Sotto la lente

Intangibili in bilancio: verso una maggiore trasparenza

La rilevanza delle risorse intangibili nei processi di creazione di valore dell’economia moderna è cosa ben nota. Negli ultimi decenni tali risorse hanno acquisito un peso crescente in termini di investimenti, confermando di essere un motore di crescita e di sviluppo economico. Secondo un rapporto del 2017 della Commissione Europea, negli ultimi vent’anni gli investimenti in intangibili sono cresciuti molto più degli investimenti in risorse tangibili, mostrando una crescita del 130% negli Stati Uniti e dell’87% nell’Unione Europea, in confronto a un tasso di crescita rispettivamente del 70% e del 30% per gli asset tangibili.

Nonostante la loro crescente rilevanza – dovuta anche a un’economia sempre più technology e service-based – a oggi la maggior parte delle risorse intangibili non sono visibili nei bilanci di impresa. Gli standard contabili internazionali prevedono regole stringenti per il riconoscimento degli investimenti in risorse intangibili nell’attivo di bilancio. Lo IAS 38, per esempio, consente il riconoscimento solo degli intangibili acquisiti dall’esterno, fatta eccezione per i costi di sviluppo e solo a condizione che soddisfino determinati criteri. Ancora più stringenti sono le regole negli US GAAP, che consentono la rilevazione nell’attivo dei soli intangibili acquisiti. Ne deriva che risorse quali, per esempio, brevetti, marchi, diritti di copyright, reputazione, capitale relazionale e altre, se prodotte internamente, non risultino visibili tra le attività di bilancio.

È opinione diffusa tra redattori e utilizzatori dei bilanci che gli standard contabili non si siano evoluti al passo con i tempi e che quindi sia più che mai necessario un loro ripensamento. Basti pensare, oltre ai limiti in termini di riconoscimento degli intangibili già citati, anche alle risorse intangibili di nuova generazione, quali cloud computing, diritti di emissione, crypto currencies ecc., per i quali le regole previste dagli standard esistenti risultano tutt’altro che di immediata applicazione.

A supporto di coloro che chiedono a gran voce una revisione delle regole a favore di un maggiore riconoscimento degli intangibili a bilancio vi sono diversi studi empirici che mostrano come l’utilità dei risultati di bilancio per gli investitori (la cosiddetta value relevance) sia diminuita significativamente negli ultimi decenni, soprattutto per le imprese a più alta intensità di intangibili. All’origine della decrescente value relevance vi è per l’appunto l’impossibilità di capitalizzare i costi sostenuti internamente per lo sviluppo di risorse intangibili, con la conseguente scarsa correlazione tra ricavi e costi in periodi di crescita o declino e la sotto/sopra valutazione di indicatori di performance quali ROE e ROA. Altra motivazione è la limitata comparabilità dei bilanci delle imprese che sviluppano i propri intangibili internamente con quelli di imprese che crescono per acquisizioni. Tutto questo rende il lavoro di analisi dei bilanci particolarmente sfidante – e talora di scarsa utilità – per gli utilizzatori. Altri studi si soffermano sugli effetti reali derivanti da diversi regimi di rilevazione degli intangibili a bilancio, mostrando come la possibilità di capitalizzare gli investimenti in ricerca e sviluppo si rifletta in una maggiore propensione dei manager a intraprendere investimenti innovativi, mentre per converso una rilevazione immediata a costo di tali investimenti tenda a ridurre l’incentivo a investire in risorse intangibili.

Non mancano tuttavia voci fuori dal coro. Oltre al timore che una maggiore flessibilità in termini di capitalizzazione possa tradursi in opportunità di politiche contabili opportunistiche, diversi studiosi ritengono che l’elevato livello di incertezza che caratterizza gli intangibili sviluppati internamente si tradurrebbe a sua volta in maggiore incertezza e possibile distorsione dei risultati negli esercizi successivi, che sarebbero impattati da congetture in termini di ammortamenti e svalutazioni di complessa determinazione. Contrari sono anche coloro (soprattutto in rappresentanza delle imprese) che temono che una maggiore trasparenza informativa sugli intangibili possa tradursi nel rivelare informazioni sensibili, con effetti negativi in termini di competitività. Non facile il compito degli standard setter, sollecitati da più parti a trovare il giusto compromesso tra le diverse esigenze informative minimizzando al contempo i potenziali rischi. Il tema degli intangibili è stato recentemente inserito nell’agenda dell’International Accounting Standards Board (IASB) per il 2024. Allo stesso tempo, l’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) ha pubblicato un Discussion Paper dal titolo «Better Information on Intangibles. Which is the Best Way to go?», nel quale riconosce l’esigenza di ripensare e rinnovare i principi contabili sugli intangibili e propone una serie di possibili soluzioni su cui è in corso il processo di raccolta di feedback e commenti. Sono tre le principali soluzioni sulle quali l’EFRAG ha avviato una discussione: una revisione dei criteri di rilevazione e valutazione degli intangibili prodotti internamente; nuovi obblighi informativi (disclosure) sugli intangibili chiave; informazioni sui costi d’esercizio «orientati al futuro».

Riguardo ai criteri di rilevazione e valutazione degli intangibili, le soluzioni di dettaglio oggetto di discussione spaziano dal riconoscimento a stato patrimoniale di tutti gli intangibili generati internamente al riconoscimento dei soli intangibili che soddisfano (ovvero a partire dal momento in cui soddisfano) determinati criteri, fino al divieto di riconoscimento a bilancio di qualsiasi intangibile prodotto internamente. Come alternativa a un diverso modello di riconoscimento degli intangibili a bilancio, l’EFRAG invita a valutare anche un approccio basato su un maggior livello di disclosure, in particolare sugli intangibili che siano classificati come particolarmente rilevanti per il modello di business dell’impresa. In questo modo, si darebbe la possibilità agli utilizzatori di valutare il contributo di tali intangibili al processo di creazione di valore dell’impresa, pur non essendo questi riconosciuti a bilancio. Infine, un terzo possibile approccio oggetto di considerazione consiste nel richiedere informazioni di dettaglio su quei costi relativi a intangibili che, pur se imputati a conto economico, possono tradursi in benefici negli esercizi futuri, da fornire congiuntamente con informazioni su fattori di rischio e opportunità che possono impattare sulla realizzazione di tali benefici.

Numerosi sono i pro e i contro di ciascuna delle soluzioni oggetto di valutazione, nessuna delle quali sembra a oggi in grado di contemperare le diverse esigenze di redattori e utilizzatori di bilancio. Sarà quasi certamente necessario pensare a soluzioni diverse per diverse tipologie di intangibili. A rendere il tutto più complesso vi è il fatto che ogni possibile soluzione non può prescindere dalle recenti evoluzioni in tema di sustainability reporting, il quale inevitabilmente si interseca col tema in oggetto. Diversi sono infatti gli intangibili che rientrano nel perimetro della sostenibilità. Si pensi, a titolo di esempio, agli intangibili relativi al capitale intellettuale, umano, sociale e relazionale. Una delle domande che gli standard setter si troveranno ad affrontare sarà proprio definire quali intangibili rientrano nel perimetro del reporting finanziario e quali in quello del reporting di sostenibilità, laddove le aree di sovrapposizione sono più che evidenti.

Il dibattito è in corso ed è più vivo che mai. Si attendono presto proposte anche dallo IASB, che sta avviando i lavori sull’argomento. Data la complessità del tema, è probabile che la revisione degli standard in materia di intangibili richiederà ancora diversi anni. Non ci resta che aspettare e, se possibile, contribuire al dibattito in corso.

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