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Storie di Dati e Dati per Storie (di Marca)

Pochi giorni fa, il titolo attribuito ad un incontro – tra i tanti offerti free – realizzato da Martech, mi ha particolarmente interessato: “Come raccontare storie usando i dati”, che in buona parte vuole significare mettere insieme Art & Science, Human & Tech, Personal & Machine, e così via, come attualmente piace coniugare questa integrazione e collegare gli estremi, attività divenute rilevanti per il marketing e, in particolare, per il branding.

Dati: il nuovo petrolio

I dati sono stati definiti il “nuovo petrolio” dell’economia, tanto che già nel maggio 2017, The Economist aveva affermato come i dati rappresentassero – e avrebbero rappresentato, ancora di più nel futuro - un vero motore di crescita e cambiamento. Di fatto, le cosiddette tracce digitali prodotte "praticamente per ogni attività” evidenziano come i flussi di dati alimentino una nuova economia. Non desta meraviglia, quindi, che proprio mappando l'evoluzione digitale e la competitività digitale di diversi Paesi in tutto il mondo, alcuni autori (Chakravorti, Bhalla, Shankar Chaturvedi, 2019) abbiano identificato una nuova misura o un nuovo PIL: il “Prodotto di Dati Lordo", volto a catturare una misura emergente della ricchezza e del potere delle nazioni.

La scia digitale

Oltre alla quantità e al volume dei dati generati e da gestire, ne risultano modificate accessibilità - connessa a strumentazione, canali (owned, paied, earned), media  e devices, che aprono verso flussi di dati con crescente usability e fruibilità – utilizzo, inteso come numero di utenti con comportamenti, esigenze e contesti di utilizzo estremamente vari e ampi (aziende, brand, provider, player, social media, OTT, ecc.), nonché la complessità dell’attività digitale che costringe verso una crescente sofisticazione di modalità di analisi e interpretazione.  Del resto, i flussi divengono rapidi e real-time; i dati - nei diversi formati: foto, video generati dagli utenti (UGC) dei e nei social network, informazioni raccolte dai pendolari mentre si recano al lavoro o “pazientano” in auto nel traffico - risultano in buona parte destrutturati; e i numerosi e diversi dispositivi – dallo smartphone al tostapane, dai treni all’auto - divengono fonti inesauribili di dati. Il “mondo dei sensori”, sempre più connessi, carpiscono la scia digitale lasciata dalle persone che, detto in altri termini, evidenziano come i dati possano essere generati da qualunque cosa si faccia.

L’espressione big data diviene il grande cappello all’interno del quale si cerca di accogliere quanto sin qui evidenziato. 

Martech: tra player e sistemi di gestione dei dati di mercato

Difficile semplificare quanto dianzi illustrato, benché Martech, “felicissima” crasi tra marketing e technology, è un termine che aiuta e rende l’idea.

 

La crasi è stata coniata dal ricercatore informatico Scott Brinker, portando al suo interno quell’ampio ambito di tecnologie e soluzioni-tech impiegate per creare o supportare lo sviluppo di esperienze e percorsi esperienziali di brand che guidino l'acquisizione, il coinvolgimento e la fidelizzazione dei clienti. Il panorama tecnologico recensito nel 2020 – certamente sottostimato, nonostante i “grandi” numeri riportati - evidenzia una ampiezza tecnologica ben otto volte maggiore, oggi, rispetto al 2014, raggiungendo le 8.000 soluzioni versus le 150 del 2011 (crescita stimata 5.233%).

 

Tra esse, quelle che crescono maggiormente sono connesse a dati, processi, procedure e social media management.

Dati per le Storie (di Marca)

Quindi big data, flussi, sistemi interpretativi, algoritmi soluzioni diverse e martech evolvono, divenendo sempre più complesse e tecnologiche, nonché “capaci di imparare” (AI, Machine Learning, etc.). Tale prospettiva evidenzia come oltre ai data scientist, siano necessarie competenze in grado di orchestrare competenze analitiche e creative - copywriter, content management, video making, ecc. -  con intuito manageriale in quanto "…i dati non parlano da soli, ma hanno bisogno di un buon narratore e di una buona narrazione. Perché le presentazioni dei dati rappresentano la migliore opportunità per raccontare storie e ispirare le persone ad agire, pensando come la costruzione di presentazioni visive divengano funzionali ad ogni occasione e momento o micro-moneto di contatto con la vita di altre persone” (Nancy Duarte, CEO di Duarte Inc., communication-big-tech della Silicon Valley).

 

Lo spostamento pronosticato è il passaggio dall’essere data-wrangler e data scientist, con capacità analitiche e statistiche “magiche”, all’essere più data-sense-maker (attributori di senso dei dati). Ciò implica uno spostamento a soryteller nel:

 

  1. rendere i dati visivamente accattivanti, selezionando quelli che più di altri spieghino, raccontino e consentano di aprire percorsi neurali nel pubblico – interno o esterno all’azienda e alla funzione - agevolando o rafforzando le associazioni (con la marca);
  2. selezionare parole, verbi e immagini che rappresentino azioni, guidino verso comportamenti suggeriti come dei “preziosi” consigli e rendano riconoscibile la presenza (di marca);
  3. “umanizzare” i dati pensando al pubblico a cui ci si rivolge ed a quanto quest’ultimo voglia identificarsi in ciò che si racconta; l'umanizzazione dei dati rende qualsiasi storia più avvincente.

I dati non fanno più paura se osservati come fonte della narrazione; per cui è utile ragionare pensando che partire dai dati permette di narrare storie convincenti nei confronti di pubblici diversi.

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