
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 21 mag 2025
- 17 giorni
- Blended
- Italiano
Fornisce le conoscenze e gli strumenti fondamentali per un effettivo esercizio della funzione di direzione della PA.
Mentre continua il dibattito sull’opportunità di affidare la gestione delle risorse del Next Generation EU ad un team di sei manager, affiancati da stuoli di consulenti, sorge una domanda: ma cosa distingue un manager da un burocrate? Ecco due brevi storie e una morale.
C’era una volta un manager, che aveva svolto tutta la sua carriera nel privato con grande successo. Un giorno arriva la crisi vocazionale: “Ne ho abbastanza di mettere la mia competenza a servizio degli interessi di pochi shareholders. Voglio portare un contributo alla collettività: voglio lavorare per il pubblico”, dice senza nemmeno la solita sindrome messianica (“il pubblico è un disastro, aspetta che arrivo io e lo sistemo”). L’occasione arriva presto: la direzione generale di una grande azienda municipale. È evidente cosa non va: i costi si possono mettere in ordine velocemente con una diversa gestione del personale, a partire dai turni. Piano industriale perfetto, da manuale. I soci approvano. Un anno dopo questo manager capisce che è già ora di dare le dimissioni. Lo fa e si interroga su cosa non ha funzionato. Aveva affrontato i tavoli sindacali come era abituato a fare. Era stato proprio lì l’errore. Non aveva capito che quella partita si giocava anche altrove. Gli interessi della proprietà e quelli dei lavoratori hanno confini fluidi, non scontati. Anzi, lo aveva capito troppo tardi. Quando ormai era isolato. “Meritano di sprofondare nella loro inefficienza” gli dicono gli ex colleghi del privato con cui si confronta “torna a lavorare da noi”. Ma non è il tipo che si crogiola nel vittimismo di fronte ad una sconfitta. Sente invece una voce fuori dal coro che gli dice: “Gli interessi in gioco sono molti, i piani di lavoro complessi e tutti da decifrare. Nessuno te li spiega. Il sistema di vincoli instabile e incerto, sul piano delle risorse economiche, del quadro normativo e degli indirizzi politici. Se vuoi provarci davvero in questo settore, devi prima riconoscere il fatto che ha regole del gioco diverse. Poi devi decidere se vuoi accettare questa differenza o se vuoi passare il tempo a considerarla una patologia da combattere. Infine, devi capire se sei in grado di guidare – e non subire – questa complessità per realizzare cose che hanno valore per la collettività. Sei lì per tenere la rotta e lo sguardo saldo su questo valore. E per sapere dire NO e saperlo dire al momento giusto. Quelli come te che vengono dal privato pensano di dover dire sempre di sì. E finiscono col fare più danni di quei dirigenti legulei che per paura o per potere mettono di traverso solo lunghe sfilze di no.”
C’era una volta una motivata neo-dirigente fresca di concorso vinto in un comune diverso da quello di provenienza. Era un contesto nuovo, più grande e per di più le avevano affidato uno settore di cui non sapeva granché: cultura, sociale ed educazione. Arrivata nel nuovo ruolo, aveva impiegato sei mesi a ricostruire il quadro completo dei servizi dentro i contratti in essere col terzo settore. Il suo assessore di riferimento, un imprenditore della zona, è uno che si fida poco. È al primo mandato e pensa che in Comune siano tutti sfaccendati. Di solito chiama la dirigente per risolvere questioni puntuali, stimolate da qualche “giornalata”. Così è lei che si decide a fargli una proposta. Gli descrive i dati che ha raccolto e gli dice: “Se andiamo avanti così, ci schiantiamo. Abbiamo troppi contratti, concentrati per la maggior parte con pochi operatori del terzo settore cui affidiamo da anni pezzi di servizi in ordine sparso, tra loro poco integrati. Per cambiare passo, dobbiamo cambiare modalità di affidamento e di gestione della partnership”. Col placet dell’assessore, si mette al lavoro: vuole sostituire i contratti in scadenza con un nuovo modello di gestione, per cui serve un bando diverso dal solito. “Ma chi te lo fa fare” le dice il collega degli affari legali e contratti che ha da tempo in ostaggio il modello di bando per un vaglio legale. “Da questa tua ‘innovazione’ verranno solo rogne. Troveranno il modo di fare ricorso. Inoltre, non abbiamo le competenze per gestire queste forme contrattuali in maniera adeguata, siamo sempre meno. Te lo dico onestamente, in amicizia: sei già dirigente. Non ti devi accreditare. La corsa è finita. Più in alto di così non arrivi, lo stipendio è questo. E’ così per tutti. Mi dici, per favore, chi te lo fa fare di trascinarci in questo polverone?” Anche se non è il tipo che si scoraggia facilmente, si chiede per la prima volta se ha senso, se ne vale la pena. Poi sente una voce fuori dal coro che gli dice: “Questo mestiere si può fare in molti modi. E il problema è che c’è spazio per tutti. Puoi fare come tanti, che si assestano sullo stile della casa e nemmeno ci provano a introdurre qualche discontinuità. Fondamentalmente non ne riconoscono il bisogno e vivacchiano senza farsi troppe domande. Ci sono poi quelli che si rendono conto che così com’è non va, ma passano il tempo a spiegarti la miriade di vincoli ed ostacoli che impediscono loro di fare diversamente dai primi. Di solito, però, sono più depressi, infelici, insoddisfatti, arrabbiati. E poi ci sono quelli che ci credono. E ci provano. E – se sono anche competenti – qualche volta ci riescono. Sono, in genere, più felici, soddisfatti, motivati. Perché quando fai bene le cose in questo settore, sai di aver contribuito a qualcosa di più grande. E questa è benzina per l’anima.”
Venire dal privato non è garanzia di efficacia del risultato. Né di rettitudine venire dal pubblico. Conta la tecnica manageriale, ma anche la conoscenza e capacità di gestione del contesto, inclusa la forza di non farsene risucchiare: tre competenze che metterei nella job description dei nuovi ingressi in funzioni gestionali. Questo mix di abilità ha solo in parte a che fare con i processi di riforma della dirigenza. Riguarda, anzitutto, la capacità di consolidare le competenze di management pubblico e di valorizzare l’identità professionale di coloro che operano all'interno del variegato universo della PA. Possiamo ripartire da qui?
I due casi sono liberamente ispirati ad un mix di storie professionali vere che – lavorando al fianco di tanti manager della PA di estrazione diversa (dirigenti di ruolo, a contratto, aspiranti dirigenti, di enti locali, centrali, di aziende pubbliche, etc…) – ho il privilegio di ascoltare. A proposito: grazie EMMAP!!