Violenza sul posto di lavoro in sanità

DASP, network delle direzioni strategiche delle Aziende Sanitarie Pubbliche

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In uno dei 4 incontri della XIX edizione del DASP, network delle direzioni strategiche delle Aziende Sanitarie Pubbliche, tenutasi a Milano, Franco Gabrielli, Elisabetta Trinchero e Valeria D. Tozzi, SDA Bocconi hanno presentato un approfondimento sul tema della violenza sul posto di lavoro con riferimento agli ambienti sanitari e socio-sanitari.

 

L'incontro è partito dall’osservazione che nelle aziende sanitarie sempre più spesso compaiono cartelli che dicono: “Siete pregati di non picchiare il personale,” “Si ricorda che offendere o aggredire gli operatori della struttura costituisce reato.” Si è discusso così del fenomeno degli insulti, dei comportamenti incivili, delle minacce e aggressioni fisiche o psicologiche che mettono a rischio la salute e il benessere degli individui, in primis degli operatori della salute.

 

Negli ultimi anni la legge 113/2020, ha introdotto disposizioni specifiche per garantire la sicurezza nei luoghi della salute aggravando le pene per lesioni gravi e gravissime, le sanzioni amministrative per comportamenti violenti e l'obbligo per le strutture sanitarie di costituirsi parte civile nei processi di aggressione. I dati dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie del 2023 fotografano in modo plastico il fenomeno dell’under reporting: le denunce di violenza arrivano dai contesti che sono più sensibili al fenomeno. Si registra così il maggior numero di episodi di violenza al Nord piuttosto che al Sud poiché regioni come Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna sono più pronte a far emergere il fenomeno. Alcune associazioni di categoria sostengono che il 95% degli episodi rimanga non denunciato e che il fenomeno colpisca in media ogni anno un infermiere su tre.

 

Il profilo professionale più esposto è quello dell’infermiere soprattutto quando è giovane e donna. Mentre considerando il profilo dell’aggressore, più frequentemente è maschio e non è sconosciuto agli operatori o alla rete dei servizi sanitari: nel 69% dei casi si tratta dei pazienti, nel 28% dei loro familiari e nel 3% di terzi.

 

Franco Gabrielli ha dichiarato: "la violenza sul posto di lavoro è un fenomeno da contestualizzare socialmente e, soprattutto nel settore sanitario e socio-sanitario, esprime il disagio crescente delle fasce più deboli della popolazione di fronte a situazioni inaspettate o difficili da gestire per lo stato di salute proprio o di propri cari. Le misure preventive spesso dimostrano maggiore efficacia di quelle repressive"

 

Elisabetta Trinchero ha aggiunto: "La prevenzione si esprime attraverso una serie di interventi mirati a ridurre la frequenza e la gravità del fenomeno. Una comunicazione che aiuti a gestire le aspettative del paziente e dei famigliari è uno degli strumenti più rilevanti e allo stesso tempo complessi. Non si improvvisa la comunicazione per evitare l’espressione della violenza che da verbale diventa anche fisica. Soprattutto in un contesto in cui anche il personale è sotto pressione. E spesso si sente solo e frustrato. Ricordiamoci quello che ci dice il Rapporto Censis, e cioè che il 63,6% degli italiani sia convinto di essere solo nella difesa dei propri interessi. E tra questi ci sono sia pazienti sia operatori sanitari”.

 

Valeria D. Tozzi ha concluso l'incontro sottolineando la necessità di un approccio integrato al tema che vada oltre il modello URP (ufficio relazioni col pubblico). Alcune esperienze internazionali enfatizzano il ruolo della segnalazione non solo degli episodi ma anche degli aggressori: in UK dove hanno adottato il metodo dei cartellini gialli e rossi, come per il calcio, l’effetto più efficace di questa misura è stato quello di rendere meno sconosciuti gli aggressori più che inibire il fenomeno”

 

SDA Bocconi School of Management

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