I recenti rinnovi contrattuali hanno puntato a difendere il potere d’acquisto dell’impiego pubblico nel suo insieme, bruciato dalla fiammata inflattiva del biennio 2022/2024. Dai dati ARAN emerge che, gli incrementi contrattuali cumulati nell’arco temporale 2016-2027 quasi recuperano le variazioni inflattive del decennio nei ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici, con aumenti medi di 562 euro, così come nel settore sanitario (530 euro). Mentre i settori penalizzati restano l’istruzione (400 euro) e gli enti territoriali (390 euro), con incrementi limitati al 20 % a fronte di un Ipca del 25,4%.
Qual è la causa di tale divario? La logica degli incrementi “lineari”, ovvero calcolati in percentuale ai valori di partenza, ha penalizzato inevitabilmente i settori con retribuzioni storicamente inferiori, quali gli enti locali e la scuola. A questo occorre aggiungere che ministeri e sanità hanno avuto accesso a risorse extra-contrattuali, come i 190 milioni per il fondo accessorio previsti dall'ultimo decreto PA. Se è evidente la necessità di investire risorse nel comparto sanità, dove si assiste ad una vera e propria emorragia di professionalità, appare più discutibile la scelta di favorire solo il comparto delle funzioni centrali lasciando fuori quelle locali.
Che gli enti locali siano il vero fanalino di coda del pubblico impiego si vede anche dalla dinamica del numero degli addetti degli ultimi 20 anni (dati Conto Annuale aggiornati al 2022). I ministeriali (esclusi gli appartenenti alle carriere di diritto pubblico, che pur sono il cuore operativo di molti ministeri) si sono ridotti molto di numero (-39%): grazie a questa cura dimagrante gli esborsi aggiuntivi per la loro retribuzione accessoria hanno un impatto contenuto sulla fiscalità generale. La scuola, al contrario, ha visto sì aumenti in busta paga minori, ma a fronte di un sorprendente aumento del 5% in 20 anni del numero degli addetti (nonostante l’inverno demografico suggerirebbe altro). La sanità, che – al contrario della scuola – vede tradurre l’invecchiamento della popolazione in un aumento di domanda di servizi di salute, in 20 anni non è cresciuta, si è anzi un poco contratta. Quindi, che medici e infermieri siano destinatari di qualche risorsa in più è davvero dovuto.
E gli enti locali?
Gli enti locali niente.
In 20 anni hanno perso oltre il 20 % di addetti e questo non si è tradotto in alcun modo in una politica di qualificazione retributiva di chi resta. Non devono stupire, quindi, i dati dell’ultimo Rapporto Ifel sul personale dei Comuni: nel 2023 si sono licenziate volontariamente 16.000 persone. Un’emorragia che ci racconta di un equilibrio ormai spezzato tra richieste crescenti – vista la contrazione di personale e l’aumento delle attività – e ricompense inadeguate.
Come siamo finiti in questo cul de sac?