Occorre subito intendersi su cosa si intende per serenità dell’ambiente di lavoro. Non è da confondere con la sicurezza del posto fisso: sebbene la stabilità del rapporto di lavoro sia certo una fonte di tranquillità, non è sufficiente a rendere l’esperienza in sé piacevole, se assediata da conflitti, insoddisfazione diffusa, sfiducia dilagante. Né è da intendere come una vita di lavoro al Valium: la ricerca del benessere nel luogo di lavoro non è incompatibile con la disponibilità a gestire l’incertezza o la sfida. E’, al contrario, una precondizione, una condizione igienica, senza cui non è possibile esprimere le proprie potenzialità.
I dati della ricerca delle colleghe sono più ampi e articolati (i giovani sono profilati per inclinazione motivazionale e i risultati comparati con quelli dei coetanei che lavorano nella PA), ma questo esito in particolare (i giovani cercano soprattutto un ambiente di lavoro sereno) ha inchiodato su una domanda la giovane che sono stata, imbevuta dei valori dello yuppismo della fine del secolo scorso e di fascinazione per l’eu-stress: e se questi “nuovi giovani” fossero i più saggi in circolazione da un pezzo?
Infatti, anche le nuove generazioni dei guru del management spopolano sui social proponendo una nuova “no stress culture” nelle organizzazioni. Ad esempio, spicca Adam Grant, giovane professore americano di psicologia dell’organizzazione, autore di bestseller globali come “Give and Take” o il più recente “Think Again”, che ha costruito la sua fortuna accademica dimostrando (tra le altre cose) che la generosità è un comportamento che può essere molto vantaggioso per i singoli e per le organizzazioni e che, pertanto, andrebbe promossa e favorita. Altro che la solita solfa del creare ambienti dove favorire la competizione: è saper contribuire che fa la differenza.