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- 5 mag 2025
- 6 giorni
- Class
- Italiano
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Fondata a Cesena nel 1957 dalla famiglia Trevisani, per decenni Trevi è stato un attore importante nello sviluppo di grandi progetti infrastrutturali: trasporti, settore marittimo, ingegneria sotterranea (dighe, perforazioni e fondazioni profonde). Dopo un picco positivo nel 2015, la struttura patrimoniale del gruppo ha subito un progressivo peggioramento principalmente a causa della crisi progressiva della sua Divisione Oil and Gas e di una posizione sempre più debole come general contractor internazionale EPC (Engineering, Procurement and Construction), un comparto in cui la concorrenza era diventata feroce. Dopo vari tentativi di tenere sotto controllo la situazione, anche attraverso piccole modifiche al proprio bilancio, quando il fatturato era dimezzato rispetto al 2015 e l’EBITDA ridotto a 50 milioni di euro, nel 2018 Trevi ha deciso di intraprendere una revisione globale della sua struttura patrimoniale, che risultava non più sostenibile.
I numeri del caso
Suddivisione del capitale (2017): 31,8% famiglia Trevisani, 16,9% FSI Investimenti (fondo di investimento sostenuto da Cassa Depositi e Prestiti), 10,9% Polaris Capital (fondo di investimento con sede a Boston), il resto flottante sul mercato.
Fatturato consolidato (2017): circa 950 milioni di euro.
Composizione del gruppo: oltre 60 persone giuridiche in cinque continenti. Trevi Finanziaria SpA era la holding quotata alla Borsa di Milano e possedeva direttamente le quattro sub-holding: Trevi SpA, Soilmec SpA, Drillmec SpA e Petreven SpA.
Composizione divisione ingegneria sotterranea: questa operava attraverso Trevi SpA (che sviluppava circa il 56% del fatturato del gruppo nel 2017) e Soilmec SpA (23% nel 2017), mentre la Divisione Oil & Gas (21% nel 2017) operava attraverso Petreven SpA e Drillmec SpA.
Nel 2017 il settore delle costruzioni in Italia rappresentava circa l’11% del PIL del Paese, con 1,4 milioni di addetti (pari al 23% dei lavoratori dell’industria) distribuiti in 400-500.000 aziende. Nel periodo 2010-2016 l’Italia registrava un calo vicino al 9% delle imprese di costruzione e un forte calo dei lavori pubblici. Per mitigare la stagnazione del mercato interno, la maggior parte degli operatori EPC italiani aveva cercato di espandersi all’estero, spesso anche in Paesi emergenti o in via di sviluppo dove i tempi di pagamento e di incasso erano generalmente lunghi e più rischiosi. Trevi è stata inoltre esposta al grande sconvolgimento che stava attraversando l’industria petrolifera e del gas: dopo quattro anni di relativa stabilità, con prezzi fermi a 105 dollari al barile; nel febbraio 2016, il prezzo del petrolio era crollato fino a 30 dollari. In questo contesto, i produttori di petrolio riducevano lo sfruttamento degli impianti di perforazione infliggendo forti cali di fatturato alle società di perforazione. Com’è tipico di per una società di Engineering, Trevi aveva una liquidità importante (200-300 milioni di euro), che serviva come cuscinetto per prevenire l’eventuale impatto negativo di shock del mercato e mantenere la flessibilità per gestire le oscillazioni del capitale circolante. Il gruppo chiudeva il 2017 con meno di 150 milioni di euro di liquidità, che si sono ulteriormente ridotti a meno di 90 milioni di euro nel 2018: non c’era la liquidità necessaria per gestire le operazioni e far crescere il business. Allo stesso tempo, il debito finanziario lordo continuava a crescere, composto da prestiti bancari chirografari cresciuti nel tempo oltre i 780 milioni di euro e sottoscritti con oltre 25 banche. Trevi si stava avviando verso la tempesta perfetta.
Con un patrimonio netto negativo, la liquidità disponibile limitata e un’elevata leva finanziaria, alla fine del 2017 il management di Trevi ha iniziato a lavorare alle possibili soluzioni per riportare il gruppo su solide basi finanziarie, presentando un nuovo business plan incentrato sullo sviluppo delle attività di ingegneria, in cui la Divisione Oil and Gas non era più il fulcro strategico. Sono seguiti mesi di discussioni, durante i quali il Consiglio di Amministrazione ha analizzato molteplici soluzioni alternative, coinvolgendo anche nuovi investitori terzi. Alla fine, dopo quasi due anni di lunghe trattative, il Gruppo è riuscito a portare a termine una ristrutturazione finanziaria stragiudiziale ex art. 182-bis della Legge Fallimentare, assicurando così la continuità aziendale. Nel maggio 2019 il Consiglio di Amministrazione del Gruppo ha emesso un comunicato stampa in cui annunciava di aver approvato una soluzione autonoma di ristrutturazione. Ma la storia non era ancora finita. Infatti, a poche settimane dall’annuncio della soluzione, è apparso chiaro che l’azionista di controllo (la famiglia Trevisani) non avrebbe avuto la liquidità necessaria per sottoscrivere la propria quota di aumento di capitale e sarebbe stato estromesso dall’operazione di ristrutturazione. Solo a maggio 2020 Trevi ha annunciato di aver completato con successo l’emissione di azioni per 130 milioni di euro, di cui 88 milioni sottoscritti in contanti (pagati da FSI e Polaris in sostituzione della famiglia Trevisani, come da impegni assunti nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione) e 42 milioni di euro sottoscritti dalla conversione dei crediti finanziari. Contestualmente è stato sottoscritto l’aumento di capitale riservato alle banche finanziatrici per circa 21 milioni di euro attraverso la conversione dei crediti finanziari da esse vantati nei confronti della Società. A seguito dell’attuazione dell’accordo di ristrutturazione e del perfezionamento delle azioni di aumento di capitale e conversione del debito, Trevifin SpA ha comunicato al mercato che i suoi azionisti finali erano per il 25,67% FSI Investimenti SpA, per il 25,67% Polaris Capital Management LLC, per il 41,85% banche e finanziarie coinvolte nel piano di ristrutturazione, per il restante 6,81% altri investitori.
La particolarità di questo caso è che l’operazione di ristrutturazione è il risultato di un lungo processo avviato dal Gruppo Trevi per esplorare una serie di soluzioni alternative che ha visto anche il coinvolgimento di nuovi investitori finanziari terzi disposti a immettere nuovo denaro, in forme diverse e a determinate condizioni e termini commerciali.