Basta parole, accendiamo l’innovazione nel welfare italiano

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di Elisabetta Notarnicola e Andrea Rotolo

Il sistema di welfare pubblico e privato è scosso da alcuni cambiamenti che inducono una pressante necessità di innovazione: prevalgono nuclei familiari e relazionali più complessi e frammentati con un necessario ripensamento del ruolo dei singoli nel welfare; si acuisce il fenomeno dell’invecchiamento; è più forte l’incidenza delle nuove povertà (anche lavorative); si alternano cicli di nuove emergenze (per esempio neet e rifugiati e richiedenti asilo). Chi si occupa di servizi alla persona nel settore pubblico si confronta quotidianamente con la necessità impellente di innovare, richiamata da ogni parte ma spesso lasciata senza indicazioni sul come e perché farlo.

Il dibattito collettivo si è spostato poi negli ultimi anni sul concetto di social innovation intesa come «la creazione di soluzioni in grado di rispondere a un interesse sociale con nuove o migliorate capacità e relazioni oltre che uso del patrimonio e delle risorse (Caulier-Grice et al., 2012)». Non è una missione semplice, soprattutto considerando che questo mantra è spesso collegato alla scarsità delle risorse pubbliche e alla necessità di inventarsi soluzioni dalle ambizioni miracolose. Per orientarsi all’innovazione è quindi necessario chiarire alcune ambiguità di cui si è occupato l’Osservatorio Ocap (White paper n. 2/2019) con l’analisi di otto esperienze. Primo tema: il welfare italiano è ancora basato su prestazioni autoreferenziali e ha difficoltà a orientarsi verso servizi flessibili e personalizzati come il paradigma di social innovation richiede. Secondo: si privilegiano spesso logiche di cambiamento incrementale in coerenza con il passato, mentre la social innovation spinge a guardare a nuovi elementi in grado di modificare profondamente il valore prodotto per gli utenti. Terzo: se si vuole produrre un impatto trasformativo, bisogna orientarsi verso modelli sostenibili nel medio periodo che riattivano le risorse pubbliche anche in connessione con quelle private o intermediate. Attualmente le innovazioni esistenti abbracciano invece una visione di breve e si appoggiano ad una logica di raccolta fondi e finanziamenti esterni.

Per fare un esempio concreto, all’interno di questa narrativa in cui la parola innovazione è ricorrente ma sovente vuota di contenuti, una declinazione tipica è quella dell’innovazione digitale, interpretata spesso come panacea di tutti i mali. È indubbio che la rivoluzione digitale stia profondamente cambiando il modo di vivere, lavorare, gestire le aziende e, in molti casi, abbia determinato la trasformazione di intere industrie. Tra i settori che hanno visto i maggiori impatti non figura però al momento quello dei servizi alla persona. La ricerca Innovazione digitale nei servizi di welfare (White paper Ocap n. 1/2019) ha messo in evidenza un panorama ancora lontano dalla rivoluzione che la tecnologia è in grado di portare.

Una survey condotta in oltre 400 strutture residenziali per anziani ha rilevato che meno della metà di esse ha introdotto qualche tipo di innovazione digitale. Quelle che lo hanno fatto, hanno principalmente introdotto in via sperimentale app e dispositivi mobili, mentre sembra ancora essere lontano l’utilizzo estensivo di intelligenza artificiale, machine learning, robotica, stampa 3D e altre innovazioni più recenti. Allo stesso modo, nei servizi educativi si utilizza spesso la tecnologia digitale per far evolvere il tradizionale modello di servizio, ampliando le possibilità di apprendimento per i bambini o migliorando i processi di comunicazione e coinvolgimento delle famiglie. Tuttavia, in nessun caso studiato nel rapporto Ocap, anche con riferimento ai servizi per persone con disabilità, le innovazioni digitali sono ancora state in grado di ampliare la platea di riferimento, cambiare il ruolo degli attori coinvolti, spostare i luoghi di erogazione, innescare meccanismi di co-produzione di valore. Insomma, non hanno veramente innovato i servizi. In altre parole, quello che emerge è che tutti ormai sanno come si scrive innovation, ma pochi hanno dimostrato di sapere come si fa.

Fonte: ViaSarfatti25

 

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