#ValorePubblico

Un ambiente di lavoro di qualità, anche nella PA

Qualche giorno fa discutevo con le colleghe Marta Barbieri e Lorenza Micacchi dei risultati di una loro ricerca (condotta insieme ad un più ampio team, in collaborazione con SNA ) sui fattori di attrazione dell’impiego pubblico tra i più giovani. Un dato emerso con forza dalle migliaia di rilevazione da loro effettuate è che sopra ogni cosa, più della possibilità di sviluppare competenze nuove, più di trovare un contesto stimolante, 

i giovani cercano un ambiente di lavoro sereno, ovvero un luogo dove le relazioni sono distese e che consenta alle persone di stare bene.

Occorre subito intendersi su cosa si intende per serenità dell’ambiente di lavoro. Non è da confondere con la sicurezza del posto fisso: sebbene la stabilità del rapporto di lavoro sia certo una fonte di tranquillità, non è sufficiente a rendere l’esperienza in sé piacevole, se assediata da conflitti, insoddisfazione diffusa, sfiducia dilagante. Né è da intendere come una vita di lavoro al Valium: la ricerca del benessere nel luogo di lavoro non è incompatibile con la disponibilità a gestire l’incertezza o la sfida. E’, al contrario, una precondizione, una condizione igienica, senza cui non è possibile esprimere le proprie potenzialità.

 

I dati della ricerca delle colleghe sono più ampi e articolati (i giovani sono profilati per inclinazione motivazionale e i risultati comparati con quelli dei coetanei che lavorano nella PA), ma questo esito in particolare (i giovani cercano soprattutto un ambiente di lavoro sereno) ha inchiodato su una domanda la giovane che sono stata, imbevuta dei valori dello yuppismo della fine del secolo scorso e di fascinazione per l’eu-stress: e se questi “nuovi giovani” fossero i più saggi in circolazione da un pezzo?

 

Infatti, anche le nuove generazioni dei guru del management spopolano sui social proponendo una nuova “no stress culture” nelle organizzazioni. Ad esempio, spicca Adam Grant, giovane professore americano di psicologia dell’organizzazione, autore di bestseller globali come “Give and Take” o il più recente “Think Again”, che ha costruito la sua fortuna accademica dimostrando (tra le altre cose) che la generosità è un comportamento che può essere molto vantaggioso per i singoli e per le organizzazioni e che, pertanto, andrebbe promossa e favorita. Altro che la solita solfa del creare ambienti dove favorire la competizione: è saper contribuire che fa la differenza.

Per un settore, come quello pubblico, sempre accusato di essere troppo poco esposto al mercato, dove la retorica del merito si traduce nella ricerca ossessiva di premi e punizioni, questa lettura dell’organizzazione ha molto da insegnare.

D’altra parte, basta sbirciare ogni tanto su LinkedIn per scoprire con che frequenza si discute di come riconoscere ed evitare i luoghi di lavoro tossici, aggettivo un tempo associato a comportamenti devianti e oggi abitualmente utilizzato anche per qualificare le organizzazioni dove l’abnegazione di sé è un valore, anche se a detrimento della propria salute fisica e mentale. O dove si respira un clima ostile, la comunicazione è assente o insana, o le energie si disperdono nella gestione di conflitti costanti.

In tempi recenti, i servizi pubblici sono diventati ad alto rischio tossicità, anche in conseguenza alla contrazione progressiva di addetti, che si è tradotta in un progressivo aumento dei carichi di lavoro.

Gli ambienti di lavoro tossici non sono pericolosi solo per chi li vive, ma anche per i destinatari dei servizi prodotti:

i lavori della collega Elisabetta Trinchero realizzati in ambito ospedaliero (questo, ad esempio) dimostrano la correlazione tra la qualità dell’ambiente di lavoro intesa come solidità della relazione tra capo e collaboratore e la cultura della sicurezza, con i conseguenti benefici per i pazienti. Nel mio ultimo libro per i dirigenti pubblici Public Leadership dedico un intero capitolo (9.Leader che ascoltano) alla competenza di come costruire relazioni di fiducia nel luogo di lavoro, partendo dall’osservazione che questo modo di esercitare il ruolo di capo favorisce contesti in cui le persone possono sentirsi più sicure e meglio esprimere le proprie potenzialità.

 

Tornando ai giovani, se ci stiamo interrogando su come fare ad attrarli e trattenerli, potremmo scoprire presto che non basterà pagare meglio (gli stipendi di ingresso sono già interessanti) o costruire percorsi di carriera più veloci e flessibili (le norme e i contratti già lo prevedono), se non si alleneranno i capi a costruire organizzazioni dove le persone si sentano libere e al sicuro, per poter esprimere il meglio di sé. In altre parole, se non si offre quello che i giovani cercano: in breve, un ambiente di lavoro di qualità.

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