
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 21 mag 2025
- 17 giorni
- Blended
- Italiano
Fornisce le conoscenze e gli strumenti fondamentali per un effettivo esercizio della funzione di direzione della PA.
Ci sono profezie semplici da fare. Come “se non ti copri d’inverno, ti raffreddi”. “Se corri sul bagnato, scivoli”. O “se cresce il debito, si taglia l’impiego pubblico”. Dopo il DOGE in USA, i tagli al pubblico impiego arrivano in Europa. Con le dovute differenze.
Domenica scorsa la ministra francese dei Conti pubblici, Amélie de Montchalin, ha annunciato un ambizioso piano di riforma dell’apparato statale. Il governo intende sopprimere o fondere un terzo delle agenzie statali entro la fine dell’anno, con l’obiettivo di realizzare risparmi significativi e migliorare l’efficienza della spesa pubblica. Secondo la ministra, l’organizzazione della cosa pubblica francese “è diventata illeggibile, difficile da comprendere per i francesi e (…) genera inefficienze per lo Stato”. Sebbene i toni siano più composti, istituzionali e rassicuranti di quelli di Musk, la musica di fondo è la stessa e
la parola efficienza è la versione glow up di tagli.
Il piano annunciato, infatti, prevede la riduzione del numero di agenzie e apparati statali, con un risparmio stimato tra i 2 e i 3 miliardi di euro. Ok, non sono i roboanti 2000 miliardi di dollari annunciati da Musk, ma – in piccolo – le leve sono le stesse. E la voce del personale è una delle più rilevante: niente licenziamenti in tronco all’americana, ma è già stato annunciato il blocco del turnover per le suddette agenzie, che impiegano oltre 180.000 addetti, anche se c’è già chi teme che sia solo il primo passo. Questa misura si inserisce in un contesto più ampio di consolidamento fiscale, in cui il governo mira a ridurre il deficit pubblico dal 5,8% del 2024 al 5,4% già quest’anno, grazie a uno sforzo di bilancio di circa cinquanta miliardi di euro, recentemente rafforzato con ulteriori 5 miliardi. L’obiettivo è ridurlo al 4,6% nel 2026 attraverso un nuovo taglio stimato in 40 miliardi di euro.
Ora, ogni paese ha le sue traiettorie. E la Francia ha sempre avuto un impiego pubblico ipertrofico rispetto a tutte le comparazioni statistiche continentali e più di altri sistemi amministrativi può beneficiare di qualche sforbiciata. Aggiungiamo anche che il DOGE è davvero un fenomeno diverso, per lo stile sprezzante per la cosa pubblica, i metodi eterodossi e la vocazione antisistema. Pertanto, il parallelismo è un poco azzardato. Ma la lunga tradizione degli studi comparati delle riforme amministrative ci ha insegnato che queste traiettorie si influenzano a vicenda e si intrecciano al punto da disegnare percorsi convergenti. Gli stessi studi ci hanno mostrato la connessione inscindibile tra politiche di austerità e misure di contrazione dell’impiego pubblico in salsa New Public Management, che sia in versione turbo-tech come in USA oppure no.
Se queste premesse sono vere, il futuro che ci aspetta è il passato che pensavamo di aver appena lasciato alle spalle?
I dati sulla dinamica del debito pubblico in Europa qualche indizio ce lo offrono. Dopo lo shock pandemico, i livelli di indebitamento sono saliti in modo generalizzato. Secondo i dati di Eurostat, il rapporto debito/PIL nell’area euro è passato dal 83,9% del 2019 al picco del 97,3% nel 2021, e oggi si mantiene comunque su valori storicamente molto elevati, intorno al 90%. In Europa, non solo la Francia, ma anche la Spagna o l’Italia si trovano davanti alla necessità di rientrare in parametri più stringenti, anche in vista del ritorno di regole fiscali più rigorose a partire dal 2025, sebbene in un contesto di crescita modesta. In più, negli ultimi mesi, un’altra sfida al controllo del debito è arrivata dall’esigenza di aumentare l’impegno nella difesa, che verosimilmente nei prossimi anni assorbirà una quota crescente della spesa pubblica, sottraendo margini ad altri comparti. E, infatti, la Francia non è l’unica ad annunciare cure dimagranti: i Paesi Bassi hanno nel mirino i costi di istruzione, università e sanità, Finlandia ed Estonia hanno già annunciato apertamente misure di austerità. Che cosa dobbiamo aspettarci allora?
Non abbiamo fatto in tempo a finire di spendere la risorse del Next Generation EU che ci siamo ritrovati già in un nuovo corso?
In Italia il PNRR rappresenta una risorsa preziosa per stimolare la crescita e puntare a fare crescere il denominatore. Ma anche contenere il numeratore non potrà che essere una priorità politica dei prossimi anni e il pubblico impiego – per il suo peso nei bilanci e la facilità di bersaglio – è sempre uno dei primi a essere tagliato. Se, da un lato, la tecnologia può diventare l’alleato più prezioso per combinare cura dimagrante con difesa di quantità e qualità dei servizi (e l’investimento nella transizione digitale della PA di questi anni deve cominciare a mostrare il suo ritorno), dall’altro l’esperienza italiana insegna anche che quando si taglia in modo sommario, invece di recuperare agilità ed efficienza ci si ritrova debilitati e invecchiati.
Ma se si saprà imparare dagli errori del passato e dagli scivoloni in corso dall’altro lato dell’Atlantico, la stagione che ci aspetta potrebbe essere meno fosca di quello che si potrebbe pensare: servirà una gestione più selettiva e strategica delle risorse, sorretta dalla capacità di investire su professionalità nuove, in grado di gestire innovazione, tecnologie, complessità. E, come sempre, a fare la differenza sarà la competenza e visione di chi saprà guidare il cambiamento, piuttosto che subirlo.