CompLab

Tre condizioni per riformare davvero la PA

”CompLab” è il blog su competitività e crescita curato da Carlo Altomonte

Dieci anni fa uscì per il Fondo Monetario Internazionale uno studio sull’Italia che dimostrava la correlazione tra efficienza amministrativa e produttività: secondo le stime della ricerca, se l’efficienza della PA si allineasse a quella delle province più avanzate, l’output per euro di costo del lavoro crescerebbe fino a +22% nei settori più dipendenti dalla PA (come edilizia e costruzioni, ma anche trasporti, energia, telecomunicazioni); il valore aggiunto per euro di costo del lavoro potrebbe aumentare tra +2% e +10%; per l’impresa media l’output aumenterebbe di circa +3%. Lo studio aveva preso come riferimento di efficienza della PA un indice (già in uso in precedenti ricerche), basato su dati ISTAT di output del settore della giustizia civile (numero di cause civili definite e tempi medi di smaltimento), sanità (posti letto, ricoveri, dimissioni), istruzione (tassi di scolarizzazione e output delle scuole secondarie) e amministrazione generale (servizi di anagrafe, permessi, concessioni, attività amministrative gestite dagli uffici locali), parametrati per il numero di addetti (dipendenti pubblici). Secondo questo indice, i territori più efficienti non sono quelli che ‘spendono meno’, ma che a parità di dipendenti pubblici producono servizi pubblici migliori. Oppure, a parità di livello di servizi, impiegano meno persone.

 

I dati dello studio risalivano a prima del grande blocco delle assunzioni della PA e del processo di consunzione che ha caratterizzato tutto il sistema amministrativo italiano e che ha deteriorato anche la capacità di risposta ed erogazione dei servizi, di fatto riducendo sì la spesa pubblica, ma anche la sua efficacia.

 

L’agenda di riforma della PA stimolata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha finalmente corretto la rotta con due grandi linee di lavoro.

 

La prima riguarda gli input: le persone. Per la prima volta le persone della PA sono al centro di un programma di investimenti che non riguarda solo le assunzioni di nuovi addetti, ma anche la manutenzione e il rinnovamento delle competenze di chi già lavora nella PA. Il recente “Decreto PA” 2025 (DL 25/2025, convertito in legge l’8 maggio 2025) è solo l’ultimo di una serie di misure adottate in questi anni che vanno nel senso di ridare funzionalità alla PA. Le nuove norme introducono un intervento organico sul funzionamento della pubblica amministrazione, con misure su reclutamento, organizzazione e rafforzamento delle strutture, puntando su digitalizzazione, riduzione del precariato e valorizzazione delle competenze. In sede di conversione, particolare attenzione è rivolta alle autonomie locali, destinatarie di numerose disposizioni per rafforzare l’efficienza e la capacità operativa degli enti territoriali.

 

La seconda linea di lavoro è il processo di semplificazione e snellimento burocratico previsto dal PNRR: il primo traguardo è stato raggiunto nel dicembre 2024 con la semplificazione delle prime 200 procedure, mentre è previsto entro il prossimo giugno 2026 lo snellimento di ulteriori 400 procedure, individuate anche grazie ad un processo di consultazione con le principali associazioni di categoria in settori cruciali ed una iniziativa itinerante, “Facciamo semplice l’Italia”, volta ad ampliare l’ascolto dei territori sul tema.

 

Basterà questo programma a portare tutta la PA italiana sulla frontiera dell’efficienza?

 

Sì, se saranno assolte tre condizioni fondamentali.

 

  • Coerenza e stabilità regolatoria: perché le riforme producano effetti duraturi, serve un quadro normativo stabile e coerente. Bene le riforme su concorsi, procedure e codice degli appalti, per l’iniezione di flessibilità che stanno dando: attenzione a non strafare. Più il quadro regolatorio è instabile, più gli operatori si muovono con la lentezza di chi è disorientato. In questo senso, occorre che alle riforme segua un periodo di continuità di regole.

 

  • Programmi “situati”, ovvero coerenti con le diverse aree di policy (sanità, istruzione, giustizia, servizi comunali): la Pubblica Amministrazione è un’astrazione che non esiste. Ciò che esiste è un sistema complesso e differenziato di istituzioni pubbliche, con problemi e priorità differenti: quanto funziona in sanità non è detto sia adatto per la giustizia o per la scuola. Per questo, se le riforme non possono che essere sistemiche ed ‘erga omnes’, i programmi di cambiamento devono essere invece “situati”, cioè calati nei contesti specifici, con strumenti adatti a ciascun settore. Ad esempio, nella sanità la grande sfida è quella della tecnologia, che può rivoluzione efficienza ed efficacia delle cure. Diverso il contesto dell’istruzione, dove il tema dei modelli di gestione del corpo docente e del ridisegno dell’esperienza di servizio degli studenti sono le priorità per una scuola più inclusiva ed efficace. Oppure del welfare, dove serve un’azione di governance inter-istituzionale, capace di connettere i silos dei servizi sanitari, comunali e previdenziali. Un approccio “one size fits all” rischierebbe di fallire: servono politiche mirate e differenziate, costruite sul confronto con operatori e stakeholder di ogni settore.

 

  • Competenze di gestione dei manager: anche con risorse e norme adeguate, la vera differenza la fanno le persone che guidano le amministrazioni. Quindi, bene la recente enfasi posta sulle competenze di leadership dei dirigenti pubblici, ma non dimentichiamoci il management. I manager pubblici devono disporre di competenze solide per saper tradurre gli obiettivi di policy in azioni concrete, gestire i cambiamenti organizzativi e valutare i risultati per riorientare la rotta. Per questo la formazione manageriale nella PA non può essere episodica, ma va resa sistematica, così da creare una classe dirigente capace di orientare la macchina pubblica a servizio della competitività del paese.

 

In conclusione, investire in un sistema di servizi efficaci ed infrastrutture amministrative pubbliche efficienti è più di una condizione igienica per la competitività del paese: è a tutti gli effetti un driver di sviluppo, oltre che un vettore di coesione sociale, nonché un ingrediente indispensabile per sostenere la transizione verde e tecnologica. Il PNRR ha offerto una finestra senza precedenti per investire in modo massiccio su questo complesso programma. E dopo?

 

Finita l’iniezione di risorse straordinarie insieme alla rinnovata esigenza di controllo del debito, il rischio che la stagione di investimenti sul programma di riforma della pubblica amministrazione si esaurisca non è remoto. Pertanto, occorre lavorare presto ad un piano di capitalizzazione di questa articolata e ricca esperienza, perché non resti una stagione isolata, ma diventi un modo nuovo sostenibile e duraturo nel tempo di fare pubblica amministrazione, a servizio dello sviluppo economico e sociale del paese.

 

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