#ValorePubblico

Un errore di comunicazione

Ok, faccio anche io un titolo clickbaiting, anche se non è di Chiara Ferragni che parlerò in questo post. Ma di comunicazioni, errori e responsabilità sì. Sempre con riferimento alle istituzioni pubbliche.

 

Partiamo dal fatto.

 

Venerdì 17 maggio abbiamo presentato presso l’Aula Magna del Politecnico di Milano gli esiti di una ricerca da cui emerge che le case pubbliche (o popolari, per usare un termine più corrente) producono inclusione e protezione sociale, integrazione e ripristino della dignità di chi ci abita. Questo accade quando il servizio abitativo pubblico è gestito in modo da anticipare i problemi (invece di inseguirli), disegnare le procedure in maniera più coerente con i bisogni dell’utenza (invece di trincerarsi dietro la burocrazia) e curare la relazione con gli inquilini, soprattutto i più fragili. In assenza di questi modelli, invece, l’esperienza abitativa diventa difficile e i quartieri pubblici una trappola. Se abbiamo potuto studiare questi modelli di gestione è perché ve ne sono buoni esempi in corso a Milano. Lo sono in due diversi quartieri, sotto due forme diverse. È in questi quartieri che abbiamo condotto ricerca sul campo.

Per questa ragione è stato abbastanza sorprendente vedere sintetizzato il nostro lavoro in un articolo pubblicato in un autorevolissimo giornate titolato con un lapidario “case popolari bocciate” e addirittura in virgolettato “il modello di gestione ha fallito”.

Ma com’è possibile che questa sia la sintesi dell’articolo, se la nostra conclusione è che, al contrario, le case pubbliche sono uno degli ultimi argini di protezione sociale dalle forme più estreme di marginalità?

Ben sappiamo quanto funzioni dal punto di vista comunicativo la critica a quello che non va, tanto più se la critica è ai servizi pubblici. Ci deve preoccupare, però, constatare fino a che punto la regola del sensazionalismo porti a distorcere il messaggio. Questa esperienza mi porta a chiedermi: quanto è sovente che il malfunzionamento soverchi il racconto di quello invece funziona? Quali servizi pubblici sono più esposti a questo rischio? E, in conclusione, che impatto ha questo pregiudizio sistematico della stampa verso i servizi pubblici sulla fiducia nelle istituzioni? Non è che questo gioco al ribasso alimenti le scelte di contrazione degli investimenti in servizi pubblici, che si tratti di sanità, scuola o, in questo caso, edilizia residenziale pubblica? Tanto, alla fine, non funziona niente?

L’edizione 2024 dell’Edelman Trust Barometer Global Report dice che le istituzioni in maggiore crisi di fiducia sono quelle governative e i media,

considerati meno competenti ed etici di aziende privati o NGOs. E le voci meno autorevoli (il focus 2024 era sul tema dell’innovazione) sono proprio quelle di giornalisti e leader governativi, mentre i più affidabili sono considerati gli scienziati, i propri pari sono al secondo posto (!) e gli esperti del privato al terzo, senza grande preoccupazione rispetto alla terzietà di questi ultimi.

 

Occorre forse aprire una riflessione su come si costruisce la conoscenza diffusa del funzionamento delle istituzioni pubbliche e dei suoi servizi, nel bene e nel male, e qual è il ruolo della stampa. Ogni volta è solo un titolo.

Ma alla fine la posta in gioco è l’affidabilità delle istituzioni.

 

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