Empatia e prototipazione, due passi per inventare il futuro

Human-centered design secondo Paola Cillo e Craig Cisero

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Milano, 21 agosto 2019
“Se vuoi davvero capire una cosa, cerca di cambiarla”. In questo celebre aforisma attribuito allo psicologo sociale Kurt Lewin non c’è tanto il ribaltamento della regola condivisa “prima pensa, poi agisci” quanto l’essenza di un nuovo modo di creare conoscenza accorciando le distanze tra teoria e pratica, tra il momento di analisi e quello di realizzazione. Perché non c’è nulla di più pratico di una buona teoria, soprattutto se può essere subito verificata sul campo. La sfida è stata raccolta dall’human-centered design, un nuovo metodo per creare cambiamenti reali, condivisi e duraturi all’interno di contesti organizzativi. Ne abbiamo parlato con Paola Cillo di SDA Bocconi e Craig Cisero di Frog Design, ideatori e docenti del workshop Innovation by Design articolato su questo metodo, che partirà il prossimo settembre.

 

“L’approccio dello human-centered design si basa sulla raccolta diretta di informazioni provenienti da molteplici fonti e in molteplici modi – interviste, osservazioni dirette, immagini, video”, spiega Cillo. “L’obiettivo è non focalizzarsi su una parte specifica del problema o sull’osservazione in un singolo momento, ma abbracciare l’intera esperienza”. “In questo modo non cerchi di confermare la tua ipotesi iniziale, ma fai un percorso insieme alle persone con cui lavori per capire le motivazioni che stanno dietro i loro comportamenti: perché fanno ciò che fanno, invece di ciò che dicono di fare”, ribadisce Cisero. “Cambiare una strategia o un prodotto significa arrivare a capire in modo diverso ciò che ha valore per gli utenti”.

 

Grazie a questa euristica human-driven è possibile raggiungere in prima persona una comprensione del problema contestualizzata e meno filtrata (e quindi di parte). Ed è un approccio particolarmente versatile: “Si applica allo sviluppo di nuovi concetti, prodotti e servizi, modelli di business, e può creare un cambiamento culturale all’interno di un’organizzazione o nell’affrontare un problema specifico”, continua Cillo. “Comprende 4 fasi: il primo step è la ricerca sull’argomento che dà un primo livello di comprensione, più approssimativo; poi è necessario entrare in empatia con le persone, sentendo ciò che provano in quella situazione – una fase fondamentale dell’intero processo. Il passo successivo, quello della progettazione, consente di dare forma all’idea che è nata nella fase di empatizzazione, possibilmente trasformandola in un prototipo: questo rende concrete e tangibili le nuove idee in modo che tutti possano imparare facendo – per esempio, la visualizzazione dell’idea permette di individuare precocemente i punti critici. Infine, in fase di sviluppo, si passa a trasformare il concept in qualcosa che funzioni nella vita reale”.

 

Non si può parlare di human-centered design, quindi, se non si fanno i conti con le persone in carne e ossa, collocate nel loro specifico contesto organizzativo e culturale: “Se vogliamo che le persone si sentano a proprio agio nell’esprimere i propri sentimenti è fondamentale tenere conto della cultura locale”, sottolinea Cisero. “In Kenya, per esempio, è molto importante coinvolgere la comunità locale e farla partecipare al processo di progettazione, quindi bisogna pensare a interviste collettive; in Arabia Saudita, invece, si lavora meglio con incontri individuali (inoltre fare ricerche con le donne è più complicato)”.

 

Flessibile e ad alto impatto, e non solo sulla carta. I riscontri concreti dell’efficacia dell’Innovation by Design non mancano – ci tengono a sottolineare i due docenti. “Un esempio per tutti: la ricerca svolta su un nuovo farmaco per l’epatite C”, racconta ancora Craig Cisero. “Uno dei principali target di riferimento sono i tossicodipendenti, molto difficili da raggiungere e coinvolgere, ed è difficile soprattutto fare rispettare loro i protocolli medici. Abbiamo trascorso molto tempo con queste persone per capire la loro routine, quali sono i loro rapporti col sistema sanitario e come interagiscono con i pari e le figure di riferimento. Abbiamo scoperto che ci sono molti più touch point di quanto immaginassimo, un ruolo importante ad esempio lo svolgono i farmacisti o gli addetti dei centri di accoglienza per i senzatetto, che danno informazioni. In questo modo la casa farmaceutica è stata in grado di avviare, insieme alla distribuzione del suo prodotto, diverse iniziative e servizi a valore aggiunto per i clienti/utenti”. Inevitabilmente, quando al centro c’è la persona, il concetto di valore si allarga.

 

SDA Bocconi School of Management

 

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