Branded World

Slow Branding o Brand Slowing?

Nel confrontarmi con un collega circa il piano editoriale di Branded World, mi ha fatto sorridere una sua frase: «Stai ridefinendo la terminologia del brand management». Ben lungi dal voler fare ciò e dall’arrogarmi tale pretesa,  preferisco pensare che - come per tutti coloro cui interessa la materia e sono calati in un contesto multiforme e di difficile aggettivazione (visto che quest'ultima cambia e si modifica ogni settimana! In questi giorni è la fase NN: "New Normal") – è interessante provare a guardarsi intorno nel cogliere alcuni punti e spunti attuali e necessari per tirare le fila e dipingere una visione per la marca non solo momentanea e sovente sommersa ma, al contrario, pronta ad emergere o già emersa, seppur spesso sottaciuta.

Ri-partiamo da Slow

E’ solo di pochi giorni fa la lettera di Giorgio Armani che, con la sua visione e una dichiarazione esplicita, osserva l’attuale fase storica come un'opportunità per rallentare, quale paesaggio necessario nel “dover rivalutare la catena del valore per il modello di business del fashion system e, in particolare, del lusso”, lasciando aperta tale opzione ad altri settori o category necessariamente interessate.

Filosofi, sociologi, scrittori, giornalisti, economisti nel tempo si sono dedicati allo slow.

Milan Kundera con “La lentezza” (1994), sociologi come il Professor De Masi, Maestro del pensiero slow con i suoi primordi in “L’ozio creativo” (1997) e che in una recentissima intervista alla domanda: «C’è anche una riscoperta della lentezza?», ha sapientemente risposto: «Non c’è il minimo dubbio. Vengono percepiti i vantaggi di quelli che noi sociologi chiamiamo bisogni radicali: introspezione, amore, amicizia, gioco, bellezza, convivialità. Bisogni che avevamo represso per mettere al primo posto i bisogni quantitativi o alienati: potere, possesso, denaro». Anche Federico Rampini fa riferimento alla “Slow economy. Rinascere con saggezza” (2009) a seguito della crisi dei primi anni del nuovo millennio. La ricognizione della galassia slow è stata sapientemente eseguita da Stéphane Szerman – già autore di “L’arte della lentezza” (2007) - e Sylvain Menétrey all’interno del libro “Slow” (2016 per la seconda edizione italiana); nel testo si sottolinea “un nuovo paradigma postindustriale, un nuovo modello di vita, che non significa pigrizia ma riflessione; non indica l’ozio dissipativo ma l’ozio creativo”.

Il concetto di slow contrapposto al fast?

I movimenti Slow

Le ideologie del “movimento lento” si sono diffuse andando ben oltre le proprie radici geografiche ed originarie. Le origini di tale movimento si fanno ricadere in Italia negli anni '80, quando Slow Food venne collocata quale reazione all'espansione delle catene globali di fast food. Slow Food, così come riporta il medesimo sito, “è una grande associazione internazionale no-profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi,  grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali”. Lo slogan di Slow Food, che oggi raggiunge ben 150 Paesi, dichiara che “promuove un’alimentazione buona, pulita e giusta per tutti”, attraverso manifestazioni, educazione, testi, libri e partnership nel mondo (Salone del Gusto,  Slow fish, Cheese, Master Food, Terra Madre, giusto per citarne alcuni) che ne hanno ampliato il raggio d’azione nonché amplificato presenza e presidio all’interno di business molto diversi tra loro. E' stata attivata una vera e propria strategia di brand extension.

