Sotto la lente

Cercasi KPI per la sostenibilità d’azienda

L’inserimento di obiettivi ESG all’interno dei piani di compensation dei CEO e dei top management team (TMT) delle imprese è una innovazione positiva. Nonostante alcune ricerche abbiano espresso dubbi circa l’efficacia di tale scelta, considerandola meramente simbolica, gli effetti positivi sono numerosi e sostanziali. Se la compensation dei dirigenti strategici riflette le aspettative di tutti gli stakeholders, l’impresa riduce lo short-termism dei suoi processi decisionali, migliora la governance aziendale, ha benefici di immagine, di reputazione, di riconoscibilità e di lealtà, attira e trattiene i talenti. Da un recente report curato da Willis Towers Watson emerge come il 68% delle grandi imprese internazionali quotate adottino metriche ESG nei piani di compensation dei TMT. L’Italia ha curiosamente la stessa percentuale del campione internazionale: su 40 grandi imprese quotate, 27 (ossia il 68%) adottano metriche ESG nella incentivazione dei membri dei TMT.

I dati dimostrano bene anche alcune scelte condivise dalle aziende di tutti i Paesi. In primo luogo l’impiego delle metriche ESG è focalizzato sul bonus di breve termine, il «cash bonus». Sono assai pochi i casi di adozione degli obiettivi ESG nei piani di incentivazione a lungo termine: attorno al 5% per le imprese nord-americane, al di sotto del 30% per le imprese europee. Nonostante la prospettiva ESG sia una prospettiva di lungo termine, tale scelta è condivisibile. Il cash bonus ha una capacità di influenza dei comportamenti assai più elevata dei piani di lungo termine. Inoltre, questi ultimi sono dominati dall’impiego di stock option, nelle diverse forme possibili. E il prezzo delle azioni incorpora le ESG performance delle imprese. In secondo luogo il peso complessivo sulla componente variabile dello stipendio si aggira tra il 15 e il 20% del totale del cash bonus. Seppure non stiamo parlando di un peso maggioritario, tale percentuale non è simbolica ed esprime con chiarezza una richiesta di modifica dei comportamenti e dei criteri decisionali adottati dalle imprese.

Ma c’è un dato che suscita più di una riflessione. Facendo riferimento ai dati del 2020, la percentuale di incentivi legati alla metrica ESG che è stata raggiunta e il cui bonus è stato pagato al target o above target è a livello internazionale quasi al 70% e in Italia sopra l’80%. Si tratta di percentuali assai più elevate del payout assicurato dagli obiettivi finanziari, che in Italia nel periodo 2017-2020 sono stati completamente raggiunti solo nel 30% dei casi. Percentuali dunque che sembrano evidenziare una sorta di rendita manageriale legata agli obiettivi ESG. E che sono controintuitive rispetto all’attuale situazione, in specie quella ambientale, che non pare negli ultimi anni essere migliorata, nonostante gli ESG bonus che le imprese quotate hanno pagato ai loro TMT. Insomma, una pay for ESG performance assai debole, parrebbe, e una situazione insostenibile agli occhi del mondo. Su cui bisogna intervenire. Vi sono infatti alcuni aspetti tecnici da migliorare. Per esempio, l’adozione di obiettivi con metriche qualitative e troppo flessibili (in specie con riferimento alla G di governance), il mancato utilizzo dei KPI riferiti agli aspetti materiali (così come codificati all’esterno delle imprese dai board di accounting), la bassa presenza di obiettivi environmental rispetto a quelli social e governance sono tutti aspetti migliorabili. Su cui l’evoluzione del pensiero degli standard setter di accounting internazionali sarà essenziale. Ma due cambiamenti di filosofia sono richiesti alle imprese. Da subito.

Il primo riguarda la necessità di riconoscere che le imprese non possiedono la conoscenza piena della scienza sottostante a tutti gli aspetti ESG. Che sono ampi e complessi. Il contrario delle scienze economiche, dove le aziende sono uno dei centri principali di conoscenza. Tale conoscenza è essenziale nel momento di fissazione dei target, il «target setting». La fissazione dei target finanziari è settata perfettamente. Quando si fissa un target di Ebitda, così come di free cash flow o di reddito netto, le imprese sanno stimare con grande precisione quale livello di difficoltà esprime la misura target assegnata, e quale miglioramento complessivo delle performance aziendali induce. Non è così per i target ESG. Troppo differenti le prospettive, troppo differenziate e slegate tra loro le metodologie di rating, troppo acerbo ancora l’apprezzamento delle performance da parte dei mercati finanziari. Bisogna dunque che le imprese si affidino all’esterno nel fare target setting sugli obiettivi ESG, associandosi con convinzione a iniziative come la science based target initiative (SBTI). Questo per avere dei target fissati in modo indipendente e consapevole, correlati al miglioramento che gli stakeholder, e il mondo, si aspettano – non solo l’impresa.

L’impiego di metriche ESG nella compensation dei TMT deve essere occasione di un vero cambiamento di prospettiva (ed è questo il secondo impegno richiesto oggi alle imprese), nell’ottica del valore generato dall’azienda per gli stakeholder e per la società nel suo insieme, e non viceversa (il valore generato per l’azienda dagli stakeholder e dalla società nel suo insieme). Anche se il valore generato per gli stakeholder può incidere sul valore generato per gli shareholders. Ci vuole dunque il coraggio di intraprendere la via della misurazione dell’impatto, ossia del valore monetario generato per la società nel suo complesso, a livello aziendale. Non confinandolo ai singoli progetti, ma con una visione di accounting, che ricomprenda l’intera azienda. Perché nessun KPI, per quanto interessante, potrà essere utile nel modificare i criteri decisionali aziendali, fondati sulla relazione rischio-ritorno. Tutti e due elementi che hanno una misurazione monetaria fondata su misure semplici e disponibili. Bisogna tradurre l’impatto in una misura completa, aziendale, monetaria, accounting-based, semplice e disponibile. E usare questa nei sistemi di incentivazione dei TMT.

SHARE SU