tratti della personalità, al temperamento, nonché a comportamenti e relazioni verso gli altri; dall’altro lato, oggigiorno, in misura crescente, è ricorrente richiedere anche alle marche di intraprendere “azioni coraggiose” (ad esempio, assumere posizioni su questioni spinose e controverse (Sobande, 2020) come Black Live Matters e, più in generale, la diversity, ma anche, rispondere alle mutevoli esigenze di mercato connesse alla richiesta crescente di prodotti o servizi , prendendo a titolo esemplificativo, i vaccini o le procedure di vaccinazione), non per mostrare i muscoli ma come espressione di una aspetto identitario unico, sotteso dai suoi valori fondanti e connesso alla continua resilienza richiesta da pressioni economiche, politiche e sociali.

Sinceramente è da tempo che si parla di Brand Bravery o Brand Coraggiosi, alcune volte definiti come disruptive o un-conventional perché, come al solito, dipende dalle “angolature di osservazione”.

Come fare ad essere brand bravery?

Nel 2018, Kempt-Robertson e Barth pubblicano un libro frutto del loro lavoro attraverso Contagious, tradotto e lanciato in Italia nel 2019, dal titolo: “Brand Bravery. I dieci comandamenti del coraggio”. Nel testo (2018: p. 258), gli autori suggeriscono ai brand di “correre rischi, sfidare le convenzioni e distinguersi dalla massa” intercettando il futuro e non solo fluttuando in esso.

Il testo accompagna quindi attraverso dieci comandamenti, con esempi e applicazioni, giungendo all’ultimo tra essi, per me è il cuore, che incita con: “Sii coraggioso”. Perché “il coraggio è contagioso e rende più forti brand e persone che li sostengono”. 

E potremmo dire, che ce n’è tanto bisogno!

Accanto a tale testo, altri articoli, più recenti o in corso di pubblicazione su Journal of Product & Brand Management e European Journal of Marketing hanno affrontato il tema, partendo da considerazioni secondo cui il coraggio è una virtù basilare e, in quanto tale, va tenuta, manutenuta, ed è da curare e allenare, avendo però a mente che, come per le persone, non tutte le marche sono coraggiose. Per esser tali o risultare coraggiosi, i brand  devono essere in grado di agire sul valore percepito in termini di: altruismo, audacia, determinazione, tenacia, durata, impavidità e grinta (Jain et al. , 2020).

 

In una ricerca accademica, condotta sul mercato indiano, tra i brand bravery più citati si è riscontrato:

  • Nike, il cui slogan, divenuto ormai iconico: “Believe in something. Even if it means sacrificing everything” - ripreso dal tweet dello stesso testimonial principale della campagna: Colin Kaepernick - è stato strenuamente difeso dal management, e mai rimosso, nonostante le proteste sortite;
  • Procter & Gamble, con la campagna “The talk”, vincitrice a Cannes, in cui si racconta come i genitori di colore discutano dei pregiudizi razziali con i loro figli. Essa è stata dichiarata inspiring e ha rappresentato per la multinazionale una decisione coraggiosa, fermamente portata avanti dal management aziendale.  

 

Considerando quindi le caratterizzazioni della virtù rappresentata dal coraggio - benché in psicologiala la definizione sia molto frammentata e tale approccio sia scarsamente presente con riferimento al brand e al branding – appare evidente come solo quando i consumatori sono in grado di percepire se il brand accetta le sfide (duraturo), pensa al bene superiore (altruista), si attiene ai suoi valori fondanti e fondamentali (determinato), sfida le norme esistenti (audace) e non ha paura ad assumersi i suoi rischi (senza paura), potranno affermare la bravery del brand.

 

Da ultimo, occorre affermare che per poter trasferire coraggio non solo bisogna possederlo e, quindi, essere coraggiosi, ma essere anche capaci di stabilire e prestar fede agli obiettivi di lungo termine, avendo (o fornendo ai team) al contempo sufficiente agilità di movimento.

Collegamenti con l'attuale situazione sarebbero inutili e ridondanti...

Eccoci al nuovo anno per Brand Coraggiosi.

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