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Dirigenza pubblica: Merit o Spoils? Una questione mal posta

Venerdì scorso ho assistito ad un interessante dibattito organizzato da Unadis, sindacato della dirigenza statale, in cui hanno partecipato ministri e vertici delle istituzioni coinvolte nel processo di riforma in corso, su un tema che mi è molto caro: la selezione delle dirigenza. Sono state dette cose ampiamente sottoscrivibili, tra cui l’appello che arriva dalla stessa Segretaria Nazionale Unadis di considerare nella selezione anche “la voglia di lavorare nello Stato” e il “senso di appartenenza”. Ancora una volta, però, ho sentito assimilare i dirigenti a contratto, ovvero i dirigenti non di ruolo e con un incarico a tempo determinato, ad una forma di selezione di tipo spoils system. Questo è un errore sul piano concettuale, che non ci aiuta a formulare i termini del dibattito. Ecco perché.

 

Merit, ma con una correzione di Spoils per gli incarichi di vertice

In principio fu il sistema del bottino (spoils system): chi vinceva le elezioni sostituiva in toto le strutture amministrative con i propri fedelissimi. Un sistema predatorio e scarsamente liberale, che con il Pendleton Civil Service Reform Act del 1883, viene abolito negli Stati Uniti d’America, a vantaggio del principio secondo cui la selezione del pubblico impiego deve essere condotta su criteri di merito e non di affiliazione. L’affermarsi della burocrazia moderna in tutti i paesi liberali testimonia l’affermazione del principio della terzietà delle strutture amministrative rispetto alla contesa politica. Ma lascia irrisolti alcuni nodi, tra cui: quale raccordo tra apparato amministrativo che resta stabile nel tempo e il vertice politico, fisiologicamente transeunte? Le critiche all’acefalia della burocrazia o al rischio di auto-referenzialità sono alla base della messa in discussione del principio di legittimazione della nomina dei vertici amministrativi. Dopo decenni di dibattiti e riforme (per chi volesse approfondire, qui, qui e per una super sintesi qui p.66) si è stabilizzato un modello ormai nemmeno più tanto discusso in area OCSE: per gli incarichi di vertice amministrativo sceglie la politica all’interno di una rosa di nomi vincolata sul piano dei requisiti tecnici. Questi incarichi danno luogo ad un ruolo ibrido, di raccordo tra politica e tecnica, chiamato a tenere insieme le due razionalità. E’ il caso, ad esempio, dei sistemi di nomina dei Capi Dipartimento, dei Segretari Generali o dei DG in sanità. Ma nulla ha a che vedere con i dirigenti a contratto.

Per studiare queste diverse forme di dirigenza si è imposta oltre vent’anni fa in ambito OCSE una classificazione binaria: la dirigenza di carriera, cui si accede subito dopo gli studi per assumere incarichi anche molto diversi e ruoli di sempre maggiore responsabilità; e la dirigenza di posizione, dove, in modo non dissimile dal privato, l’aver ottenuto un incarico dirigenziale per una specifica posizione non è di per sé un diritto a quel ruolo per sempre

Dirigente per carriera o per incarico

I dirigenti pubblici, selezionati secondo criteri di merito, non sono ovunque ‘di ruolo’, laddove ‘di ruolo’ indica che a valle di un concorso pubblico hanno guadagnato il diritto ad avere a vita un incarico dirigenziale. Esistono posti democratici come il Belgio o il Portogallo dove la dirigenza non è che un incarico a tempo, scaduto il quale e in caso di non rinnovo si torna nei ranghi da funzionario (grosso modo come le PO da noi). Oppure paesi come il Regno Unito e l’Irlanda dove l’incarico dirigenziale è sì a tempo indeterminato, ma senza maggiori tutele rispetto al privato e con una ampia tradizione di mobilità tra i due settori. Per studiare queste diverse forme di dirigenza si è imposta oltre vent’anni fa in ambito OCSE una classificazione binaria: la dirigenza di carriera, cui si accede subito dopo gli studi per assumere incarichi anche molto diversi e ruoli di sempre maggiore responsabilità; e la dirigenza di posizione, dove, in modo non dissimile dal privato, l’aver ottenuto un incarico dirigenziale per una specifica posizione non è di per sé un diritto a quel ruolo per sempre (per approfondimenti qui e qui). Decenni di riforme hanno largamente ibridato i sistemi, al fine di correggere i limiti da ambo le parti. Ad esempio, in Italia, l’introduzione della c.d. dirigenza a contratto (i famosi art. 19 comma 6 del TU del Pubblico Impiego) aveva l’obiettivo di rendere più permeabile la dirigenza al mercato delle competenze manageriali del privato. Con quali esiti?

Dalla teoria alla pratica

Difficile rispondere a questa domanda in assenza di dati che aiutino a dare i confini del fenomeno. Che in alcune circostanze questi spazi siano stati usati in maniera non appropriata non deve mettere in ombra le esperienze positive: quando irrompono alcune novità nel sistema (penso all’esigenza di introdurre nel pubblico figure professionali innovative per l’epoca, come quella del Controller, del Project Manager, del Chief Information Officer o del Direttore del Marketing Territoriale) gli innesti dall’esterno hanno portato negli anni competenze nuove e qualificate, che all’interno non erano presenti. Che vi siano state delle storture richiede di esercitare forme di maggior controllo, non certo di rinunciare ad uno strumento di innovazione. Personalmente trovo più controverso quando i c.d. comma 6 sono stati utilizzati per fare crescere i funzionari più dinamici, ai quali viene però quasi contestualmente (implicitamente) negato di accedere alla dirigenza di ruolo: è come dare loro accesso alla dirigenza dalla porta di servizio, se il sistema dominante del concorso premia non i funzionari più meritevoli, ma quelli con più tempo per prepararsi.

In conclusione, c’è ampio spazio per introdurre logiche di selezione merit-based anche per i dirigenti a contratto, che non vanno considerati bottino della maggioranza. Quanto agli strumenti di selezione, vanno equiparati non già a quelli del concorso pubblico, che apre le porte ad un ruolo, una carriera, ma a quelli di un interpello, che sono lo strumento di allocazione nelle singole posizioni. Se poi gli interpelli in generale diventassero più merit-based, magari con spazi di maggiore mobilità tra amministrazioni, si qualificherebbero percorsi di carriera anche orizzontale della dirigenza, che oggi sembrano fatalmente al palo.

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