Oggi questa filosofia può essere riscontrata in una moltitudine di ambiti dall’agricoltura (Agricoltura Slow) ai processi di produzione e consumo, in oltre 150 paesi: turismo (Slow Tourism, Slow Travel ecc.), architettura (Slow Architecture versus Fast Architecture), moda (Slow Fashion versus Fast Fashion), design (Slow Design versus Object-design) e, quale ulteriore estensione spaziale di questo pensiero, anche la rete di Slow Cities (nota come Cittàslow, anch'essa originaria dell'Italia), che cerca di rivitalizzare e proteggere la vita urbana e gli spazi pubblici tradizionali; a partire dal 2017, la rete Cittàslow è formata da 238 città in ben 30 Paesi (Clancy, 2018). Affianco ad essi è utile menzionare anche il movimento Slow Media e della Slow Communication, il cui Manifesto è stato curato dal giornalista John Freeman e pubblicato dal WSJ nell’agosto del 2009. Quest’ultimo, molto focalizzato sull’aspetto tecnologico dei media non intende demonizzare le macchine ma, al contrario, conduce verso un apprezzamento delle specifiche potenzialità promulgando un avvicinamento alla tecnologia e non cadendo erroneamente nella trappola di considerare più veloce come più efficiente; l’intento è di accompagnare verso una profonda riappropriazione della velocità non a scapito dell’efficacia ma come una modalità più consona alle esigenze concrete del mondo che ci circonda e al contesto fisico nel quale ci si muove. Molto attuale, sembrerebbe essere scritto oggi!

Slow Branding versus Brand Slowing

Forse è possibile partire dalle classiche pratiche di marketing con strumenti, modalità, espressioni, simbologie raffiguranti gli intenti “slow” nel branding per descrivere ciò che è già sotto i nostri occhi: la lentezza. Emblemi di lentezza come la lumaca, la presenza del termine “slow” nel brand name usati in termini identificativi e quali segni distintivi del brand; l’impiego del cosiddetto slow-motion per il video-editing professionale e amatoriale, tanto di moda nell’advertising (dal fashion all’education) ma anche per il societing o lo sharing. Basti pensare alla modalità di registrazione-video semplice e veloce in “Slo-mo” - per iPhone di Apple o Galaxy di Samsung – anche incentivata attraverso app che “rallentino i video” sui sistemi Android (Efectum, VideoShow, PowerDirector, Slow Motion Frame Video Player, Video Speed ecc.) e iOS (App foto, Slo Mo Video, Slow Fast Flow, iMovie ecc.). A conferma di un passaggio “lento ma inesorabile”,  Patrizia Musso, attraverso una ricerca svolta a livello nazionale e internazionale nonché con la realizzazione delle due edizioni dello Slow Brand Festival (negli anni 2016 e 2017) - manifestazioni realizzate in collaborazione con l’Associazione l’Arte di Vivere con Lentezza - nel suo libro del 2017, descrive come lo slow branding sia stato applicato nella comunicazione pubblicitaria classica (Slow Advertising), al retail (Slow Places), alla comunicazione interna (Slow Factory) e al mondo digital (Slow Web).

 

In realtà per approcciare il brand slowing forse bisognerebbe riflettere sulle motivazioni a cui ricondurre la nascita dei Movimenti Slow, non solo soffermandosi sulla contrapposizione al fast e/o sulle risposte competitive contro ciò che è stata denominata “McDonaldizazzione” della società, solo iniziali motori al cambiamento, che in tempi recenti sono andati ben oltre. La capacità di slowing, ossia il rallentamento richiesto ai brand risiede in ciò che alcuni colleghi hanno denominato come mediterraneizzare il marketing (Carù, Cova, 2006), legato al “persiero di costa” del sociologo Cassano (2001). Essendo una “mediterranea doc”, condivido questo modo di ripensare ai brand; si propone cura, misura, moderazione, senso delle proporzioni e umiltà di fronte ad un consumatore, anzi a una persona. Realizzabile attraverso una rivalorizzazione della lentezza quasi “manuale”, perché umana, terrena, vera e lontana da meccanicismi, fretta ed esagerazioni. All’uopo, cito una esperienza diretta, su cui mi ha fatto riflettere il contenuto firmato da Alice Nicolin (http://www.beunsocial.it/la-fotografia-analogica-per-rallentare-il-tempo-digitale/), e che vi propongo così come l’ho interpretata: il ritorno della fotografia analogica di mio figlio, appartenente alla Generazione Z, che ha rispolverato la macchina fotografica di mamma e papà dando evidenza a esigenze concrete dell’oggi. Mio figlio è un giovane come tanti altri.

Lasciare che il tempo scorra placidamente, osservandolo in modo sapiente ma alternativo, anzi potremmo dire a “modo proprio”, cercando di rappresentarlo per come appare. Prendere il tempo necessario - ma lento - per ripresa e produzione (connesse alla meccanicità), riflessione, materialità e  cura, tutti elementi intrinseci al processo analogico. Ma solo ad esso...? 

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