Sotto la lente

Prevedere l’imprevedibile: qualche suggestione dall’attuale fase congiunturale

Prevedere è uno degli atti chiave dell’agire manageriale. Esso consente di orientare sul futuro l’attenzione del management con un duplice obiettivo: da un lato è necessario per provare a comprendere quali siano le dinamiche aziendali e di contesto all’interno delle quali i responsabili d’impresa svolgeranno la propria attività (si pensi per esempio alle analisi di scenario che precedono la presa di decisioni); dall’altro serve per assegnare ai medesimi responsabili obiettivi in grado di orientare la loro attenzione e i loro comportamenti (è il caso tipico dei processi di target setting).

 

La centralità della previsione è testimoniata dal fatto che molti sono i processi manageriali che focalizzano la loro attenzione sul momento predittivo: la pianificazione strategica, il budgeting, il forecasting, la programmazione operativa sono solo alcuni piccoli esempi che confermano questa centralità. Nonostante la rilevanza di questo momento, molte ricerche sottolineano l’insoddisfazione di coloro che partecipano attivamente ai processi di pianificazione e/o che ne sono utenti. Diversi sono gli elementi di insoddisfazione: la bassa qualità delle previsioni, il grande sforzo dedicato a questa attività, lo scollamento fra i diversi momenti previsionali. In particolare, questa insoddisfazione sembra riguardare in modo forte i processi di budgeting e forecasting. Ma quali sono le ragioni? Le motivazioni sembrano essere riconducibili non tanto all’utilità dei processi in sé quanto piuttosto alle prassi di comportamento che, in gran parte delle aziende, hanno nel tempo alimentato questi processi, prassi che, se fino a qualche tempo fa potevano essere considerate adeguate, negli ultimi anni hanno fatto emergere tutti i loro limiti.

 

Il primo di questi riguarda la logica di previsione: nello specifico, quasi sempre i processi di budgeting e forecasting sono costruiti in continuità con il passato. È dal passato che si parte per prevedere ed è rispetto al passato che vengono posti i correttivi di risultato attesi per l’anno o il periodo a venire. Il secondo limite attiene gli oggetti di previsione che, nella gran parte dei casi, riguardano i risultati attesi, dietro i quali si possono però nascondere fattori causali molteplici e dalle dinamiche molto differenti fra loro.

 

È evidente che l’affermarsi di cicli di business sempre più corti dal punto di vista temporale e sempre diversi dal punto di vista dei performance driver rende questo doppio assunto terribilmente inadeguato dal punto di vista della qualità delle previsioni. Ciò è tanto più vero in un momento di profonda discontinuità quale quello attuale: la pandemia che stiamo vivendo e le sue implicazioni – non solo contingenti, ma anche strutturali – che dovremo affrontare nei mesi e negli anni a venire, rendono le dinamiche passate scarsamente predittive del futuro e richiedono un profondo ripensamento di tutti i tipici processi previsionali aziendali, in primis il processo di budgeting e di forecasting.

 

Tre sono gli elementi di innovazione che si rendono necessari per adeguare questi processi stante le caratteristiche di contesto attuali. Il primo attiene la necessità sia di comprendere le determinanti di business sottostanti il processo di generazione dei risultati, sia di separare le determinanti di contesto (rispetto alle quali i responsabili di un’impresa hanno scarsa controllabilità) e le determinanti aziendali (che invece rientrano nell’area di influenza manageriale). Il secondo è ancorare lo sforzo di previsione a dette determinanti cercando di capire come le stesse si muoveranno nei mesi e negli anni a venire. Il terzo è comprendere come la modifica di queste determinanti può avere un impatto sul processo di genesi dei risultati futuri. In altre parole, sono i performance driver che devono diventare il vero oggetto di previsione, ed è la capacità di comprendere come le loro evoluzioni possano condizionare i risultati aziendali che può rendere più affidabili gli scenari di risultato.

 

Nel breve periodo, questa diversa logica previsionale potrà essere utile per cercare di comprendere quale quota delle dinamiche di performance può essere attribuibile a variabili di contesto (nello specifico la pandemia e le implicazioni congiunturali che ne conseguono) e quale componente è invece riconducibile alle scelte strategiche e operative che le aziende stanno compiendo in questo momento. Nel medio lungo periodo la stessa logica consentirà di migliorare le capacità di previsione delle aziende rendendola coerente con un contesto competitivo sempre più dinamico e mutevole.

 

Fare previsioni partendo dai business driver può inoltre favorire la capacità diagnostica dell’impresa nel momento in cui verranno rilevati differenziali fra risultati attesi e risultati effettivamente conseguiti. Il fatto di aver ricondotto questi risultati alle determinanti sottostanti permette di comprendere appieno a quale driver (di contesto o interno) attribuire i performance gap. Da qui l’attivazione di circuiti formali di apprendimento manageriale che renderebbero ancor più utile ed efficace lo sforzo previsionale.

 

In realtà, questa è un’esigenza che da qualche tempo sta emergendo in ambito aziendale, ma che solo recentemente ha trovato riscontri e risposte da parte delle imprese più evolute. La tecnologia è stata da questo punto di vista un potente fattore facilitatore perché consente sforzi di analisi e di ricerca delle relazioni tra performance e determinanti in passato sconosciuti.

 

Il periodo che stiamo vivendo può essere, tuttavia, l’occasione per accelerare ulteriormente questo percorso e indurre molte aziende a rivedere i propri cicli previsionali aumentandone efficacia e grado di utilizzo. È questa una delle sfide manageriali che i difficili tempi che stiamo vivendo forse ci sta imponendo.

 

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