#ValorePubblico

Assalto alla dirigenza

È notizia della scorsa settimana la comparsa nel calderone degli emendamenti al DL 21/2022 relativo agli aiuti umanitari all’Ucraina (!) in sede di conversione parlamentare di una “normetta” che proponeva di introdurre una sorta di percorso di stabilizzazione dei dirigenti a contratto (i c.d. art.19 comma 6) assegnati ai funzionari in aspettativa da altre amministrazioni. È una buona notizia che l’iniziativa sia stata stoppata. Ma è l’ennesima riprova della confusione sul nostro modello di dirigenza.

Perché è giusto riconoscere il valore dell’esperienza nei concorsi da dirigente

Nel nostro ordinamento si diventa dirigente di ruolo (cioè a tempo indeterminato) per concorso pubblico. Al concorso tradizionale, cui può accedere chi ha accumulato un numero minimo di anni qualificanti di esperienza (come funzionario in una qualunque PA o ruoli equivalenti nel privato), si affianca il c.d. Corso Concorso della SNA, ovvero un sistema di accesso alla dirigenza pubblica che non richiede particolari esperienze pregresse e, pertanto, avrebbe la finalità di reclutare dirigenti anche tra profili più giovani ed esterni al mondo pubblico. Nella pratica, entrambi i canali oggi si differenziano solo per una ragione: i concorsi ‘tradizionali’ sono in genere gestiti dalle singole amministrazioni, mentre quelli della SNA (Corso Concorso) sono trasversali a tutte le amministrazioni centrali. Infatti, il bacino di reclutamento principale per entrambe le procedure resta saldamente il mondo del funzionariato, senza grandi differenze in punto età media.

Tra le ragioni di questo appiattimento delle tipologie di candidati ai due concorsi vi è il fatto che negli anni passati anche le tipologie di prove erano piuttosto simili: il concorso da dirigente c.d. tradizionale, destinato a chi ha accumulato un numero minimo di anni di esperienza, in alcun modo valutava la suddetta esperienza o le competenze maturate sul campo. Pertanto, per un funzionario navigato candidarsi ad un concorso da dirigente indetto dalla propria amministrazione o dalla SNA era del tutto irrilevante. L’esito di questo modello è paradossale, se guardato con lenti manageriali: un’amministrazione che deve scegliere la sua classe dirigente anche tra i propri funzionari, fino alle norme più recenti non poteva usare le pur ricche informazioni sulle loro capacità reali, perché la natura delle prove era tutta centrata sulla valutazione di conoscenze teoriche. Questo tipo di concorsi, ça va sans dire, portava con sé il rischio alto che ad avere la meglio fossero i funzionari con più tempo di studiare, magari anche durante l’orario di ufficio (quindi, non certo i più impegnati e committed) o a casa, perché con meno carichi familiari (quindi, di certo non le donne), benché non necessariamente i più adatti al ruolo. Anzi, i funzionari più capaci e destinatari di maggiori responsabilità (PO o incarichi da dirigente a contratti) risultavano penalizzati.

Una prima risposta a queste criticità è da ricondurre al DL 80 del 2021, che in conversione ha modificato l’art 28 del DLgs 165/2001 introducendo un canale di reclutamento per la dirigenza dedicato agli interni, dove l’esperienza e la qualità dei contributi offerti può utilmente essere oggetto formale di valutazione. La stessa norma ha già previsto una (discutibile, a mio avviso) aggiunta di una sotto-quota proprio per i funzionari con incarichi da dirigente a contratto. Perché, allora, aggiungere anche questa normetta?

fare crescere i più capaci confinandoli in posizioni a contratto significa ammettere che la dirigenza di ruolo ha fallito la sua missione di essere il naturare approdo dei funzionari migliori

Perché stabilizzare i dirigenti a contratto rende il nostro sistema dirigenziale meno credibile

Trovo un errore concettuale – prima ancora che una pratica illegittima – l’assimilazione delle posizioni dirigenziali a contratto con quelle legate allo spoils system. Chi sostiene che i dirigenti a contratto siano tutti raccomandati dalla politica e privi delle competenze per ricoprire l’incarico adeguatamente dovrebbe recarsi dritto in procura, invece di discettarne sui social, contribuendo al discredito pubblico della nostra pubblica amministrazione.

Al contrario, in tutti i sistemi con una dirigenza di carriera come il nostro (che non è l’unico modello di PA trasparente, liberale e democratica possibile: si vedano ad esempio i sistemi di pubblico impiego di matrice anglosassone) l’introduzione di una quota di dirigenti a contratto è ovunque presente in Europa e ha permesso l’ingresso di competenze specialistiche maturate in altri contesti e non presenti tra gli interni con modalità più flessibili. Non a caso, vent’anni fa si usavano questi spazi per assumere, ad esempio, dirigenti in grado di mettere i piedi sistemi di programmazione e controllo e altre funzioni a più alta vocazione manageriale e, in tempi più recenti, per presidiare le innovazioni legate al digitale e alla cyber security. Grazie a questo canale, le PA più dinamiche si sono dotate di professionalità capaci di rispondere a bisogni specifici e di portare innovazione tramite innesto esterno.

Un altro modo di usare questi spazi per manager a contratto è stato finalizzato a ‘promuovere’ sul campo funzionari capaci. C’è addirittura chi ne ha fatto un modello, come l’Agenzia delle Entrate di qualche anno fa. Come dissi allora, commentando proprio il caso dell’Agenzia, per quanto sia profondamente convinta che servano percorsi di crescita capaci di valorizzare gli interni, è stata una risposta sbagliata ad un bisogno giusto. In altri modelli di dirigenza pubblica (penso al Belgio e al Portogallo) non esiste la dirigenza di ruolo e il meccanismo di accesso è più simile a quello delle nostre PO: le posizioni dirigenziali sono solo incarichi a tempo determinato, per quanto rinnovabili, con alcuni vincoli e incentivi alla rotazione, e per lo più assegnati a personale interno. In caso – infrequente, come per le nostre PO – di non rinnovo, si ritorna a fare il soldato semplice. Modelli interessanti, ma distanti dal nostro. Pertanto, fare crescere i più capaci confinandoli in posizioni a contratto significa ammettere che la dirigenza di ruolo ha fallito la sua missione di essere il naturare approdo dei funzionari migliori.

Per questa ragione, la risposta non può che essere cercata in soluzioni come quelle previste dalla riforma dell’art 28 del DLgs 165/2001 introdotta dal DL 80/2021 che aiuta a qualificare la dirigenza di ruolo, con concorsi altrettanto meritocratici, ma basati sulle competenze e le esperienze (e non solo le conoscenze). Riforma che nulla ha a che vedere con la dirigenza a contratto, tanto meno con questi strabici tentativi di creare riserve indiane.

E’ ora di dirci quale modello di dirigenza vogliamo e provare a difenderlo e farlo funzionare.

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